#ATUPERTU CON GLI ATTORI DI EREBO

INTERVISTA A LIVIO BISIGNANO
Per me Erebo è una immersione nelle oscurità dell’animo umano. Gli Inferi sono infatti il teatro perfetto per parlare di ciò che succede nel mondo, tutto ciò di cui si racconta nei miti greci infatti purtroppo accade ancora oggi e sempre accadrà.
Ma chissà che un giorno l’uomo non impari finalmente dai suoi errori…
Confrontarsi con un testo così complesso, sia a livello testuale che di varietà della rappresentazione, all’inizio poteva fare un po’ di paura…ma l’ottima squadra che si è venuta a formare ci ha permesso di superare ogni imprevisto, canto dal vivo incluso.
La lingua di questo testo non è senz’altro quella comune di tutti i giorni, questo però lo vedo come un gran pregio dal momento che la nostra è una delle lingue più belle del mondo che sta andando lentamente a morire per via di molti fattori.
Certamente se si vuole raccontare il mondo dell’oggi, molto povero nel linguaggio, anche certo teatro moderno si deve conseguentemente adattare. Fortunatamente però, narrare il passato ci permette di spaziare nella ricchezza delle parole e sono sicuro che alla fine farà piacere a molti.

INTERVISTA A LOREDANA BRUNO
Erebo è una sfida. È un viaggio nell’animo umano, un percorso duro e a tratti doloroso, un viaggio dentro noi stessi, le nostre paure, le nostre meschinità che sono poi quelle di ogni tempo e di ogni Paese.
Penelope è un personaggio complesso. Non è stato facile “trovarla” e capirla davvero. Riuscire a sentire quello che lei sente, diventare io stessa Penelope. Questa donna coraggiosa che dopo anni di attesa capisce che deve lottare, che deve combattere anche lei per ciò che vuole. Questa donna che sconvolge i piani, l’ordine precostituito e accetta il rischio di non trovare Ulisse, di essere rifiutata da lui, di perderlo per sempre e persino di morire per ciò in cui crede. Sente il peso di quello che la circonda ma non cade, combatte, resiste. Mi piace Penelope. Non si arrende Penelope. Aspetta per anni, in silenzio, astuta. Poi qualcosa scatta in lei, capisce che l’ “attesa è solo un inganno”. Così sceglie di interromperla quell’attesa, scende nell’Ade a recuperare il suo Ulisse. È resiliente Penelope. La spaventano, la strattonano, la terrorizzano, la soffocano ma non si arrende. Ha in mente la sua meta e lotta, lotta fino alla fine.
La grandezza di questo testo è la sua straordinaria attualità. Il processo di identificazione che investe trasversalmente ogni epoca e ogni contesto, al di là del linguaggio. I sentimenti che rappresenta sono universali. Erebo ti sbatte in faccia in modo potente i tuoi limiti e ti invita a superarli. È un opera di speranza. Nonostante tutto. La speranza di vincere l’unica battaglia sulla quale possiamo incidere davvero…quella con noi stessi… per superare i nostri limiti ed essere migliori.

INTERVISTA A WILLIAM CARUSO
Erebo è un viaggio alla ricerca di sé stessi nel buio dell’esistenza, è ritrovare e perdere i propri sogni nei volti degli altri, è il bilico che sentiamo tra il bianco e il nero, tra la morte e la vita. Erebo, questo luogo indefinito, questo luogo di pena e di sofferenza, non è altro che specchio delle tante sfaccettature dell’essere umano; in ogni singolo personaggio, posso rivedere i volti delle persone che ho incontrato nel mio cammino, posso rivedere la mia stessa vita scorrere davanti ai miei occhi, lasciandomi il sapore di un passato che non tornerà più e di un futuro in cui tutto non sarà altro che cenere. “I giorni dell’uomo sono contati: qualunque cosa egli faccia, non è altro che vento”.
Il percorso di Erebo è stato sinora un percorso complesso da studiare giorno dopo giorno con minuziosità, come un archeologo fa con le sue scoperte. La costante difficoltà a scoprire i meccanismi scenici in accordo ai meccanismi di relazione con i personaggi mi ha permesso, col passare del tempo, di mischiarmi a questo corpo nuovo ed estraneo e di trovare un equilibrio in un luogo così “caotico” come quello di Erebo.
Lavorare allo spettacolo mi sta, anche, portando a riflettere su varie tematiche fondamentali della vita dell’essere umano, prevalentemente appartenenti alla filosofia esistenzialista. La paura del dopo diviene parte costante del mio lavoro, e un misto di paura e speranza portano i miei studi su strade nuove, su strade che sto percorrendo e che non riuscirò mai a finire ma che lasceranno un segno indelebile nel mio cammino attoriale e umano.
Ho spesso sentito parlare, nell’ambito teatrale messinese, delle regie di Auretta Sterrantino, e aver preso parte a quest’avventura mi sta permettendo di capire al meglio il suo modo di lavorare con gli attori. Il suo approcciarsi al testo, che mischia schematizzazioni classiche alla nuova drammaturgia contemporanea, permette all’attore di scavare dentro il suo bagaglio esistenziale e di poter diventare un unico corpo con gli altri. In attesa dell’esperienza romana, sento di dover dare il massimo per questa collaborazione, perché sento che possiamo raggiungere grandi risultati. Spero inoltre di poter continuare a lavorare con Auretta e la sua compagnia anche in progetti futuri

INTERVISTA A GIULIA DE LUCA
Erebo è un viaggio alla ricerca del sé attraverso il Mito, che è quanto di più alto sia stato mai scritto in grado di raccontare l’uomo, le sue fragilità e manie. Solo col potere del Mito si è in grado di ri-conoscersi, cioè scoprirsi per la prima volta. Erebo richiede una partecipazione a 360 gradi, sicuramente è più impegnativo per me il lavoro che concerne le musiche e il dosaggio delle tecniche vocali. Avrò modo di crescere molto in questo senso, dopo quest’esperienza. Non avendo mai lavorato con queste modalità, o con questo tipo di approccio al testo e al teatro (quindi, direi, alla vita) sono davvero felice di poter crescere con Auretta, e con lei e i miei colleghi scoprire mondi nuovi. Inoltre, è la mia prima esperienza lavorativa, perciò non potrei esserle più grata di così

INTERVISTA A ORESTE DE PASQUALE
Erebo è un viaggio. «Un viaggio nel profondo, dentro la coscienza», per rispondere con le parole dello spettacolo. Un cammino che porta a scavare nei recessi più intimi della propria persona, fino a scoprire cose che non pensavi ci fossero. Il tema del viaggio nel sé è ricorrente nella drammaturgia di Auretta, è uno dei motivi per cui mi trovo così bene a lavorare con lei.
Durante il mio percorso ho quasi sempre affrontato testi e argomenti difficili, ci sono ormai abituato e lo trovo molto in sintonia con le mie corde. Prendendo come esempio Adolphe. The importance of being, l’ultimo spettacolo che ho messo in scena con QA, ci sono parecchie differenze, in quel caso si trattava per forza di cose di argomenti più quotidiani portati in scena con un linguaggio più semplice. Ovviamente Erebo richiede un lavoro maggiore, il testo va masticato, digerito, assorbito, per poi poterlo veicolare al pubblico. Lo spettatore può anche non capire bene cosa io stia dicendo, ma se comprende l’emozione che sta dentro quelle parole e riesce a farla sua, l’obiettivo, secondo me, è stato centrato

INTERVISTA A GIADA VADALÀ
Erebo è un lavoro completo e faticoso. Bisogna “essere e stare sempre insieme”, anche quando non si recita o non si è protagonisti nella scena specifica. Le arti sono diverse: danza, musica, teatro. Occorre molta preparazione. Riguardo le difficoltà, forse mi preoccupa un po’ il dovere cambiare e interpretare più ruoli nello stesso spettacolo, dunque in tempi brevi. In Erebo parliamo proprio di ruoli, vite, amori, destini, personaggi, appunto, diversi. Spero di farcela e spero piaccia al pubblico Romano perché alla fine è il nostro primo e ultimo protagonista.
Provenendo da una formazione teatrale classica, accademica, potrei dire che “mi sento abbastanza in casa” riguardo il testo di Erebo. Con Auretta Sterrantino lavoro ormai da più di due anni; abbiamo preparato altri spettacoli, adoperando anche altri registri linguistici, se vogliamo usare questo termine più “quotidiani”. In realtà credo che, a prescindere dal testo, in teatro tutto e niente deve essere quotidiano. Quindi se pensiamo anche all’interpretazione, al modo di recitare, la differenza tra un testo, un registro, non c’è. Bisogna cercare la “naturalezza”, nella tecnica e nell’impostazione comunque. È questa la cosa più difficile da realizzare in assoluto. È questo che provo a fare ogni giorno