#ATUPERTU CON LA REGIA DI INSOMNIUM

“La casa del sonno” di J. Coe è uno dei miei romanzi preferiti, un testo ben scritto e pensato, ricco di spunti e sfumature, uno di quei romanzi che capita ormai raramente di leggere. Per questo motivo mi ha fortemente stuzzicato l’idea di metterlo in scena, anche in considerazione delle tematiche trattate e in particolare tra tutte il rapporto tra sonno, sogno e vita.

Dal libro di Coe si potrebbero tirar fuori mille testi diversi e per questo il lavoro su InSomnium si è delineato come una sfida vera e propria: scegliere le tematiche da sviluppare, individuare i personaggi importanti per me nell’equilibrio della mia storia, definire i punti di partenza, calibrare allontanamenti e decidere anche di rinunciare. E questa è la bellezza del teatro, ti obbliga a scegliere, a rinunciare, persino a scartare idee alle quali ti eri affezionato. Perché esiste un bene più grande che è l’equilibrio delle parti. L’armonia dello spettacolo.

La sfida grandissima è stata quella di costruire un testo e pensare una regia che restituissero una delle cifre più affascinante del testo di Coe, ovvero la frammentazione di due linee temporali che si incastonano nella sua scrittura quasi senza soluzione di continuità.

Il lavoro che ho fatto si è dunque concentrato sulla deframmentazione di gesto, parola, movimento e sul tentativo di fondere e far slittare piani spaziali e temporali, tentando di costruire un mondo altro all’interno del quale all’improvviso si aprono squarci profondi nella mente e nei pensieri dei personaggi, analizzati quasi al microscopio. Mondi paralleli si sfiorano, mondi fatti di ricordi, emozioni, suggestioni che non si perdono nel tempo, ma che si sommano fino a creare un presente apparentemente distante da ciò che è stato.

Man mano che scorrono le ore si sgretolano le sovrastrutture che tengono l’impalcatura della storia individuale di ciascuno dei personaggi. Si gioca una partita a scacchi vera e propria: uno sola sarà il vincitore, per gli altri il tempo si scioglierà lentamente, attraverso un percorso rivelatore che lascerà dubbi e domande e li preparerà ad un ulteriore viaggio.

Ho tralasciato completamente la vena ironica non troppo sotterranea del libro e abbandonato il racconto come motivazione. Mi interessava piuttosto creare un ambiente onirico, carico di ombre e inquietudini e pieno di segni, simboli. Le coincidenza sono state amplificate, il racconto è diventato vissuto, il dialogo è stato frammentato per seguire le alternanze emotive, i giochi e gli impulsi dei personaggi, piuttosto che la logica razionale che solitamente viene affidata alla scrittura. La scena e le musiche, i costumi e il trucco sono parte fondamentale di questo mondo alternativo, che si muove in assenza di gravità, in cui tutti mostrano un guscio duro, una scorza inossidabile solo in apparenza.

Piani e livelli di significati giocano con i piani e i livelli che ho cercato di creare nello spazio grazie alla scena e alle musiche.

Spero che lo spettatore si immerga totalmente in questo mondo, spero che ne esca stordito, pieno di domande, sognante. Spero che dica: avrei voluto che non finisse mai. Spero si chieda cosa ne sarà dei personaggi, spero si senta uno di loro. Spero si senta scosso. Nel profondo.

InSomnium è uno spettacolo totalizzante, non ti lascia scampo, “il tempo si confonde, tutto si confonde”, eppure quel che risulta evidente è l’urgenza della ricerca, anche se non troverà soddisfazione. La ricerca come impulso primario alla vita, la ricerca come necessità. L’esigenza di non rinunciarci neanche quando viene frustrata e i nostri obiettivi sfumano. Ed è allora che dobbiamo trovare altri stimoli, per non diventare sonnambuli.

“In sogno, insonne, InSomnium”»