#ATUPERTU: GLI ATTORI DI WUNDERKAMMER

INTERVISTA A ORESTE DE PASQUALE

Un altro anno di Atto Unico, un altro anno di lavoro con QuasiAnonima: già questo potrebbe definirsi una piccola Wunderkammer, una Stanza delle meraviglie. Continuare una ricerca iniziata quattro anni fa, una ricerca artistica e interiore, il mestiere dell’attore è stare dentro una Stanza delle meraviglie. Una stanza che sta dentro una casa delle meraviglie, il teatro. Una casa all’interno della quale vorrei accompagnare il nostro pubblico, vecchio e nuovo, attraverso i sette spettacoli della nostra rassegna, che altro non sono che altrettante Wunderkammer.

Entrando nello specifico di questo primo spettacolo, credo che la mente del mio personaggio, William, si possa considerare una Wunderkammer. Un luogo strano, pieno di curiosità, follie, orrori e meraviglie appunto, un luogo del quale innamorarsi e al tempo stesso da detestare scandalizzati. William è una perfetta mescolanza di Edgar Allan Poe e dei personaggi di alcuni suoi racconti, un uomo geniale eppure abietto, dedito al vizio più sfrenato ma con una capacità di pensiero profonda e abbagliante. Effettivamente è questo il rapporto che si è creato tra il personaggio e me, un’attrazione-repulsione che nei primi giorni di prove non è stato semplice gestire. Dopo la prima lettura l’ho quasi odiato. Poco tempo dopo, ho avuto quasi un’illuminazione: ho visto questo personaggio, in balìa delle sue passioni, andare alla deriva nello spazio, fino ad arrivare davanti a una sorta di buco nero della conoscenza. Lì l’ho visto fermarsi, esattamente sul cosiddetto orizzonte degli eventi, il punto di non ritorno, quel punto oltre il quale si viene definitivamente risucchiati verso l’ignoto. E lì l’ho visto stazionare, ruotare vorticosamente intorno al buco nero, tormentato dai ricordi e dagli spettri del suo passato, che al tempo stesso lo trattengono e lo spingono verso quello che potrebbe essere sia il baratro sia l’immortalità. Qui mi fermo, perché vorrei far scoprire (ma forse sarebbe meglio dire scegliere) al pubblico il destino di William.
L’attrazione-repulsione quindi è un punto focale di questo spettacolo, a mio modo di vedere. Ed è quello che mi piacerebbe provasse il pubblico una volta all’interno della nostra Stanza delle meraviglie. La stessa attrazione-repulsione che in fondo si provava all’interno di quelle Wunderkammer tanto in voga nel XVI e XVII secolo, tra un cervello sotto formaldeide, il teschio di un animale misterioso e una conchiglia gigante dei mari del sud. La stessa attrazione-repulsione che l’essere umano, spesso, prova nei confronti della ricerca, della conoscenza e dell’ignoto.

INTERVISTA A CLAUDIA ZAPPIA
“La stanza delle meraviglie” è il “non luogo” quel punto in cui si disseminano le certezze e si respira un’aria di tempi che non esistono o forse non sono mai esistiti. In realtà, ognuno sceglie la sua stanza delle meraviglie, ce la si costruisce man mano che la vita scorre. Probabilmente per necessità, probabilmente per spirito da sognatore, ma quella esiste e segna un tempo esatto, un tempo in cui ognuno di noi ha vissuto e convissuto con le nostre più intime certezze, i nostri desideri, i nostri giochi…quelli più nascosti, quelli che non sveleremmo mai. Non a caso lo spettacolo parte proprio da qui: dentro la stanza. William si ritrova faccia a faccia con i suoi spettri con le sue più intime paure, i suoi più intimi segreti… e questo come a lui capita a tutti: a tu per tu con le nostre segrete paure, riusciremo a superarle?

Ho cercato di accostarmi a questo personaggio con la semplicità e l’entusiasmo di una bambina, come chi, in preda alla curiosità e alla voglia di “scartare” un mondo tutto nuovo, apre con foga un regalo tanto atteso. In realtà, ho trovato un vaso di pandora, un lavoro dalle tinte molto complesse. Il rischio era quello di caratterizzare eccessivamente un personaggio che già di per sé era pienamente caratterizzato, per cui ho cercato di ascoltare Ligeia, capire quale fosse il metodo giusto per valorizzarla. All’inizio non riuscivo a intravedere le sue ragioni, ma quando sono rimasta ferma a sentire il canto che proveniva dal respiro che emanava ogni verso sono stata catturata. Allora ho cercato di essere mezzo, strumento, ho capito che dovevo semplicemente aprire la porta, farla entrare e prenderci un tè. E così mi ha raccontato, così mi ha donato se stessa per vivere attraverso le mie corde.

Quando ci trova a dover interpretare un spirito, un essere sovrannaturale si pensa subito a dover iniziare a fare un lavoro che parta proprio dalla sovrannaturalità, dal non contatto terreno. Al contrario, ho ritenuto necessario affrontare un lavoro che partisse dalla condizione terrena di Ligeia, legata con radici solide al mondo sotterraneo. Sono partita da questa concezione e man mano che il lavoro fluiva prendeva forma. In realtà, non ho eliminato il suo carattere metafisico anzi: più non riuscivo a staccare i piedi da terra più sentivo un legame con il sovrannaturale. In realtà, Ligeia, come gli altri personaggi dello spettacolo, è un carattere creato dalla mente di William per cui non è libero. Non è un fantasma, non è un reale essere sovrannaturale. O per lo meno, lo è nella misura in cui il suo creatore deciderà la sua sorte. Insieme agli altri personaggi, lei può solo tentare di sovvertire le carte dentro la mente di William ma l’ultima decisione sarà del suo padrone. Man mano che il tempo passava lei acquisiva quella forma di costretta metafisicità che ha trasformato un lavoro in un gioco emozionante e in una bellissima sfida.

Io vorrei che il pubblico si buttasse a capofitto dentro quel mondo interiore che accomuna tutti, verso quella stanza dei giochi che ognuno di noi ha abbandonato una volta cresciuti, ma che segretamente conserva dentro il suo cuore. Non si tratta di ricostruire una trama né di parteggiare per un personaggio o per un altro, quello che importa è lasciarsi trasportare. Riuscire ad abbandonare i propri cliché per immergersi in un mondo metafisico, che è parte di noi, per cercare di andare “oltre il punto di non ritorno”.

INTERVISTA A LOREDANA BRUNO
“La Stanza delle meraviglie” è una stanza piena di scrigni che racchiudono segreti. Cose che teniamo nascoste anche a noi stessi. Verità scomode con le quali, prima o poi, siamo costretti a fare i conti non appena ci stacchiamo dal monologo del nostro punto di vista e ci apriamo al dialogo.

Il testo di Wunderkammer è, come tutti i testi di Auretta Sterrantino, un percorso alla scoperta della nostra psiche. Costringe non solo lo spettatore ma anche l’attore a fare un viaggio dentro di sé. Mi ha affascinato la netta dicotomia tra la visione delle cose del protagonista e la percezione delle stesse da parte delle figure chiave della sua vita. Del mio personaggio, in particolare, mi ha affascinato e fatto riflettere la spinta emotiva verso il suo carnefice, nonostante la visione ormai lucida delle cose.
La crescita che ha compiuto il mio personaggio durante l’arco delle prove forse è proprio comprendere e “rappresentare” questa contraddittorietà di impulsi verso quest’uomo. Questa dualità tra le parole dette e il corpo che racconta altro, che vorrebbe altro. Il rifiuto che nasce solo dalla consapevolezza che non può avere ciò che desidera da chi ha usato parole e sentimenti solo come un esercizio letterario.
Non so quali emozioni vorrei arrivassero al pubblico. Mi auguro solo che gli spettatori si abbandonino alla “visione” per farsi accogliere da noi e guidare alla scoperta della stanza delle meraviglie.

INTERVISTA A WILLIAM CARUSO

La stanza delle meraviglie, come dice lo stesso termine, è un luogo fuori dal comune pieno di mirabilia, ossia di cose che suscitano meraviglia nell’essere umano. Quale miglior spazio se non lo spazio vuoto del teatro può contenere delle meraviglie capaci di lasciare a bocca aperta? Il pubblico in Wunderkammer si ritrova proiettato in una lunga galleria illuminata da una fievole luce, che lascia nella penombra corpi in movimento, corpi deformi, corpi multiformi, corpi spezzati, e dalle cui pareti senti rimbombare voci che ti trascinano in un altrove che non c’è: ci si perde in una rara collezione di espressioni dell’anima dell’uomo, nata dai meandri più profondi della letteratura e della vita del gotico Poe.

Il testo è stato fin da subito un enorme scoglio da affrontare per me: la difficile partitura che muove questa macchina, che è il nostro spettacolo, nasce tutta da uno studio minuzioso del testo e del suo universo, che ha preso forma dalla fonte originaria, ossia dalla penna di Edgar Allan Poe, grazie alla sensibilità di Auretta Sterrantino​ e della band de La Casa delle Candele di Carta​. D’altro canto, ritrovare uno dei miei scrittori preferiti in questo spettacolo, mi ha entusiasmato fin da subito e mi ha permesso, inoltre, di creare un legame molto particolare con la parola. Questo attaccamento viscerale a quest’ultima, questo viaggio nei suoni e nei sensi, mi ha fatto assaporare in maniera diversa non solo il lavoro d’insieme ma anche il lavoro sul personaggio che interpreto: Wilson. Lo studio di questo personaggio complesso e ambiguo mi ha portato verso percorsi d’analisi alternativi e inconsueti, che mi hanno consentito non solo di capire fino in fondo il significato intrinseco delle parole, ma anche le relazioni con gli altri personaggi, parti integranti della sua evoluzione nell’arco della storia. Affronto questo personaggio giorno e notte, costantemente, passeggiando per le strade della nostra Messina. Difatti, se sentite dei passi dietro di voi per strada, di notte, non preoccupatevi: sono solamente io in cerca di ispirazione, di qualcosa di nuovo da aggiungere.

Siamo costantemente sotto il controllo della nostra “dittatrice” Auretta Sterrantino, ovviamente nel senso più latino del termine, cioè dictator, che deriva da dicere, ossia comandare: in questo caso comandante, guida nella cura dei dettagli dei personaggi e dello spettacolo e non posso che ringraziarla di cuore per questo.  Comunque, tornando al mio personaggio, devo dire che la crescita di Wilson è stata costante con l’avanzare delle prove: dopo aver abbandonato il copione e aver preso possesso dello spazio, dopo aver immagazzinato il dettagliatissimo lavoro a tavolino e della costruzione scenica dello spettacolo, la figura di Wilson ha preso una forma via via sempre più definita. Avendo la fortuna di provare negli spazi del nostro teatro cittadino, potendo respirare l’aria di un grande teatro, scalpellata dopo scalpellata, grazie soprattutto al supporto e al lavoro di un gruppo affiatato di colleghi, stanno venendo fuori quelle peculiarità che ricerco dalla prima lettura del copione e che continuerò a cercare fino al debutto e oltre.

Per me questo spettacolo è  un evento molto importante a cui tengo in particolar modo:  il 4 dicembre segnerà il mio ritorno su un palco di Messina da attore dopo gli anni di studio accademico romani. I pensieri a riguardo sono tanti ma sono ben deciso su cosa vorrei che arrivasse al pubblico messinese: la volontà di cambiamento. Questa mia voglia di dare a un pubblico nuovo, ma allo stesso tempo così familiare, questa mia “freschezza” , sono soltanto alcune delle cose che ogni giorno penso riguardo a Wunderkammer , ma sono consapevole che col duro lavoro di questa squadra è possibile centrare l’obiettivo, di poter cambiare anche per una sera il mondo delle persone che verranno a vederci, di far vedere le cose quotidiane in maniera diversa, di far nascere anche una semplice curiosità, che sia cercare su Google Edgar Allan Poe o tornare a casa e sfogliare una raccolta dei suoi racconti. In ogni caso sarà una vittoria non solo nostra, ma della cultura messinese di cui sono fiero poter essere rappresentante assieme a QA – Quasi Anonima Produzioni​»