VIAGGIO NELL’ISOLA GALLEGGIANTE #1

DIARIO DI GIORNATE DI PROVA DI RICCARDO III. SUITE D’UN MARIAGE 
A CURA DI ANDREA ANSALDO
PH. VALENTINA MESSINA

2 Novembre 2018

Aprendo la sezione “Chi siamo” di quasianonima.it ci si imbatte immediatamente in una citazione di Eugenio Barba, la quale riporta la volontà del regista di rendere il teatro «un’isola galleggiante, un’isola di libertà». Sinceramente, non saprei trovare parole migliori per descrivere il luogo in cui avvengono le prove di QA. Giungere in quel luogo significa percorrere il viale Giostra per buona parte della sua lunghezza. Avendolo percorso con il solo ausilio delle mie gambe, posso dire che arrivarvi ha rappresentato una sfida non indifferente. Il posto, infatti, è raggiungibile solo imboccando una delle molteplici traverse che si snodano dal viale Giostra, la quale conduce il malcapitato di turno a un’ulteriore salita, ben più ripida e, ahimè, priva di punti di ristoro intermedi.

Nel tentativo di fare una buona impressione arrivo in anticipo di un’ora, nonostante l’appuntamento fosse fissato intorno alle 12:00.
Nonostante il luogo sia abbastanza isolato, si riesce comunque a percepire quanto sia “vissuto”. Per intenderci, stiamo parlando di una grigia struttura senz’anima, la quale però è stata arricchita dall’apporto creativo dell’uomo. Dico così non tanto per via degli oggetti accumulati un po’ alla rinfusa sul fondo della sala, ma piuttosto in riferimento ai murales che affollano intere porzioni di parete. È un posto tranquillo, c’è anche un bel panorama. Intorno alle 12 arriva Auretta Sterrantino, regista e drammaturgo, con al seguito un gruppetto di persone. A questo punto faccio la conoscenza di Valeria Mendolia, Giulia Messina e Michele Carvello, rispettivamente la responsabile dell’allestimento, l’attrice che interpreta Lady Anna e l’attore che interpreta Riccardo III.

Mi sento fuori posto, non tanto per la compagnia, che si rivela ben più inclusiva di quanto fosse dovuto, quanto per la mia completa estraneità all’ambiente teatrale.
È la prima volta che assisto a una sessione di prove, e non posso fare a meno di incuriosirmi, mosso dalla volontà di cogliere gli stessi dettagli che nota Auretta. Al contrario suo, però, io non so nemmeno dove guardare, figuriamoci cogliere certe sottigliezze.
Quest’affermazione può sembrare figlia di uno scoraggiamento, ma in realtà si tratta solo di una presa di coscienza. Mi rendo conto di quante attenzioni meriti ogni momento, anche quello che all’occhio di uno spettatore indifferente può apparire insignificante.

La giornata continua e io inizio a nutrire una sincera simpatia nei confronti di Michele e Giulia, la cui apparente semplicità ben cela la reale complessità e difficoltà del loro lavoro.

A impressionarmi ulteriormente è Valeria, la quale sembra essere in grado di compiere qualunque lavoro richieda manualità. Ho l’impressione di assistere alla creazione di un pezzo di artigianato piuttosto che a una sessione di prove, un pezzo finemente lavorato e trattato con la cura che si riserva all’oggetto di un amore.

A fine giornata, esco con la rinnovata consapevolezza di quanta attenzione richieda anche il gesto più banale, quello a cui non si fa caso quando si osserva un prodotto fatto e finito. Capisco che la semplicità, almeno in questo contesto, non è così semplice.
Lascio la sala con le prove ancora in corso, cosa che, come avrò modo di apprendere in seguito, risulta parecchio irrispettosa. Il viaggio di ritorno mi porta a fare la stessa strada percorsa all’andata, ma stavolta sono immerso in un viale Giostra avvolto nella semi-oscurità. Le luci dei lampioni non funzionano e la strada è illuminata dai fari delle auto. È un posto interessante, certamente degradato ma altrettanto vivace. Il buio sferzato dalle luci, il fumo delle bancarelle di caldarroste e il via vai di gente restituisce un’immagine a metà tra un cupo film neorealista e un noir metropolitano. Qualcuno potrebbe dire che ho gusti discutibili, ma non posso negare di averla trovata molto suggestiva come camminata.