IL NAUFRAGO FELICE

di ANGELO MORABITO

Ulisse è il viaggio, su questo non si discute.

È anche il mare, però.

Un archetipo mitico che permea fortemente l’immaginario letterario occidentale.

Presente in vario modo in alcuni pilastri della letteratura classica, dalle tragedie di Sofocle ed Euripide, all’Eneide di Virgilio, alle Metamorfosi di Ovidio, il mito di Ulisse torna anche nell’Inferno dantesco. Dal sommo poeta in poi la letteratura e l’arte europea continuano a trattare dell’eroe con Claudio Monteverdi, Foscolo, Joyce e tanti altri.

Ulisse è un fortunatissimo soggetto modellato nel corso dei secoli, più e più volte, da poeti e romanzieri. Le numerose epopee del personaggio risalgono a quell’epiteto che Omero per primo usò per definirlo: polytropos, “dalle molte forme”.

Ben si inserisce, in quest’ampio ventaglio di opere e di autori, il denso lavoro del drammaturgo Auretta Sterrantino “Ulisse. L’arte della fuga”, pièce andata in scena domenica 24 febbraio nella suggestiva chiesa di Santa Maria Alemanna, quarto appuntamento della partecipata rassegna Atto Unico. Scene di vita. Vite di scena.

Sergio Basile, attore di notevole spessore con carriera più che trentennale alle spalle, ha magistralmente letto e interpretato, con un incedere sicuro e dalle mille tonalità, il testo di Auretta  Sterrantino.

Filippo La Marca, musicista e compositore, lo ha accompagnato al piano con l’esecuzione di un repertorio che spazia da Bach a Dallapiccola. La musica si è così accostata alla parola, entrando con essa in un’intima sintonia.

Il testo riprende l’intelaiatura dell’Odissea, ripercorrendone finemente le tappe senza una vera e propria narrazione.

Nell’immaginario della Sterrantino, Ulisse è l’eroe votato al mare, al viaggio, voracemente assetato di una conoscenza che non riesce a placare ma che deve necessariamente essere tangibile e diretta.

È così che il circolo virtuoso della ricerca della conoscenza si trasforma in un circolo vizioso che risucchia inevitabilmente il protagonista, non lasciandogli margine di scelta e portandolo alla rovina.

Come di consueto, al termine della rappresentazione, si dà il via alla sempre interessante tavola rotonda, condotta dal critico teatrale, docente di Drammaturgia al DAMS e direttore dell’osservatorio di QA Vincenza Di Vita. Oltre agli artisti stessi, ospiti quali: il maestro Mario Ruffini, presidente del Centro Studi Dallapiccola che ha sede nel conservatorio Cherubini di Firenze e  il professore Paolo Campione, docente di Storia dell’arte dell’Ateneo di Messina.

La maestria con la quale è stata messa in scena l’opera Ulisse. L’arte della fuga ha contribuito a creare un clima di tensione e interesse tra il pubblico, stimolando in esso numerosi interrogativi circa il tema principale dell’opera: l’incapacità dell’uomo di riconoscere i propri limiti.

Tema sempre attuale, che ha condotto Ulisse al suo destino.

Destino apparentemente tragico ma sotto taluni profili liberatorio.

Un ritorno alle origini, seguendo nient’altro che la propria indole: Ulisse è, infine, tornato al mare, disperdendosi tra le onde che per una vita ha solcato.

Possiamo solo lontanamente immaginare quali siano stati i suoi pensieri mentre si trovava a esalare il suo ultimo respiro. Con inopportuna prepotenza mi permetto di formulare la seguente congettura: quasi esanime e con lo sguardo rivolto al cielo, finalmente ricongiunto alla sua più intima essenza, disse tra sé, accennando un sorriso: «e il naufragar m’è dolce in questo mare».