#APPROFONDIMENTIUNICI: GIUDA. ED ERA DI NOTTE

II CAPITOLO DELLA TRILOGIA DEI TRADITORI O PORTATORI DI COLPA
Interviste a cura di Vincenza Di Vita

INTERVISTA AD AURETTA STERRANTINOregista e drammaturgo

Chi è Giuda nella storia, nella leggenda, nel tuo dramma?
Se dovessi rispondere in modo secco, con una sola parola direi nell’ordine: un’ombra, una bugia necessaria, un uomo. Allargando un minimo la risposta potrei dire che la cosa interessante è che è molto difficile districare la storia dal mito, e questo rende Giuda interessante materia teatrale. I suoi contorni possono essere modellati secondo la prospettiva da cui si sceglie di guardare. E questo funziona bene in un lavoro in cui si sceglie di mostrare la verità non come un fatto ma come un fenomeno interpretabile. Tanto luminoso quanto sfocato.

Il doppio sta a Giuda come all’attore sta?
Il teatro, il palcoscenico, la performance. Giuda e un attore hanno molto in comune: un ruolo assegnato e accolto. Un atto da compiere. Un gioco da completare.

 Se fosse un senso quale sarebbe quello prevalente in Giuda?
Giuda è colui che sa. Dunque direi la vista. Ha un occhio in più aperto sul mondo liminare che lo porta a contatto con una conoscenza misteriosa e misterica. Una conoscenza aperta a pochi. Pochissimi. Una conoscenza difficile da penetrare, perché mistica, oracolare che lo rende per questo un personaggio in bilico sul limite.

Quanti personaggi hai ritenuto fondamentali per la tua scrittura e perché?
Personaggi teatrali? Molte suggestioni dal mondo shakespeariano. Il mondo tragico di Shakespeare è intriso di dinamiche e meccanismi molto vicini al dramma che ho inteso costruire. “Personaggi” nel senso di autori? Berto e Borges. Per le loro visioni di un Giuda totalmente umano e di un Giuda “divino”.
Personaggi per il dramma stesso? Tre. Il numero perfetto no? Il numero del triangolo. Il numero che tende al vertice. Il numero che tende all’uno. I tre del sacro ordine sono Giuda stesso, colui che sa. Pietro, la pietra, colui che ascolta. Giovanni, l’aquila, colui che scrive ciò che altri hanno visto. Ciò che altri hanno udito.

 Quanto ha pesato la figura di Gesù sulla costruzione scenica di questo personaggio?
Non esiste Giuda senza Gesù e viceversa.

 

INTERVISTA A DANILO CARCIOLO, interprete di Pietro

 Il tuo personaggio è tradito o traditore? Perché?
(Questo) Pietro è un uomo che abbraccia una fede che nasce e sgorga da dentro di lui. Un abbraccio così forte da potergli fare male. È un giusto che agisce da tale. Obiettivo: il Bene. Seguire e realizzare la volontà di Dio e di Suo figlio. Anche quando questa sembra andare contro ogni logica, anche quando appare assurda ad occhi umani. La sua fede è salda, incommensurabile, ma lui è comunque un uomo. Fragile, mortale. Dubbioso, curioso. Il suo rapporto con Giuda, da una parte, e con Giovanni, dall’altra, varia in base e ai loro atteggiamenti, ai loro pensieri che, spesso, si lanciano contro come fossero volgari monete. Cambiano le “alleanze” tra loro, ma non si tratta di opportunismo o mancanza di fermezza da parte sua: è “Giusto” ciò che porta a compimento il volere del Padre nostro. Che rimane tale, “nella buona e nella cattiva sorte”. Lo accetta in quando pietra sulla quale nascerà la Chiesa, fondata sull’Amore; soffre in quanto uomo. Soffre per la sofferenza e la solitudine di Giuda. Pietro è “tradito” – per chi guarda – perché, da uomo retto e “santo”, deve portare a compimento un disegno che può risultare crudele a chi non crede. È “traditore” – per chi osserva – perché tradisce se stesso e accetta di attuare un disegno del genere. Accetta di rinnegare, per tre volte. Per Amore, tuttavia. Per fede.

 Qual è stata la reazione non appena hai compreso quale sarebbe stato il tuo personaggio?
Non mi aspettavo di potermi trovare, un giorno, a dover interpretare un personaggio come Pietro. Una visione così originale di questo apostolo, oltretutto. Ci siamo conosciuti un po’ per volta: ogni tanto non è facile convivere, ma abbiamo entrambi le migliori intenzioni.

 Perché credi che la regista ti abbia scelto per questo ruolo?
Per salvare “colui che salva”, per dare gravità a chi dà la sensazione di aleggiare, per sovrapporre fisicità e volto viventi a quelli di Pietro, a loro volta sovrapposti a quelli di Gesù. Per un Mistero. Un giorno, durante le lezioni in accademia, un grande attore italiano ci suggerì di domandarci perché, in un particolare momento della nostra vita, ci stia capitando di interpretare un determinato personaggio. Ecco, la domanda può essere resa pubblica. La risposta è interessante che rimanga privata.

 

INTERVISTA A MICHELE CARVELLO, interprete di Giuda

 Il tuo personaggio è tradito o traditore? Perché?
Per quanto possa portare il marchio del traditore stampato in volto, Giuda è tradito. Ogni volta che cerca di allontanarsi dal suo destino, da ciò per cui è stato “scelto”, si tradisce con le sue stesse mani o viene tratto in inganno dai suoi fratelli.
Non è il traditore ma la vittima del suo stesso tradimento. Costretto, ingabbiato, schiacciato.
Del resto se Giuda non avesse commesso il tradimento avrebbe comunque tradito il disegno divino.

Quale è stata la tua reazione non appena hai compreso quale sarebbe stato il tuo personaggio?
Sono molto legato al personaggio di Giuda perché lo vidi interpretato da mio padre da piccolo e ne fui scosso. Credo che fu il mio primo approccio alla “finzione” teatrale. Allora ne fui spaventato.
Interpretare Giuda adesso è una sfida e un onore.

Perché credi che la regista ti abbia scelto per questo ruolo?
Per mettermi/si ancora alla prova. Per divergere e giocare. Perché la nostra è ed è stata una collaborazione che ha portato ottimi frutti.
E quindi, perché no?

 

INTERVISTA A MARTINA CASSENTI, interprete di Giovanni

 Il tuo personaggio è tradito o traditore? Perché?
Giovanni, l’apostolo che Gesù amava, è insieme tradito e traditore, esattamente come Pietro e Giuda. I tre, insieme agli altri nove discepoli, sono senz’altro traditi perché si trovano ad essere le pedine di un piano più grande, un disegno che promette la salvezza dell’intera umanità ma richiede loro il sacrificio di agire affinché l’amato Maestro muoia.
Allo stesso tempo Giovanni è anche il più consapevole tra gli apostoli, è il più amato, è colui a cui è stato affidato il compito di raccontare e scrivere della parola del Messia. È dunque lui, più di ogni altro, a conoscenza dei fatti.

Quale è stata la reazione non appena hai compreso quale sarebbe stato il tuo personaggio?
Sicuramente di grande curiosità. In questo testo Giovanni è l’oratore, lo stratega, è una figura fortemente ambigua, misteriosa e persuasiva. È la prima volta che interpreto un personaggio del genere e sono molto contenta di farlo.

Perché credi che la regista ti abbia scelto per questo ruolo?
Credo che mi abbia scelta perché sono donna e posso aggiungere al personaggio caratteristiche più ambigue e seduttive. Inoltre, guardando diverse iconografie dell’ultima cena, mi sono accorta di avere delle connotazioni fisiche simili a quelle di Giovanni. Magari sono stata scelta anche per questo.

 

INTERVISTA A VALERIA MENDOLIA, allestimento

 Che colore ha il tradimento?
Il tradimento per me è rosso. Il rosso è uno dei colori più usati dal marketing, risalta rispetto a tutti i colori e viene utilizzato per attirare l’attenzione, aumenta il battito cardiaco e crea una sensazione di pericolo. Rappresenta il sangue e la vita, la passione, l’amore, un colore dinamico e seducente in grado di risvegliare il nostro lato più aggressivo.

Se la colpa fosse un tessuto quale sarebbe?
Pochi sono i tessuti che davvero accarezzano i nostri sensi. Il velluto con i suoi toni brillanti e la sua calda fluidità è uno di questi. Il velluto è assolutamente il tessuto del tradimento.

Quale parte del lavoro con Auretta Sterrantino ti diverte di più?
La parte che mi diverte di più con la regista è la scelta dell’attrezzeria e degli oggetti di scena. Dopo aver scelto con cura e realizzato ad opera d’arte dieci possibilità, scelte alla prima filata dello spettacolo, decidiamo semplicemente guardandoci di eliminarne nove, perché amiamo l’essenziale ma dobbiamo sempre avere tutto, anche quello che non ci serve.

 

INTERVISTA A ELENA ZETA, assistente alla regia

Che cosa hai imparato da questo nuovo lavoro?
Le profezie si capiscono solo mentre si avverano, quando il cerchio dei significati si stringe, quando più segni puntano verso lo stesso senso. Il segno, il significante, di per sé e per sé, non ha un unico e definito corrispondente: lo assume in base alla relazione con l’ambiente in cui si trova e con gli altri segni con cui interagisce. Questa è la profezia. Questo è il teatro. E quindi, volendo completare il sillogismo, mi sento di azzardare che il teatro è (se diamo a tutti i segni questo senso) profezia.

Risposta libera a domanda libera.
Senza dubbio Giovanni. Chi racconta la storia, muove la storia: è un concetto intrinseco alla comunicazione. Ed è, soprattutto, un processo attualissimo che (non) vediamo accadere davanti ai nostri occhi ogni giorno. Chi più chi meno, lo accettiamo. Chi per mancanza di mezzi, chi per scarso interesse, chi per convenienza, chi per paura, chi per pigrizia, chi per fedeltà… e c’è chi lo accetta semplicemente perché non ha mai pensato a raccontare la sua versione.

Definisci con una citazione questo dramma.
«Dio esiste o no? Una volta per tutte!»
«Una volta per tutte, no!»
«E chi si prende gioco degli uomini, Ivàn?»
«Dev’essere il diavolo» ridacchiò Ivàn.
(Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov)

 

 

Ph. Giuseppe Contarini