GIUDA. UN DISCEPOLO DAL VOLTO UMANO

di GIUSY BOCCALATTE

Se venisse chiesto chi è la figura del traditore per eccellenza, nella più probabile delle ipotesi il primo a cui si tenderebbe a pensare è Giuda Iscariota, uno dei dodici apostoli di Gesù. Nell’immaginario collettivo si associa a Giuda la perifrasi di traditore per antonomasia, il più antico nella storia dell’umanità, che in cambio di denaro ha determinato la morte del Maestro, consegnandolo a chi lo condannò a morire perché non credeva fosse il figlio di Dio.

Questa visione tradizionale, ampiamente diffusa e comunemente accettata dai più, è figlia di una versione squisitamente ecclesiastica dei Vangeli, che suggerisce l’immagine di un Giuda severamente giudicato e accusato come colpevole, oltre che principale rappresentante del male. Siamo sicuri che questa sia l’unica interpretazione plausibile? È la verità assoluta da cui sono dipese le sorti dell’umanità?

Ad aver affrontato e proposto altre possibili chiavi di lettura in nome di un principio di libertà espressiva, artistica, creativa e critica, ci ha pensato Auretta Sterrantino, dalla cui scrittura e regia è nato Giuda. Ed era di notte. Il dramma è andato in scena domenica 24 marzo presso la Chiesa di S. M. Alemanna, e ha visto protagonisti gli attori Danilo Carciolo, Michele Carvello e Martina Cassenti, magistrali nelle vesti rispettivamente dei tre apostoli Pietro, Giuda e Giovanni.

Lo spettacolo rappresenta un nuovo capitolo della Trilogia dei Traditori o Portatori di colpa, aperta da Caino. Homo Necans.
Giuda è veramente traditore macchiato di un peccato imperdonabile da cui non si può essere redenti o ha solo compiuto un destino già scritto? È agente consapevole delle sue azioni o strumento passivo di un disegno divino a cui è stato chiamato? Il potere del dramma è stato innescare una questione ontologica estesa all’intero genere umano e da sempre oggetto di teorizzazioni che hanno costellato la storia del pensiero filosofico, dal Medioevo a oggi: Giuda davvero non aveva altra scelta? Perché proprio lui e non un altro? E di conseguenza: perché siamo chi siamo e non siamo qualcun altro? Sulla base di cosa veniamo determinati? In questo consiste il mistero della vita, fitto tanto quanto quello della morte. Non si sa esattamente perché a qualcuno capiti di subire un determinato destino, diverso da quello di un altro. Certo è che, stando a un’ottica laica e antropocentrica, se non scegliamo le nostre origini, abbiamo almeno il potere di scelta in una successiva fase, quella adulta, quando siamo capaci di intendere e volere. A conferma di quanto il tema sia controverso si pone un altro quesito: allora perché Giuda non riesce a sfuggire al proprio destino? Potrebbe dire chi crede nell’esistenza di forze e dinamiche incontrollabili che limitano la libertà umana.

Lo spettacolo è interamente caratterizzato da un dialogo a tre tra Pietro, Giuda e Giovanni. È uno scambio di battute premonitore, perché rivela ciò che avverrà e i comportamenti di ognuno di loro. In particolare è Giovanni a parlare spesso, e a rappresentare quindi l’oratore nonché il detentore del logos, che racconta e trasmette la storia. Le sue parole sono presagio di una volontà divina alla quale nessuno di loro può sottrarsi, come se ciascuno fosse predestinato a ricoprire un ruolo. Giuda è il prescelto per mandare Gesù in croce, Pietro è l’eletto che fonderà la Chiesa, e Giovanni il narratore e motore della storia. Tutti e tre sono parte del “disegno del Creatore per salvare l’umanità”, come afferma Giovanni, secondo cui tradirebbero se non rispettassero il progetto divino. È una triade che tradisce, ma che in fondo non tradisce: i tre sono fragili perché umani, mortali, finiti, fallibili. Il bene e il male sono elementi presenti in tutti e tre i discepoli. Non c’è chi è più traditore e più tradito. La differenza diventa talmente sottile, ancora più che in Caino tra Caino e Abele, da non riuscire più a riconoscere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

La difficoltà di distinguere il vero dal falso rende qualsiasi verità precaria e fallace e per questo soggetta a un’eterogeneità interpretativa. Giovanni, autore della storia, testimonia la sua versione dei fatti, a cui è possibile credere per atto di fede, ma di cui non si può con assoluta certezza dimostrare la fondatezza e la veridicità. Ci sono variabili, sfumature e sfaccettature di significati che aprono le strade ad accezioni e connotazioni che si possono discostare da quelle più note.

Questo possibile scenario induce a interrogarci su chi, nella nostra storia, sia il manipolatore, e chi il manipolato. Il confine forse è labile anche in questo caso e a pochi acuti osservatori è dato scrutarlo. Giuda è emblema di chi ama osservare e vuole capire tentando di accedere a un sapere occulto e a tratti precluso. Nonostante i suoi sforzi, non gli è concesso scappare dal suo destino.

La poetica di Auretta Sterrantino è laica e sdoganata da istanze e dogmi cattolici. La fede è un dono e non appartiene a tutti: chi non ce l’ha è libero di vivere nel beneficio del dubbio.
Kant riteneva l’idea di Dio troppo elevata per poter essere affermata e verificata da un’umanità imperfetta rispetto alla potenziale entità divina. Il teatro comunica diverse verità e provocazioni, che diventano dunque soggettive e interpretabili, contro ogni convinzione passiva e pedissequa. La posta in gioco può essere perdere il consenso e l’approvazione della massa, ma vale la pena rischiare, continuando instancabilmente a esprimersi attraverso il teatro. Il teatro non è elitario come si potrebbe credere, può essere di tutti e appannaggio di tutti.