CUNTARI PASSATI PER RACCONTARE IL PRESENTE

L’OSSERVATORIO CRITICO DI QA PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2020 – MESSINA
20 luglio 2020

di Andrea Ansaldo

La terza data del Cortile Teatro Festival, svoltasi lo scorso 20 luglio, ha visto andare in scena (Comu veni) Ferrazzano, la produzione della compagnia Babel di e con Giuseppe Provinzano, opera che vive grazie alle capacità d’improvvisazione del suo interprete. Provinzano interpreta Ferrazzano, personaggio del folklore siciliano, e lascia che sia il pubblico a influenzare la sua performance, mostrando, oltre alle capacità artistiche, anche una conoscenza profonda delle storie di Giuseppe Pitrè, etnologo siciliano che nella seconda metà del XIX secolo ha legato il suo nome a un’opera enciclopedica capace di raccontare la Sicilia in ogni suo aspetto, dal più serio al più giocoso. Il lavoro non abbandona mai del tutto il tono leggero che permea i suoi avvenimenti, eppure stimola interrogativi sul significato, sul senso della tradizione che porta in dote e lascia che il pubblico respiri sensazioni che rimandano a tempi andati.
Nella contemporaneità, la parola tradizione è spesso utilizzata con atteggiamento leggero. Secondo la Treccani, la tradizione è la «trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze». Un’ancora, sostanzialmente, una narrazione di antiche conoscenze, la quale ci consente di vivere brevemente suggestioni irripetibili tratte da momenti ormai lontani. Da quando l’era digitale ha avuto inizio e il mondo si è schiuso davanti a noi come un bel fiore, usi e costumi di ogni realtà, grande o piccola, sono diventati oggetti di condivisione, uno sharing d’inestimabile importanza che permette a chiunque di volgere lo sguardo su contesti vicini e lontani, noti e ignoti. Ma non è tutto oro quel che luccica e ogni individuo, o per meglio dire utente, sembra possedere l’incontrollabile necessità di trovare conferma del proprio punto di vista, per poi rinchiudersi nelle bolle d’opinione proposte da social network e affini. Quest’inevitabile chiusura comporta la polarizzazione che oggi compone il dibattito politico a ogni livello, innalzando il normale individuo sul piano del politico e abbassando il politico al piano del normale individuo, in un gioco di livellamento che conduce alla semplificazione elementare di qualunque complessità.
In questo contesto, la tradizione è quasi sempre vista o come un bene costantemente minacciato da fattori esterni o alla stregua di un monile impolverato di relativa importanza. Nel gioco degli assoluti, manca però un pezzo. Anzi, il pezzo c’è, ma è messo storto. La tradizione diviene un oggetto verso cui avere svariati atteggiamenti, esclusi quelli davvero sani che esulano dai discorsi sui “pericoli che incombono sull’Occidente” o dal fatto che “la festa X è razzista/sessista perché 200 anni fa andava in quel modo”.
(Comu veni) Ferrazzano interviene per raddrizzare il sopracitato pezzo storto, per questo Provinzano si fa corpo e voce di Ferrazzano, scaltro e vulcanico personaggio della tradizione siciliana, e lo fa con quell’atteggiamento in parte divulgativo e in parte narrativo che nasce dalla conoscenza, dallo studio e dall’amore. Un amore che trasuda dal lavoro di Provinzano, capace di animare con la sua presenza e i suoi racconti i tratti di una Sicilia passata, ma vibrante degli stessi sentimenti universali che sono insensibili allo scorrere del tempo. Lo stesso amore che animava Giuseppe Pitrè. In scena, Provinzano non recita un testo, racconta dei fatti, cunta passati. Con la scusa di un gioco da taverna tra il cuntista e il pubblico, la tradizione rivive, si trasmette ai posteri. Già che ci siamo, si beve anche del vino. Chi vince beve, infatti se Provinzano-Ferrazzano riesce a raccontare inserendo tutti gli elementi dati dal pubblico si premierà con un bicchiere, altrimenti berrà lo spettatore. In fin dei conti, anche i giochi fanno parte della tradizione di un popolo, e nulla unisce più di un gioco. Lo conferma lo stesso Pitrè, che dedica un intero volume ai divertimenti dei ragazzi siciliani di fine Ottocento.
Tra un bicchiere e l’altro, Ferrazzano si muove in una scenografia totalmente bianca che richiama Palermo nelle forme, ma che allo stesso tempo è abbastanza generica da poter rappresentare qualunque città, a rimarcare l’universalità del personaggio e della sua storia. Ferrazzano vive a Palermo, ma vive in ogni altro posto, con un altro nome e con un altro accento. Da ogni storia, questo personaggio emerge in tutta la sua scaltrezza, mostrandosi come un maestro dell’espediente e figura di spicco della filosofia del carpe diem. Ferrazzano si mostra brillante nelle sue trovate, ma le confessioni a cui si lascia andare squarciano il velo che appanna la sua interiorità, dimostrando che in lui, come in chiunque altro, dimorano tragedia e farsa: in una vi è l’altra, caratteristica di una condizione umana immutabile che ci accomuna. Ferrazzano, così come i suoi omologhi in giro per il mondo, ci dice chi eravamo, chi siamo e, al netto di eventuali disastri, chi saremo, nel segno della migliore tradizione umana.

(COMU VENI) FERRAZZANO
II capitolo della Trilogia P3_coordinate popolari
dall’opera di Giuseppe Pitrè
di e con Giuseppe Provinzano
luci e ambiente scenico di Petra Trombini
visto al CORTILE TEATRO FESTIVAL
diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancio

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena