FRAMMENTI DI UNA RINASCITA

INTERVISTA A G. GEMELLI PER IL  CORTILE TEATRO FESTIVAL
a cura di Andrea Ansaldo e William Caruso

Come hai vissuto questo periodo di quarantena? A cosa ti sei dedicata?
Questa performance nasce proprio da questo periodo storico. Ho vissuto ovviamente chiusa in casa, all’inizio con difficoltà, con nostalgia, non avevo nemmeno spunti creativi. Io ho una scuola di danza ed eravamo chiusi, è stato un po’ difficile accettare tutto ciò, anche perché comunque sia sei in casa. Io sono una persona molto positiva, quindi non ti dico che sono entrata in depressione ma è stato comunque provante, è una cosa che si ricorderà. Dopodiché invece la creatività per me ha il sopravvento e quindi ho iniziato a lavorare da casa e ho iniziato creando il mio spazio. Ho una terrazza abbastanza grande dove ho iniziato a danzare, a creare delle coreografie, poi ho iniziato a creare anche dei video, infatti nella performance ci sono dei video. Questa per me è una cosa completamente nuova, però mi sono divertita così tanto che l’ho fatto diventare un lavoro, nel senso che a un certo punto ho iniziato a farlo anche per altre situazioni. Ho iniziato a pubblicare questi lavori sui social, dopotutto la mia creatività doveva venir fuori. Stando in casa, solo tramite internet, si può fare qualunque cosa. La performance è il culmine di tutta questa situazione. Parto da una situazione più cupa, in cui sono costretta in me stessa, poi però da questa chiusura formo e creo un’altra me stessa. Da lì si creano dei piccoli frammenti: il sottotitolo è da molte a una e ritorno, perché inizialmente sono me stessa, una, poi mi divido in vari frammenti – che è ciò che ho provato in quarantena notando tutte le varie sfaccettature di me – per farne invece qualcosa di positivo e creativo, quindi per creare una nuova persona.

Nascendo da una situazione di quarantena, la performance è anche una risposta o solo una necessità?
Anche una risposta. Inizialmente è nata come necessità, però il modo in cui io mi sono approcciata è proprio una risposta. Credo che tutti più o meno abbiano passato periodi più negativi o più propositivi durante la quarantena. Anche parlando con degli amici, molti si sono dovuti trovare qualcosa da fare e questo è stato un riscoprirsi, quindi creare un nuovo io, una nuova persona. Ognuno, con le sue caratteristiche, penso abbia agito prima per necessità poi come risposta.

La performance è organizzata per poter essere eseguita in loop nel corso di vari turni. Però ho sentito che non puoi farla troppe volte perché, letteralmente, ti laceri.
Sì, anche perché il pavimento non è un tappeto danza. Mi lacero perché essendo costretta a rifarlo più volte poi ci si stanca…

Questo mi fa venire in mente come molte danzatrici nel corso della storia abbiano praticato la danza a piedi nudi…
Mi avevano proposto di mettere il tappeto danza ma, essendo una performance in loco fatta per il Cortile, ho voluto che il pavimento fosse protagonista.

Quindi il rapporto che c’è tra il tuo corpo e lo spazio…
…è fondamentale per me e per la danza contemporanea, il rapporto fondamentale tra il corpo e il suono, il corpo e lo spazio a trecentosessanta gradi. I lati, il tetto, il pavimento, qualunque cosa è fondamentale.

Mi viene in mente, da questo punto di vista, la danza urbana che valorizza il paesaggio in cui si svolge la performance. Come ti poni tu in rapporto con la città?
Innanzitutto penso che bisogna valorizzare tutti i posti della città. Anche con la mia scuola abbiamo fatto degli spettacoli in vari luoghi, proprio perché la città conserva dei posti meravigliosi ed è fondamentale valorizzarli. Allo stesso tempo avvicini la gente all’arte, che è la cosa primaria. Questa valorizzazione l’ho vista quando ho lavorato in Francia. Non sempre si va a ballare all’Opera di Parigi, ci sono milioni di teatri e teatrini, cantieri, che sono un amore. Invece qui si tende sempre ad andare nel teatro più grande. Tutto ciò è fondamentale per valorizzare, per avvicinare le persone di un quartiere.

Qual è il rapporto che si è venuto a creare tra il tuo lavoro e quello di Stefano Barbagallo?
Stefano si è occupato della regia e della messa in scena dei video, mi ha dato una mano in questo modo, anche perché molte cose non le so fare. I video invece li ho fatti io, sono stati una mia idea, perché non sapevo come danzare senza uno spazio. Questo spazio alla fine è diventato casa, in quarantena, però per farlo vedere a qualcuno doveva essere per forza un video. Il rapporto con Stefano invece si materializza in scena, in questo caso, per Defragmentō. Posso essere danzatrice, coreografa, ma non una light designer, mentre Stefano è un professionista. Ma anche per quanto riguarda la regia ci sono delle cose per cui ho sempre avuto bisogno di un aiuto. Non ho mai fatto nulla da sola. A Messina, è la prima volta che sono sia coreografa che interprete, in questo caso il suo aiuto è stato fondamentale.

Quali sono le basi di questo lavoro sul corpo?
Io nasco come danzatrice classica, ho studiato a Roma, all’Accademia Nazionale di Danza, specializzandomi in danza contemporanea. La danza classica si fa sino ai 12 anni circa, dopodiché si inizia anche la contemporanea. Sapendo di voler fare questo mestiere ho fatto tutti i tipi di danza. Sul mio corpo sento più mia la danza contemporanea, la classica, che è un’ottima base, ho continuato a studiarla per passione, in accademia ho lavorato su entrambe le discipline, ma poi ho sempre fatto danza contemporanea. Insegno sia danza classica propedeutica con i bambini sia danza contemporanea, quindi da lì nasce tutto.

Nella prospettiva di eventuali repliche, come si adatterebbe la performance?
Questa performance nasce come loop, ma in realtà noi vorremo farlo diventare uno spettacolo di un’ora. Sicuramente verrebbe modificato, innanzitutto a seconda dello spazio. Questa performance è stata fatta per questo spazio, se ce n’è uno più ampio è chiaro che viene modificata, anche nel suo timing e di conseguenza tutta la coreografia. Poi dipende: potrebbero venire coinvolte anche altre danzatrici, non so. Sicuramente Defragmentō è nato per questa performance, per questo cortile, ma con l’idea di farlo diventare uno spettacolo.

 

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena