#CENERE – APPROFONDIMENTI: A. STERRANTINO

INTERVISTA AD AURETTA STERRANTINO, AUTORE E REGISTA, A CURA DI VINCENZA DI VITA

Come interpreta il suo autore il titolo di questo nuovo lavoro?
Gli antichi si cospargevano il capo di cenere in segno di lutto, faceva parte di un rito. Cenere chiede di tornare a una ritualità di senso che ci consenta di allontanare ciò che è diventato impossibile da sopportare e che ci faccia tendere sempre un passo oltre il limite che ci costringe entro i confini di ciò che è facilmente possibile da raggiungere.

Cosa significa fare teatro ai tempi del Covid?
Confrontarsi una volta di più con la distanza e l’assenza. Lavorare sulle barriere e liberare la comunicazione tentando di amplificare alla massima potenza ogni emozione per riuscire a trovare il pubblico e sollevarlo dalla sua solitudine. Forse significa combattere l’isolamento.

Viviamo in una Terra desolata o la volgarità della nostra civiltà è desolante?
Una terra desolata è la desolante conseguenza della nostra imperante aridità. Un’aridità volgare perché riguarda tutti noi e la esprimiamo senza ritegno alcuno, senza alcun senso di responsabilità, senza rispetto verso ciò che ci circonda o verso una spiritualità di cui abbiamo perso traccia.

Il testo è scritto con una chiara partitura ritmica che sembra disegnata sul corpo di un’attrice (Giulia Messina, ndr) che il regista ben conosce. Come è avvenuto il montaggio delle parole sulla macchina attoriale?
Si è lavorato prima a tavolino, per scandire i sensi, il ritmo, la sonorità di ogni parola e creare una partitura precisa. Una volta in piedi il lavoro si è mosso e ci siamo connesse totalmente, con grande sintonia. Giulia è un’attrice completa e usa il corpo con grande duttilità, è molto acuta e ascolta le indicazioni con molta attenzione. Abbiamo costruito una nostra grammatica e così le indicazioni prendevano forma e diventavano una partitura precisa. Io parlavo e lei eseguiva e man mano limavamo ogni dettaglio per rendere tutto molto preciso nella pulizia del gesto a beneficio del senso e del pathos e nel rispetto del ritmo a beneficio della relazione con musica e parola. Abbiamo ormai una serie di parole precise che corrispondono a movimenti o reazioni precisi, Giulia è duttile e si è facilmente trovata nel mio linguaggio che serve a dar corpo al movimento in un’ottica teatrale.

Vengono dichiarati alcuni colori ma quale scenografia compone lo spettacolo e come è disposto il pubblico?
La scena è il nulla e in tal senso anche il tutto. In questa fase dello studio non ci sono – e credo non ci saranno neanche in futuro – elementi scenografici se non l’attore, il suo corpo e lo spazio scenico: una pedana di legno i cui confini sono ben evidenziati, concentricamente chiusa in questo caso nello spazio delimitato di un cortile settecentesco. Lo studio è stato concepito per uno spazio specifico e sarà interessante capire come questo aspetto evolverà in seguito una volta fuori da quella specifica location.