«PARLARE DELLE COSE DI CUI È PIÙ DIFFICILE PARLARE»

L’OSSERVATORIO CRITICO DI QA PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021 – MESSINA
a cura di Giulia C.

Il 12 e il 13 luglio è andato in scena, al cortile Calapaj-D’Alcontres, lo spettacolo Ogni bellissima cosa, scritto dagli inglesi Duncan Macmillan e Jonny Donahoe, tradotto per lo spettacolo da Monica Nappo, che ne firma anche la regia.
La pièce dispiega una riflessione sulla depressione e sul superamento del dolore. Protagonista, l’unico e il solo, è un uomo (interpretato da Carlo De Ruggieri), che racconta al pubblico la sua vita, resa particolarmente impervia da un trauma che ha vissuto quando aveva solo sette anni: il tentato suicidio della madre. Spogliato del suo manto protettivo e confuso dai problemi della vita che ancora non riesce a comprendere, il nostro piccolo protagonista si rende conto di cosa sia la fragilità. Decide quindi di volersi ricordare dell’esistenza della felicità pensando alle cose per cui «vale la pena vivere» e inizia a stilare una lista che aggiornerà fino a quando sarà grande. Non immaginiamoci una lista ricercata, a livello contenutistico, sullo stile Manhattan di Woody Allen, con citazioni di Flaubert e Marx, il milione di “cose” scritte è semplice, genuino, privo di malizia e presenta, all’inizio, anche qualche errore ortografico che sarà corretto dalla madre: il gelato, le felpe col cappuccio, la luce del sole, i film di Marlon Brando, i gavettoni, guardare la tv fino a tardi…
Ruolo fondamentale nella vita del protagonista è assegnato alla musica che, anche grazie al padre, ha imparato sin da piccolo ad apprezzare, soprattutto il jazz e il rock, da Ray Charles a Frank Sinatra. Per lui è bello «ascoltare un disco per la prima volta: rigirarlo fra le mani, metterlo sul piatto, mettere su la puntina, ascoltare il fruscio e lo scricchiolio della puntina sul disco prima che la musica inizi e poi sedersi ad ascoltare mentre si leggono le note di copertina». La musica, in questo spettacolo, aiuta il protagonista a spiegare determinati momenti della sua vita, come, ad esempio, il primo incontro con la sua futura compagna oppure il rapporto con il padre.
Trovare la delicatezza opportuna per un tema estremamente difficile, come la depressione e il suicidio, non è semplicissimo. Proprio per questo, lo spettacolo non si presenta come un drama all’americana, con tante scene commoventi e strappalacrime, ma cerca di sdrammatizzare e di smussare gli angoli più acuminati della tematica, senza mai, però, nascondere o mentire: il pubblico diventa come un diario segreto in cui il protagonista si rivela e si racconta.
L’attore sta al centro del cortile, accompagnato dal suo sgabello e circondato quasi completamente dal pubblico. All’inizio della pièce, come in uno show televisivo, l’attore distribuisce a ognuno degli spettatori un bigliettino numerato con su scritto un punto della lista che, al momento opportuno, verrà letto dal possessore del biglietto, ricreando un gioco a cui tutti possono partecipare. Ad accompagnarlo in scena sono gli innumerevoli oggetti che estrae dalle sue tasche o che ricerca sulla sedia alle sue spalle o per terra. Lo spettacolo è privo di scenografia, ma a far risaltare e arricchire la scena è la luce a tinte sfumate di viola e rosa che bagna le pareti del cortile. La storia è attraversata da più personaggi, fondamentali per la crescita personale del protagonista: il papà, la maestra, la compagna di vita, un amico a quattro zampe, il veterinario, ruoli che vengono ricoperti dagli spettatori stessi, scelti da Carlo De Ruggieri sul momento, creando col pubblico un’interazione diretta e anche, a volte, divertente.
Lodevole è l’interpretazione di De Ruggieri, delicata e profonda al contempo, una recitazione che esalta la scrittura di Macmillan e Donahoe, asciutta e diretta: non vengono risparmiate le debolezze e le fragilità che accompagnano la crescita del bambino, le notevoli difficoltà nell’interagire con gli altri, (sembra non avere amici, pare che il suo più caro amico sia un calzino parlante), ma non viene reso mai ridicolo (si ride con lui e mai di lui).
Ogni bellissima cosa, non è solo un racconto di dolore, ma anche di speranza: il male di vivere si può superare, occorre imparare a domarlo ed evitare che prenda il sopravvento. Purtroppo il dolore non sparisce e non è scontato che si superi, lascia sempre un peso nella nostra anima fragile. Spesso l’ambiente in cui viviamo condiziona le nostre emozioni, dice il protagonista: «Il vero rischio che ho percepito per tutta la vita è che un giorno mi sarei sentito così giù come mia madre e che avrei commesso lo stesso gesto perché, accanto alla rabbia e al non capire, c’è il capire perfettamente perché una persona non vuole più vivere». Aggiunge anche, però, che «è importante parlare delle cose di cui è più difficile parlare».

OGNI BELLISSIMA COSA
di Duncan Macmillan e Jonny Donahoe
con Carlo De Ruggieri
traduzione e regia Monica Nappo
produzione Nutrimenti Terrestri
visto al CORTILE TEATRO FESTIVAL
diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancio

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena