«LE COSE CHE CI SFINISCONO»

L’OSSERVATORIO CRITICO DI QA PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021 – MESSINA
di Giulia C.

La ricchezza, il potere, l’ingordigia, l’indifferenza, l’oggettivazione del corpo femminile, la menzogna, la finta miseria e nobiltà sono sempre stati oggetto d’attenzione per la letteratura e il cinema interazionale: pensiamo, ad esempio, ai romanzi del controverso scrittore francese Boris Paul Vian, esiliato in carcere per aver proposto nei suoi libri stili di vita sfrenati e violenti, al limite dell’eccesso; oppure allo scrittore italiano Alberto Moravia, che spesso nei suoi romanzi tratta dei lati oscuri che coinvolgono la società borghese. Questi temi ritornano spesso, anche nel mondo dello spettacolo, ne sono un esempio i pezzi che compongono Gola e altri pezzi brevi, del regista e sceneggiatore italiano Mattia Torre. Il Cortile Teatro Festival ha reso omaggio a quest’ultimo, invitando l’attore Valerio Aprea (il 16 luglio al cortile Calapaj-D’Alcontres) che, davanti al pubblico, ha interpretato quattro monologhi, tra i più famosi di Mattia Torre. A interagire con l’attore, sono le musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia, tratte dalla pellicola Figli, scritta e diretta dallo stesso Torre. L’accurata recitazione di Aprea e le suggestive musiche ricreano una perfetta armonia, studiata nel minimo dettaglio: a ogni sequenza musicale corrisponde una frase; ogni risata, ogni pausa, ogni sospiro sono perfettamente studiati, «come se i pezzi musicali fossero stati scritti apposta» dice l’attore.
Il reading, attraversato dal tipico umorismo romano, parla dei tanti cliché che accomunano noi italiani. Mattia Torre ci restituisce l’immagine di una società decadente, presa dai vizi, dai lazzi e dalle futilità della frenesia quotidiana: sempre alla ricerca dell’introvabile ‘bella vita’. Su un piatto d’argento costosissimo, ci viene presentata una società apparentemente sfarzosa e opulenta come un tacchino prelibato, ma senza farcitura: la nostra società è meschina, insensibile persino alla miseria, irrispettosa, superficiale e incredibilmente materialista, interessata solo all’ottica dell’utile. Il primo monologo, Colpa degli altri, ironizza sull’abitudine sfrenata che ci distingue: dare sempre la colpa agli altri, per qualsiasi cosa. Secondo Torre, viviamo in una società in cui nessuno si prende mai la propria responsabilità, in cui sono tutti bravi a criticare e gettare fango anche su chi non ha colpe. Il pubblico ha così la possibilità di conoscere l’aspetto prepotente, arrogante e borioso di tanti italiani, che spesso viene velato da un falso vittimismo. Il secondo monologo, Yes, I can, ritrae un uomo, che si gode il venticello estivo sulla propria terrazza, mentre desidera ardentemente fare una passeggiata con una donna molto affascinante, non importa la sua personalità, la sua intelligenza o la sua sensibilità, basta che sia così bella da essere invidiata da tutti. Quindi, in tal senso, la donna viene paragonata a una macchina lussuosa da osannare: viene vista solo come un oggetto per sentirsi superiore agli altri. Ricorda quasi il monologo di Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street, dal quale si può ricavare una buona dose di misoginia da parte di una mentalità ristretta e capitalista.
La parte più ‘succulenta’ arriva con Gola (che dà il titolo a tutto lo spettacolo) in cui, come dice in un’intervista lo stesso Valerio Aprea, Torre, da grande goloso, inserisce una buona dose di autoironia.
L’attore inizia il monologo dicendo: «Noi siamo questo Paese a cui piace mangiare, questo Paese vitale e virile, che quando c’è da mangiare, mangia, senza troppe storie. Questo Paese mangia più di tutti gli altri Paesi del pianeta». Anche quando si parla di cucina, gli italiani non possono difendersi: il nostro Paese è conosciuto per la qualità e la prelibatezza del cibo, ma molti italiani usano questo pregio con tracotanza, per prevalere sulle altre cucine, considerate di livello inferiore. L’attore dice che l’italiano medio non ha rispetto per chi non è una buona forchetta o per le altre culture: assaggiare cibo orientale, come il sushi, è una goliardata; essere vegani o vegetariani è un’idiozia; non mangiare, dopo un funerale, è una grave mancanza.  La giustificazione per questa ossessione?  Tutta colpa della guerra e della miseria che ci hanno rovinato. È triste osservare un ritratto così decadente dell’Italia, famosa per la sua cultura e le sue tradizioni. Molti non si preoccupano più dei gravi problemi che logorano la nostra società, come la mafia o il terrorismo, si  scandalizzano invece per le cose più effimere, come un banalissimo fiore di zucca senza acciuga. Inoltre, ci dice Torre, gli italiani non mangiano per fame, anzi, per loro il digiuno non esiste proprio: si abbuffano per il solo piacere di immergersi nella buona cucina, guidati da una voglia atavica e innata. Il pasto è un rito imprescindibile, che non deve essere intralciato da niente e da nessuno. Trovare conforto in una società del genere è un’impresa ardua.  «Queste sono le cose che ci sfiniscono»: la ricchezza ci consuma, il vuoto perfezionismo ci attanaglia, il desiderio di potere ci affanna e ci consola, l’ipocrisia ci rovina, l’invidia ci logora. Ma poi… che resta?

 

GOLA E ALTRI PEZZI BREVI
di Mattia Torre
con Valerio Aprea
musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia
produzione Nutrimenti Terrestri
visto al CORTILE TEATRO FESTIVAL
diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancio

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena