IL BUCO NERO DAL QUALE NON SI VUOL FUGGIRE

L’OSSERVATORIO CRITICO DI QA PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021 – MESSINA
di Andrea Ansaldo

L’offerta del Cortile Teatro Festival si è arricchita della presenza di La vita ha un dente d’oro, l’affascinante e misterioso spettacolo di Rita Frongia, diretto da Claudio Morganti e interpretato da Gianluca Stetur e Francesco Pennacchia. È difficile parlare di La vita ha un dente d’oro, perché non si sa bene di cosa si dovrebbe scrivere. Per comodità, è utile restituire l’immagine iniziale: i due attori siedono uno di fronte all’altro, tra di loro c’è un tavolo con sopra una bottiglia, un bicchierino e delle carte. Due personaggi senza nome in un contesto di convivialità da taverna, illuminati da una luce che ne delinea i tratti con naturalezza e da una luce di riempimento che ne ammorbidisce le ombre. Da qui in poi la situazione va via via a complicarsi: coreografie e gesti assurdi, discorsi sconnessi e cortocircuiti d’ogni genere. È come se si volesse privare d’ogni senso la parola e il movimento, portando così lo spettatore in una dimensione in cui tutto può accadere. La straordinaria prova attoriale dei due interpreti, perfettamente sinergici, ci conduce in un baratro dove la realtà collassa gradualmente, in cui nulla è prevedibile. È così che la taverna diventa una stanza senza più pareti, per citare il famoso brano, uno spazio non delineato sotto un cielo ricamato di stelle. Stetur e Pennacchia giocano tanto su ciò che non vediamo, dipingendo diverse situazioni: il gioco con un cane, la luce di un faro lontano, un uomo sognante sdraiato sul prato.  La vita ha un dente d’oro ci trascina in un mondo mutevole, dove la realtà è percezione soggettiva: è un sogno da decifrare al mattino, è uno sforzo che le sinapsi sostengono per trovare un senso. Il filo che lega le situazioni a cui assistiamo esiste, ce ne rendiamo conto, ma è quasi introvabile all’interno del ‘caos controllato’ creato dai due protagonisti. Questa dimensione onirica, o forse semplicemente indecifrabile, è difficile da descrivere e da approcciare con leggerezza. In un certo senso, è come confrontarsi con alcuni film di Lynch, come Mulholland Drive o Inland Empire. Approcciare questi due film con lo spirito dello spettatore razionale è quasi del tutto inutile, proprio perché il regista americano adora lavorare sulle percezioni, sul confine tra sogno e veglia. Allo stesso modo, è inutile appiccicare sensi e spiegazioni a narrazioni che, palesemente, le rifiutano. Di certe opere, e La vita ha un dente d’oro è tra queste, la cosa migliore da fare è godersi il viaggio, lasciarsi turbare dalle domande senza risposta, farsi portare in luoghi che non vedremo mai, coglierne l’inspiegabile e misteriosa bellezza. Stetur e Pennacchia, durante lo spettacolo, celano e rivelano sempre nuove realtà, mutevoli ma tangibili. Nel finale, la regia porta i nostri occhi dove devono essere, trascinandoci sempre più nel baratro. Le luci si spengono, creando un buco nero da cui i fotoni non possono fuggire, annullando il tempo e lasciando solo l’oscurità, accompagnata da una chitarra distorta che sembra presagire un universo dove parole, sensi e realtà collassano in un’unica e misteriosa materia.

 

LA VITA HA UN DENTE D’ORO
con Gianluca Stetur e Francesco Pennacchia
ideazione e drammaturgia Rita Frongia
regia Claudio Morganti
produzione Esecutivi per lo spettacolo con il sostegno di Regione Toscana/Teatro il Moderno di Agliana
visto al CORTILE TEATRO FESTIVAL
diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancio

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena