MAJAKOVSKIJ ODIAVA I PETTEGOLEZZI
INTERVISTA A C.BATTISTON E G.FARINA (COMPAGNIA MENOVENTI) PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021
a cura di Giulia C. e Francisca M.
Il 22 luglio 2021, al lido Legambiente di Torre Faro, abbiamo ascoltato il radiodramma Majakovskij Bpm realizzato dalla compagnia Menoventi. L’acronimo, presente nel titolo dell’opera, si riferisce alla conclusione della lettera di addio scritta dal poeta: «Buona permanenza al mondo». Un radiodramma che, attraverso un’attenta scelta delle voci, ripercorre gli ultimi attimi di vita del poeta, sulla cui morte si è discusso tanto: nessuno sa la verità. Neanche l’ascoltatore alla fine del radiodramma saprà se si è trattato di un suicidio, l’ipotesi più ragionevole, o se si è trattato di un omicidio, ipotesi a cui il pubblico è spinto a credere ascoltando la Voce creata dal poeta, personaggio fondamentale e principale narratore delle vicende. L’obiettivo del radiodramma, però, non è quello di svelare il mistero ma di portare l’ascoltatore a riflettere su una volontà del poeta: niente pettegolezzi.
È attraverso le voci di Consuelo Battiston, Mauro Milone, Tamara Balducci, Leonardo Bienconi e Federica Garavagna che l’ascoltatore, seduto su una sdraio ad ammirare il cielo stellato, conosce un poeta feroce, rivoluzionario e innamorato della poesia. Tutto a un tratto veniamo catapultati nel 2120 e, pur non ottenendo alcun piacere visivo, ci scopriamo, inaspettatamente, immersi in un futuro ipotetico in cui le creazioni umane posseggono voci robotiche, segno di un’evoluzione tecnologica. La Voce creata dal poeta si presenta e ci narra le vicende del 1930, anno della morte di Majakovskij. Le parole sono chiare, non c’è spazio per i fraintendimenti, l’ascoltatore ricostruisce i fatti insieme alla voce di una detective del futuro che si sovrappone a quella del narratore principale, prendendosi a poco a poco più spazio nella vicenda, ingannando noi ascoltatori e facendoci alzare dalla sedia con un grande dubbio: ma perché Majakovskij si è ucciso?
Dopo l’ascolto del radiodramma, abbiamo raggiunto Consuelo Battiston e Gianni Farina che, molto gentilmente, hanno chiacchierato con noi rispondendo alle nostre curiosità.
Da dove è nata l’idea di un radiodramma e perché parlare di un poeta russo?
CB: Il progetto è nato da un libro, Il defunto odiava i pettegolezzi, di Serena Vitale. Lo scorso anno avrebbe dovuto debuttare uno spettacolo con lo stesso titolo, però il Covid19 ci ha rallentato, e quindi ne abbiamo creato un altro per il Ravenna Festival, intitolato Buona permanenza al mondo, ovvero l’ultima opera poetica scritta da Majakovskij. Questo spettacolo è adatto per una fruizione sonora, perciò abbiamo pensato subito al radiodramma e, creandolo, ci siamo resi conto di alcuni aspetti relativi allo spettacolo che avevamo realizzato, confluiti in seguito nell’ultima opera di quest’anno, il sopracitato Il defunto odiava i pettegolezzi. Inoltre, dati i temi delicati affrontati, quali la solitudine e il suicidio, ci è sembrato che la radio potesse offrire un ascolto più intimo, attraverso un cosmo di voci, di pettegolezzi e citazioni.
Per realizzare il radiodramma vi siete basati solo sul libro che avete letto o avete fatto delle ricerche più approfondite?
GF: No, c’è molto altro, soprattutto nel radiodramma, ma anche nello spettacolo. Buona permanenza al mondo, frammento di passaggio che traghetta nello studio di Serena Vitale e di Majakovskij, vuole restituire tutto il depositato di materiali in cui ci siamo imbattuti durante il percorso triennale di ricerca. Quindi, oltre a Serena Vitale, ci sono testimonianze tratte dai testi di Lilja Brik, è molto presente Romàn Jakobsòn, che chiude il radiodramma con un testo a parer mio molto significativo. Tale testo è stato scritto nel 1930, anche se sembra molto più recente, ed esamina una generazione cha ha dissipato i suoi poeti. Egli scrisse celermente, subito dopo la morte di Majakovskij, questo piccolo saggio, illuminante, soprattutto nella parte finale. Poi, abbiamo anche attinto ai commenti e alle note del diario e delle dichiarazioni di Lev Trockij, Marina Cvetaeva e di Eisenstein.
Da dove è nata la scelta di utilizzare solo musica sovietica?
GF: È partita da un gioco, o meglio, una sfida. All’inizio dovevamo creare un progetto sonoro per questo lavoro e ho pensato che per le prime prove mi sarebbe piaciuto cominciare dal mondo sovietico, che conoscevo poco, e mi sono legato subito a questa musica. Successivamente ho capito che non era solo un gioco e mi sono appassionato. Ho poi scoperto per caso, in radio, Sergej Prokof’ev. Da quel giorno i suoi componimenti sono divenuti la base musicale dei nostri lavori, oltre a qualche intervento di passaggio che realizzo io stesso.
L’idea del radiodramma è nata a causa del covid o già ne avevate fatto qualche altro in passato?
GF: Ne avevamo realizzato un altro dieci anni fa, su Radio 3, si intitola Il contratto. In realtà, noi siamo ascoltatori appassionati di radio e conosciamo bene Rodolfo Sacchettini, uno dei più grandi esperti di radiodramma in Italia e non solo, grazie al quale, durante il Covid, ci siamo orientati verso la formula radiodramma, anche se già da prima era la nostra propensione naturale.
Qual è la differenza tra spettacolo e radiodramma?
GF: La differenza sta nei tempi: lo spettacolo necessita di tempi più dilatati rispetto al radiodramma che, venendo a mancare l’azione scenica e il rapporto attore-spettatore, necessita di tempi compressi e serrati.
CB: In teatro un silenzio può raccontare tantissimo, in radio non ci può essere.
GF: È una questione anche di tono: nel radiodramma non utilizziamo lo stesso tono che utilizziamo nello spettacolo. Durante le registrazioni ho sentito che c’era bisogno di un tono diverso, il cui registro non muta sempre in una direzione. Non lo so spiegare meglio: è proprio una questione di orecchio.
CB: È bello lavorare in studio costruendo il radiodramma, perché c’è un lavoro diverso sulle intenzioni: devi far arrivare, attraverso l’uso di una voce, l’emozione e l’intenzione e quindi è proprio un lavoro che va sul dettaglio. Sull’intimo: cercare delle sfumature ulteriori che l’ascolto richiede.
Quali voci avete scelto per il radiodramma?
GF: Sono gli stessi attori dello spettacolo, più qualche piccolissimo intervento mio o di alcuni amici, che si sono prestati per piccole parti. Il grosso lo hanno fatto i cinque attori dello spettacolo, che sono: Consuelo Battiston, Mauro Milone, Tamara Balducci, Leonardo Bienconi e Federica Garavagna.
Durante il radiodramma ci sono due voci principali: l’investigatrice e la Voce creata dal poeta. È una cosa voluta sovrapporre, nel corso del radiodramma, la voce dell’investigatrice alla voce narrante creata dal poeta?
GF: Nello spettacolo tutto ciò è più chiaro poiché l’attrice è sempre la stessa. Quando parla in rima e si manifesta, e si dichiara come creatura del poeta, è illuminata da una luce che la rende fluorescente e si rivolge direttamente alla platea, guardando in faccia gli spettatori. Quando, invece, è illuminata come tutti gli altri attori e la fluorescenza sparisce, lei rientra nel racconto dei fatti, nel 1930. In radio questa cosa è chiaramente meno visibile. Oltre al parlare in rima, c’è un effetto sonoro sulla voce che fa intuire due differenti figure: una è immersa nella storia e una è fuori dalla storia.
CB: Nello spettacolo che abbiamo realizzato quest’anno questa distinzione è visibile, ma i piani vengono sempre più sovrapposti generando un intreccio tra la figura che traghetta lo spettatore nei vari momenti delle vicende raccontate e la figura che si instaura nella rappresentazione delle vicende raccontate.
Durante il radiodramma il motivo della morte del poeta non viene svelato. È una vostra scelta non farlo o, effettivamente, non se ne sono mai conosciute le cause?
GF: Noi non lo sveliamo poiché, semplicemente, non lo sappiamo. In novant’anni sono stati scritti numerosi libri sulla sua morte, ognuno avanzando la propria versione, ma di fatto non si sa quale sia la verità. La lucidità di Serena Vitale sta nel chiedersi in che modo così tante persone riescano a dare per certo qualcosa che non è mai stato svelato. Lei lascia intuire una versione che forse è più probabile di altre: che si sia suicidato e che non sia stato assassinato. Secondo me il fascino del libro di Serena Vitale è proprio quello di costruire un prisma che restituisce una verità che è il frutto della somma di mille versioni diverse. La verità vera c’è ma nessuno la sa. Questo libro è il pretesto per raccontare un poeta, per raccontare un uomo profondamente solo, un’epoca di straordinario fermento creativo e l’agghiacciante oppressione di un totalitarismo tra i più spietati che la Storia conosce, nato da una grande utopia.
Si può dire che la morte del poeta sia stata tanto chiacchierata da diventare un evento enigmatico oggetto di svariate indagini storiche?
GF: Sì, il titolo del libro di Serena Vitale, appunto, è Il defunto odiava i pettegolezzi; proprio quello che per novant’anni è stato fatto.