«QUESTO NON È UNO SPETTACOLO TRISTE»

INTERVISTA A BLAS ROCA REY PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021
a cura di Giulia C.

In occasione della messinscena di Lettere a Theo, visto al Cortile Teatro Festival il 30 e 31 agosto e interpretato da Blas Roca Rey con l’accompagnamento del flautista Luciano Tristaino, abbiamo avuto la possibilità di intervistare l’attore.

Che rapporto ha con la figura di Vincent Van Gogh? Cosa possiamo imparare dal suo vissuto?
Possiamo imparare il potere enorme dell’arte, trascinante, anche in una persona che, come tutti sanno, non stava bene, passava periodi altalenanti e altri invece di pazzia ed epilessia. La spinta interiore che era data dal suo talento e dal suo bisogno fisico di fare pittura, lo ha salvato per molti anni perché sarebbe potuto morire molto prima. Era un’energia che non si riusciva a spegnere: lui passava dei lunghi periodi di depressione dai quali riusciva a sollevarsi grazie a questa spinta. Io ho sempre pensato che l’artista si basa su un’unica cosa, l’urgenza di raccontare, di dire qualcosa che ha dentro, nella disciplina che gli compete: può essere uno scrittore, uno attore, un ballerino, un pittore. È sempre quello: raccontare l’urgenza che sente. Chi più di Vincent aveva un’urgenza del genere?

Come mai tra tanti strumenti musicali ha scelto proprio il flauto?
In realtà io ho scelto per primo il flautista. Era un musicista che conoscevo e stimavo molto. Sono andato al conservatorio di Siena e gli ho letto il copione caldo caldo, appena scritto. Lui ha avuto una reazione emotiva molto forte, si è messo a piangere. Questa cosa mi ha colpito molto. Parlando con lui, abbiamo deciso che il flauto poteva essere lo strumento giusto. Lui suona quattro flauti diversi, con quattro tonalità diverse, ad esempio un ottavino che ha un suono molto acuto per i momenti più splendenti, più brillanti, più spumeggianti di Vincent. Questo non è uno spettacolo triste: è uno spettacolo in cui c’è tanta tristezza, ma anche tanta allegria, tanto entusiasmo. Invece ci sono dei flauti con suoni più cupi, più intimi, più emotivi, più passionali. È stata la scelta giusta perché la voce e la musica lavorano insieme. La musica in questo spettacolo non è la didascalia della voce; non è un passo indietro. Siamo a braccio in quest’avventura, uno complementare all’altro.

Su cosa si è concentrato per raccontare un legame così intimo come quello che intercorre tra due fratelli?
Non è un rapporto solamente tra due fratelli, è un rapporto più profondo. È come se fosse l’unica corda, l’unico appiglio che ha Vincent per vivere la vita oltre all’arte. Per Vincent suo fratello era tutto, nonostante fosse il fratello minore di quattro anni. Era il suo mercante, che si è dannato per vendere i suoi quadri, senza riuscirci. Vincent avrà venduto tre o quattro quadri. Era il suo sostenitore, perché lo manteneva. Era il suo affetto più profondo. Era il suo riferimento nella vita, sia quando stava bene, sia quando stava male. È più di un fratello, è un’ancora di salvataggio che lo ha accompagnato per tutta la sua vita. Tutti sanno che Vincent è morto in maniera violenta, si dice si sia suicidato con una pistola che non si è mai trovata, io lo racconto alla fine dello spettacolo, ma pochi sanno che sei mesi dopo è morto anche Theo con degli eccessi di follia che non aveva mai manifestato. Lui aveva un amore per la moglie enorme, ad un certo punto cominciò a picchiarla, a scappare… perse la brocca (come si dice a Roma). Morì pazzo anche lui.

Come mai ha scelto proprio lo scambio epistolare per il suo spettacolo?
È stato un po’ un caso. Anni fa mi è capitato questo carteggio con più di quattrocento lettere. Lì ho conosciuto l’artista, anche dei giorni nostri. Non capivo come non riuscisse ad avere successo, come coltivasse il suo talento. L’abnegazione, la passione, la solitudine, la povertà. Questo succede anche oggi: noi pensiamo che fare l’attore sia una passeggiata, non lo è. Noi abbiamo l’avanguardia di quegli attori molto famosi che guadagnano cifre importanti; poi ci sono gli attori “normali”; gli attori che fanno molta fatica e in questo periodo di covid hanno rischiato di brutto, abbiamo rischiato tutti quanti. Siamo stati quindici mesi fermi e non tutti possono permetterselo, tra chi ha la famiglia, l’affitto, il mangiare. Era incredibilmente attuale la visione di Vincent. Ho scelto le lettere perché lui nelle lettere tirava fuori tutto, tutto quello che aveva dentro di sé. Io ho fatto un lavoro di elaborazione, non sono lettere prese e lette. Molto spesso lui divagava, erano lettere molto confuse. Io non sono riuscito a trattare tutto Vincent, ma mi sono concentrato sull’arte e il rapporto con il fratello. Vincent non aveva quasi nessuna lettera di Theo perché era matto da legare, le perdeva, le mangiava; mentre Theo aveva un’adorazione e una voglia di conservarle quasi maniacale. Tutte le lettere che Van Gogh scriveva ci sono arrivate grazie all’adorazione che aveva Theo. Ciò che è stato difficile è sceglierle, sceglierne una ventina, una quindicina. Non volevo fare uno spettacolo di quattro ore e mezza, quindi ho scelto le più rappresentative.

 

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena