#TESSEREBLU – UNO SPETTACOLO PERCETTIVO. DISSOCIATO. COLLINARE.

INTERVISTA A ELENA ZETA PER MINIMA MENTE BLU
a cura di Marta Cutugno

Per la nostra serie di ’tessere blu’, è la volta di Elena Zeta, assistente alla regia per Minima Mente Blu e fondamentale membro di QA ormai da diversi anni.
Minima Mente blu sarà in scena all’Area Iris, sabato 17 settembre alle ore 21.30 per il CORTILE TEATRO FESTIVAL.

Minima mente blu. Accordi sintetici per una nudità d’essenza: perché proprio blu? In parte parafrasando, cosa vuole sintetizzare il titolo scelto?
Ci sono diverse possibili risposte a questa domanda. Una è che tra i materiali utilizzati per ideare la storia (che è la stessa di Nudità, spettacolo del 2016, primo studio su Kandinskij e Schönberg in cui figuravano tre personaggi) Auretta Sterrantino si è immersa negli studi compiuti da musicisti e pittori di inizio Novecento sulle possibili corrispondenze tra suono e colore. E sottolineo ‘possibili’, perché ovviamente ognuno creava una sua tabella. Se dovessimo rifarci a una delle più famose, quella stilata dal compositore russo Alexander Skrjabin per il suo Prometeo, le tre tonalità di blu che vi troviamo sono associate a ‘creatività’, ‘contemplazione’ e ‘sogni’; una dimensione interiore quindi. In questa sua forma di monologo, lo spettacolo si svolge prepotentemente nell’interiorità della protagonista, Sibilla, allieva del pittore Kappa e del musicista Esse, che la stanno appunto iniziando alla ricerca di un nuovo linguaggio artistico che possa fondere musica e colore, attraverso degli strani esperimenti sulla percezione e sul sentire.
Nello spettacolo, invece, il blu rappresenta per la protagonista diverse cose, con l’evolversi della storia: una speranza, un’opportunità, poi un segreto, un conato, poi una rivelazione.
Nel titolo, ‘mente’ è da intendersi come verbo, il cui soggetto è ‘minima’ perché la protagonista si sente dimezzata, si sente la metà di una semibreve, cioè la metà dell’intero di una battuta musicale in 4/4; per questo la troviamo immersa in una ricerca un po’ inquietante, a sua volta divisa in due: la ricerca della sorella di cui ha misteriosamente perso le tracce e la ricerca dell’Arte.
Ma ‘mente’ è da intendersi anche come sostantivo e dunque il blu del titolo indica anche il colore della mente della protagonista, che è ‘blu’ perché quello è il colore che risuona in lei. E nel titolo è ancora il tema dell’essere divisi, così ‘minima-mente’ sono da intendersi anche come avverbio…
Gli accordi invece, sono ‘sintetici’ perché nascono da una ‘sintesi’, non nel senso di ‘andare a stringere’ ma di ‘scavare in profondità’, secondo Auretta Sterrantino. Poi, possiamo continuare a sfruttare l’affascinante proprietà delle parole e azzardare che sono ‘sintetici’ perché un’opera d’arte non è una cosa naturale, ma è studiata e costruita per colpire i sensi e provocare una percezione, che è proprio la maestria che Sibilla vorrebbe imparare dai suoi mentori; e che sono ‘sintetici’ perché ovviamente per parlare di ‘nudità d’essenza’ (quella nudità profonda, esistenziale, di fronte a sé e agli altri) ci vorrebbe molto più tempo della durata di uno spettacolo. Ma questi sono ricami che mi diverto a fare coi fili delle percezioni delle parole.

Se dovessimo individuare tre aggettivi a descrizione di questo spettacolo, quali sarebbero?
I miei personali (come insegnano giustamente i Maestri a Sibilla, bisogna calcolare non solo la composizione dell’opera in sé, ma anche la composizione di chi la guarda, per indagare il sentire) sono questi:
PERCETTIVO. Non solo perché si parla di musica e colore, gli ingredienti base di un’opera d’arte, ma soprattutto perché in scena, fisicamente, c’è solo Sibilla e tutto quello che la circonda − gli ambienti, gli oggetti, persino i due Maestri − viene evocato da lei, quindi lo vediamo attraverso la percezione personale che lei ci restituisce di tutto ciò; a nostra volta, noi che guardiamo, siamo portati a “completare” i segni della percezione di Sibilla con la nostra percezione, la nostra immaginazione, creando ognuno il suo personale spettacolo a partire da segni comuni. Questo è un processo cognitivo proprio della mente umana e proprio del Teatro, ma in uno spettacolo in cui tutto viene sottratto alla scena viene spinto all’ennesima potenza: il segno che provoca in Sibilla una percezione, diventa segno che provoca in chi guarda un’ulteriore percezione.
DISSOCIATO. In senso buono, perché nella ricerca di sé stessi bisogna guardarsi costantemente (e anche contemporaneamente, a volte) sia da dentro che da fuori; questo mi ricorda un po’ le ricerche che chimici e psicologi conducevano provocando stati di alterazione psichica controllata (chissà che tra gli ammiratori di Kappa ed Esse non ci fosse anche il futuro dottor Hacca!).
COLLINARE. Perché ho l’impressione che la ricerca di armonia tra tutti gli elementi (parola, gesto, musica) sia particolarmente equilibrata, e che il ritmo interno dello spettacolo abbia un’andatura molto morbida, a cui è bello abbandonarsi per lasciarsi portare oltre…

Ph. Giuseppe Contarini –  Fotoinscena