«QUEL MONDO FATTO DI INFANZIA E CURIOSITÀ»

INTERVISTA AL CAST DI COLAPESCE PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2022 (PROMONTORIO NORD) – MESSINA
a cura di Giulia Cavallaro

A seguito dello spettacolo Colapesce, scritto e diretto da Filippo Luna e andato in scena il 30 agosto presso la Tenuta Rasocolmo per l’ultimo appuntamento di Promontorio Nord, costola del Cortile Teatro Festival 2022, abbiamo avuto modo di intervistare la musicista e le attrici presenti in scena, che ci hanno permesso di puntare una lente d’ingrandimento sul loro processo creativo.

VIRGINIA MAIORANA, musiche
Come è nato il progetto musicale di Colapesce?
Le musiche create per lo spettacolo Colapesce non sono semplicemente accompagnamento al testo, tappeto sonoro, ma esprimono le emozioni e i sentimenti della parola. Musica e testo sono strettamente connessi, dialogano simbioticamente. Le note della fisarmonica, così come i ritmi delle varie percussioni utilizzate all’interno dello spettacolo, tengono il passo delle parole recitate dagli attori e molteplici sentimenti si susseguono in un vortice di varie emozioni.

Come ha lavorato partendo dal testo per creare le musiche?
Le parole del poeta Ignazio Buttitta, attraverso il prezioso aiuto dei miei colleghi, sono state analizzate minuziosamente e, grazie alle importanti sollecitazioni degli attori e in particolar modo del regista Filippo Luna, abbiamo raggiunto una strettissima e importante relazione tra musica e parola. La bellezza della musica si fonde con la poeticità della parola, creando un legame indissolubile.

Come si differenzia il rapporto musica-spettacolo in Colapesce da quello in Astolfo sulla Luna?
La musica e, in questo caso, la musicista diventano parte attiva dello spettacolo Colapesce, entrano in scena, dialogano con gli attori attraverso l’uso delle note e dei ritmi.
Il dialogo tra musica e testo è un leitmotiv che ricorre nel pensiero artistico dell’attore e regista Filippo Luna e anche per lo spettacolo Astolfo sulla Luna è stato fatto un lavoro di ricerca sul legame musica-parola, nonostante la staticità della musicista.

 

ALESSANDRA FAZZINO, scrittura fisica, madre di Cola
In che modo ha lavorato con il regista per costruire la scrittura fisica dello spettacolo?
La nascita e la creazione di uno spettacolo richiede sempre uno sforzo collettivo notevole in quanto si tratta di una operazione laboriosa e complessa, in cui la visione artistica del regista si incontra e a volte si scontra con le visioni degli altri artisti che collaborano a vario titolo con lui, scenografi, costumisti, coreografi e financo gli attori. Nel caso dello spettacolo Colapesce, il regista ha scelto il testo e, avendone tratta una riduzione, mi ha chiamato in largo anticipo rispetto agli attori per discutere insieme sulle idee da sviluppare nelle varie scene che prevedessero una scrittura fisica, che secondo la mia visione non è un lavoro di codifica e costruzione del movimento tale da sviluppare moduli coreografici prefissati in sala da me, ma un lavoro di sviluppo di movimento organico che parte sempre dalle caratteristiche fisiche e capacità atletiche dell’interprete in improvvisazioni guidate e si sviluppa in seguito in dinamiche di movimento che comprende sia parti fissate (direzioni, uso dello spazio, coordinazione con gli altri interpreti) sia dinamiche di improvvisazione che mantengono alta attenzione, ascolto e prese di rischio dell’interprete.
Insieme a Filippo Luna, nei nostri primi incontri, abbiamo stilato un piano di lavoro che comprendeva ogni giorno alcune ore di laboratorio sul movimento guidato da me, finalizzato di volta in volta alla scena che si voleva sviluppare. Il mio lavoro era chiaramente subordinato alla sua visione artistica, per cui si è andato perfezionando e modificando nel corso delle prove in relazione alla visione globale dell’opera che si andava componendo.
Le varie necessità drammaturgiche che sono nate nel corso delle prove ci hanno fatto decidere poi di incrementare il lavoro fisico in alcune parti e asciugare del tutto il movimento in altre, in modo da valorizzare soprattutto la parola, come nel finale dello spettacolo.

Nello spettacolo c’è un momento di forte tensione tra Colapesce e la madre nel quale avete deciso di focalizzarvi sul movimento. Perché?
Nel testo originale la prima scena era raccontata da un contastori: il regista ha deciso di ridurre i personaggi tagliando anche lui. Da lì la scelta di non scrivere altro testo, ma utilizzare quello che lui diceva dei personaggi di Colapesce e la madre come spunto di lavoro per una improvvisazione e creazione della scena, che di fatto era la presentazione del nostro protagonista.
Inoltre all’inizio dello spettacolo il personaggio di Colapesce è ancora bambino, ma subito nelle scene seguenti e nell’arco di pochi dialoghi, il bambino cresce, diventa ragazzino e poi giovane uomo. Questo andamento estremamente veloce del tempo ci ha quasi ‘costretto’ ad affidarci interamente a un linguaggio fisico che partendo dalle suggestioni dell’infanzia ci aiutasse a raccontare in maniera immediata questa crescita attraverso il cambio di qualità dell’azione fisica sia di Colapesce che della madre.
La scena comincia come un incontro gioioso, la madre coinvolge il figlio in maniera amorosa e in forma giocosa nelle proprie faccende domestiche, e quindi l’interazione con i propri strumenti di lavoro, la bacinella, i secchi, l’acqua e infine i panni, che segnano la scoperta da parte di Colapesce dell’elemento acqua e la rivelazione di una vocazione personale che lo porteranno in breve tempo a vivere in quell’elemento e infine il distacco dalla madre e la conquista dell’indipendenza per vivere la propria vocazione.

 

MANUELA VENTURA, Colapesce
Come è stato per lei interpretare un uomo ed essere la protagonista di una leggenda così importante?
Le leggende sono legame, connessione, relazione. La leggenda viene trasportata nel tempo, attraverso il vento, le stagioni, le epoche, è parola che si ascolta e che si tramanda, è trasmissione di saperi, è intorno a un cerchio, in mezzo a una piazza, di fronte a un focolare, è rapporto tra chi narra e chi si fa custode, tra chi conserva e chi consegna, è strumento universale ed eterno. Essere dentro una leggenda è viverne la sua immortalità, farsi ponte tra un passato che attraversa il presente e apre, chissà, nuova vita e nuove eredità. Colapesce ci appartiene perché viene dalla nostra infanzia antica, è del popolo, da lì nasce ed è lì che parla, non una divinità ma un essere umano che sceglie la libertà e compie un atto generoso, un sacrificio, al fine di proteggere il bene comune; diventa, forse, un eroe ma non nasce eroe. Non ho inteso interpretare un personaggio, uomo o donna che fosse, bensì mettermi, insieme agli altri, alla ricerca di un mondo, quel mondo fatto di infanzia e curiosità, che si alimenta di stupore e vitalità, che sa di appartenere a qualcosa di più grande e profondo come il mare. Colapesce per me è stato cercare, in me, e con gli altri e con il pubblico, un senso di appartenenza e bisogno di comunità, cercare il valore reciproco, parlarsi e guardarsi alla luce di un’alba o nell’avanzare del crepuscolo. Colapesce è stato dunque fare teatro. Appartenere, stare in un insieme. Diventare e trasformare, immaginare ciò che non c’è, essere ciò che non si è, natura e parola, corpi e poesia. Il Colapesce di Ignazio Buttitta è stato per me come uno sprone. È stato come affrontare una sfida, uno svelamento, un atto di coraggio, entrare anche nei miei dubbi e negli aspetti controversi, ed è stato un modo, per me, di confessarlo, come nel finale dice lo stesso poeta «Mi staiu cunfissannu…Cu m’assolvi? Cu t’assolvi?». E tante sono le domande che nascono nell’ascolto di queste parole forti, fatte di una lingua di origini, di «tila camuluta ca tissiru i nostri avi cu lana di pecuri siciliani». E il teatro è luogo di domande, di ciò che ciascuno porta a casa con sé dopo averle ascoltate. Ignazio Buttitta ci consegna il suo Colapesce, dando vita nuova alla leggenda, donandole una modernità oggi emozionante perché senza tempo ma sempre presente.

Durante il momento di conflitto tra Cola e la madre c’è una sequenza di danza-lotta. Come ha lavorato con la Fazzino per la realizzazione della scena?
Improvvisazione, fiducia, gioco. Pochi elementi in scena e un rapporto ‘nutriente’, per me, di amicizia e lavoro, coltivato in questi ultimi anni con Alessandra Fazzino, con cui gioisco nell’incontro e nel poter trovare una dimensione di ascolto e di libertà. Nasce così questa danza-lotta per la libertà, appunto. Quasi un rito di iniziazione, l’inizio di una creazione. La prima tappa di formazione. Questa danza-madre primordiale, che è un dialogo muto tra i loro corpi, mamma e figlio, che segnerà la profondità di questo legame. La danza fanciulla di Cola che guarda pian piano il mondo esterno, emettendo suoni e scoprendo il suo respiro con il mare.  È stato un moto, per me, evocativo. Osservare il gioco di magie della madre, per Colapesce ha un forte impatto. Da questa potenza generativa nasce il suo tuffo verso un ignoto da scoprire, la ricerca di una indipendenza, l’amore verso la vastità e le profondità del mare. Una semplice bacinella ovale e azzurra si trasforma, guizzano i pesci-stracci, schizzano le gocce-onde, si apre l’orizzonte del mare-recipiente, si perdono i confini, Cola nuota instancabilmente senza timore di lasciare la riva e va incontro alla vita.

 

RITA ABELA, Ninfa
Nello spettacolo intona un canto di dolore per la mancanza dell’amato Colapesce. In che modo il canto e la musica entrano nella sua vita e nella sua professione?
La musica è parte integrante della mia vita. È nei miei riti quotidiani, a partire dal caffè la mattina. Spazio fra i generi, sono molto curiosa di scoprire nuove commistioni, ma nello stesso tempo resto fedele ai grandi autori e ai miei guilty pleasure… (la musica pop anni Novanta). Sono quel tipo di persona che aspetta che finisca la canzone prima di scendere dalla macchina, per intenderci.
Allo stesso modo, anche nel mio lavoro cerco spesso ispirazione nella musica, sia in fase di studio personale, sia, quando è possibile, durante le prove, anche laddove non mi sia richiesto di cantare. Per Colapesce la musica è stata elemento fondamentale dentro e fuori lo spettacolo. La presenza in scena di Virginia Maiorana è stata, dal mio punto di vista, un ingrediente necessario alla magia. E poi musica durante il training, musica nelle pause, musica la sera quando si usciva dopo le prove. Se nella mia vita e nel lavoro non avessi la musica, respirerei a metà.

Filippo Luna ha dichiarato che avete puntato molto sulla sfera emotiva del personaggio di Ninfa. Come ci ha lavorato?
È vero, sin dalla prima lettura mi ha detto che voleva che la scena fosse assolutamente pregna di verità. E ha voluto che, dopo il canto iniziale, persino la musica sparisse per lasciare in scena solo me e Manuela [Colapesce, NdR] e restituire tutta l’intimità della dinamica tra i due personaggi. Non è stato un lavoro semplice perché Ninfa ha una profondissima evoluzione psicologica che si consuma in poche battute. L’ho costruito a partire dall’attesa (leggevo pochi giorni fa un post di Tlon che parla della differenza tra attendere e aspettare, ecco, Ninfa attende il suo Cola, è parte attiva di questo processo e, quindi, del suo ritorno) e nel suo canto di attesa e nel monologo che segue, ci sono dentro l’assenza, la speranza, la paura, il desiderio. Ho lavorato sul visualizzare una vita con lo sguardo sempre proteso all’orizzonte, una vita vissuta con i piedi ben piantati a terra (Ninfa è totalmente radicata) ma con il cuore, i pensieri, il respiro rivolti verso il mare. Poi finalmente Cola ritorna e ogni speranza diventa gioia infinita, ogni desiderio può essere saziato. Ma Cola stavolta è diverso, sin dalle prime battute, quindi in lei nasce di nuovo il sospetto («Truvasti na sirena cchiu bedda ri mia? T’arrubbò lu cori?»). Cola prova a spiegarle la sua missione, lei è incredula, poi subentra la rabbia, poi la delusione, poi più di un tentativo di riportarlo a sé, finché capisce che quella è una scelta definitiva, irreversibile, straziante. Studiando questi elementi ho lavorato insieme a Filippo e a Manuela sul trovare la verità di questo rapporto così emotivo e coinvolgente. Ho lavorato scavando dentro, ho lavorato sulla ‘spartenza’ e non nascondo che a volte sia stato anche doloroso. Manuela è un’attrice straordinaria, di rara generosità. Il percorso emotivo l’abbiamo costruito insieme, ci siamo abbandonate senza riserve e con fiducia reciproca e Filippo ha trattato questa materia così delicata con molta cura e sensibilità. È bello lavorare così!

 

COLAPESCE
di Ignazio Buttitta
con Manuela Ventura, Alessandra Fazzino, Rita Abela, Virginia Maiorana, Filippo Luna
scene e costumi Dora Argento
scrittura fisica Alessandra Fazzino
musiche Virginia Maiorana
suono e luci Vittorio Di Matteo
adattamento e regia Filippo Luna
ufficio stampa e comunicazione Marta Cutugno
prodotto da Maurizio Puglisi – Nutrimenti Terrestri
locandina: bozzetto Dora Argento | design Angie Russo

visto al CORTILE TEATRO FESTIVAL di Messina
Diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancho