«ESSERE NUDI PER COSTRUIRE»

#MMB – DAL TESTO ALLA SCENA: INTERVISTA A GIULIA MESSINA INTERPRETE DI MINIMA MENTE BLU
a cura di Giulia Cavallaro

 A seguito dello spettacolo Minima Mente Blu, andato in scena il 17 settembre presso l’Area Iris per il Cortile Teatro Festival 2022, abbiamo avuto modo di intervistare Giulia Messina, ancora una volta in scena in una pièce di Auretta Sterrantino, in cui interpreta Sibilla, una giovane in cerca della sorella e dell’Arte. 

Lei e sua sorella avete un legame molto forte. Come è riuscita a fare entrare questo in contatto con il rapporto di Sibilla e Xenia?
È entrato in maniera abbastanza chiara nel rapporto con il testo e con la costruzione dello spettacolo perché ne potevo trarre delle suggestioni chiare. Conoscevo la storia raccontata da Auretta in Nudità e avevo visto lo spettacolo, quindi già quando ci siamo trovate a tavolino a ragionare sul testo – nonostante tanti elementi del vecchio spettacolo non esistano in Minima Mente Blu, ma vengano solo ricordati tramite suggestioni – abbiamo ricordato lucidamente la storia di Xenia, che lì è un passaggio molto importante per la risoluzione dello spettacolo, un precedente che diventa presente.
Minima Mente Blu, invece, fa un approfondimento umano sulla figura di Sibilla e soprattutto sulla sincerità delle sue emozioni, che secondo me è stata la cosa più difficile, ma fondamentale: il testo verte su una sintesi, mentre la messa in scena ha bisogno di partire da quella sintesi per esprimersi al massimo, in modo da fare entrare lo spettatore nel viaggio della protagonista per attraversarlo con lei. Secondo me Sibilla e Xenia, come anche da testo si intuisce, sono insieme la semibreve cui si fa costante riferimento nel testo e di conseguenza Sibilla si ritrova minima perché sente la mancanza di un’altra parte. Io ho una sorella con cui ho un rapporto splendido: mi sento guida per lei, ma sento che lei è guida per me e in questo aspetto ho ritrovato quello che è il percorso di Sibilla, che guida sé stessa verso la ricerca di questa sorella, anche se poi è Xenia stessa a tirarla verso di sé. Soprattutto dopo le prime filate mi sono ritrovata a vivere un percorso più emotivo che tecnico, mi sono ritrovata sul finire spesso emotivamente compromessa, ma credo sia fondamentale attraversare tutto ciò anche da questo punto di vista per capire a fondo cosa vada trasmesso e portato agli altri. Vivere a pieno quel viaggio è bello perché è quello il bagaglio che porto per far vivere quelle emozioni negli altri.

Come ha lavorato sul movimento, elemento fondamentale dello spettacolo?
Abbiamo lavorato come sempre. Gli anni passano e la comunicazione con Auretta diventa sempre più semplice da questo punto di vista; ormai ci conosciamo bene e ci fidiamo l’una dell’altra. Soprattutto per quanto riguarda questo spettacolo, ci siamo accorte come già il testo avesse la necessità di essere vissuto fisicamente. Mi sono ritrovata spesso durante la lettura già con una tensione fisica importante, cosa che di solito a tavolino – in cui si è concentrati sulla ricerca del livello tecnico vocale per registrare dei cambi – non succede. Il fisico è entrato automaticamente, avevo l’impulso di stare seduta in delle posizioni diverse, trovare la scomodità. E questo ci aveva già stimolate per immaginare fisicamente un corpo all’interno di ambienti, al buio o guidato da stimoli sensoriali. Una volta in piedi il lavoro è sempre quello: la prima parte dello spettacolo è senza parola e costruisce un linguaggio fisico che già parla e prepara. Così si comincia a seminare e poi a definire un linguaggio di segni codificati. La qualità del movimento, che è la firma dello spettacolo, è una cosa che pian piano si matura e con la ripetizione si va a limare. Ci siamo rese conto che Minima Mente Blu ha bisogno di un grande filo di tensione costante, che non può mai né scendere né salire, e ha dei respiri che bisogna trovare, ricercare e restituire. Infatti, tutta la prima parte di lavoro in sala ci ha portate a renderci conto che lo spettacolo fosse un po’ troppo costretto, un po’ troppo rincorso a livello fisico, che necessitasse dei respiri. Ci siamo poi accorte, dopo aver deciso il costume di scena, che era molto importante che le linee delle gambe non fossero sempre visibili perché rompevano delle figure. Il costume, tra l’altro, secondo me tende a una verticalità, in cui io ritrovo la leggerezza di questo personaggio, non del tutto posato. Da lì ci siamo accorte che lo studio su alcuni disequilibri o l’arrivare in bilico su alcuni punti della pedana fossero necessari. Il costume stesso, con le braccia scoperte, che era necessario fossero nude, e la parte del busto con il body aderente, era una base grazie alla quale potevano trasmettersi tante sinuosità, tante curve.

Negli spettacoli della Sterrantino gli attori sono già in scena all’arrivo del pubblico. Come vive questa scelta registica?
È stupenda, io credo sia bellissima. Ho parlato una volta con Auretta di quanto sia bello per uno spettatore arrivare a teatro ed essere accolto. Io apro le porte della mia casa e ti invito, ma tu sei ospite ed è giusto che ti renda conto di esserlo perché non credo sia corretto che tu possa diventare padrone. Nessuno è proprietario di quella casa, diventa la nostra, ma all’interno ci sono regole che la possono tenere in ordine e che non creino caos. Questo, secondo me, è un modo per accogliere nel migliore dei modi, già con una suggestione visiva, sensoriale e acustica, creando grazie anche ai suoni un ambiente. Per me andare a teatro è questo: tu varchi una soglia per entrare in un’altra dimensione perché ne hai la necessità; allora io, con tutti i mezzi che ho, creo la possibilità che tu possa vivere quest’esperienza già dall’inizio, cambiando completamente la tua predisposizione. Secondo me ciò è necessario perché, in particolare negli spettacoli di Auretta, si ha bisogno di una bolla in cui lo spettatore entra piano piano, senza fare rumore. Per me, da attrice, questa preparazione è fondamentale; ci si mette una grande cura, deve essere qualcosa che non stanchi e non crei fatiche, alimentando un certo tipo di concentrazione fino al raggiungimento dell’equilibrio giusto. In conclusione, tu spettatore che ti siedi e ti perdi sei già dentro la bolla.

Il personaggio ricerca una «nudità d’essenza», senza filtri senza finzione per uscire finalmente fuori. Lei come ha ricercato la nudità nel suo lavoro d’attrice in questo spettacolo?
Ho parlato spesso con Auretta ed Elena di quanto lo spettacolo parli durante la costruzione e di quanto sia importante stare in ascolto rispetto a quello che ci sta chiedendo. Mi è già capitato in passato di creare con Auretta spettacoli che arrivavano in un momento particolare della mia crescita e diventavano delle ‘macro domande’ o delle insormontabili risposte. Mi sono resa conto di quanto, in relativamente poco tempo, avessi fatto dei passi da gigante nella mia crescita personale e di quanto questo potesse essere fruttuoso per lo spettacolo. Questo mondo ti chiede costantemente di metterti in gioco «senza schermi, senza menzogne, senza maschere», completamente nudi. Sicuramente mi trovo d’accordo con questa nudità, anche data la posizione che rivesto, perché è ciò che devo essere agli occhi di chi lavora con me. Quando si parla di disciplina nell’andare in sala, vestiti in nero, in un ambiente pulito, che non distragga da ciò che si sta creando, si è già di fronte alla nudità, essere nudi per costruire. Inoltre, per quanto mi riguarda, in questo spettacolo passa l’idea che ci sia una grande forma di libertà nel dolore, che può portare a spogliarsi di alcune cose, ma che poi culmina con la riscoperta di questa libertà. Grazie a questa nudità si parte per scoprire una grande sincerità emotiva.

Quali sono stati i suoi scogli più grandi nell’interpretare Sibilla?
La paura di cadere dalla pedana. Tecnicamente davvero, nonostante sia cosciente che non sia una grande altezza, ho paura di distruggere quello che si sta facendo solo perché fisicamente non sono stata sul mio disequilibrio. Su Sibilla in sé, in realtà, non ci sono state paure. L’ho sempre detto sin dalle prime letture e dai primi giorni in sala: io amo questo testo e amo fare questo spettacolo. Le uniche difficoltà sono state tutte difficoltà tecniche: scontrarmi nuovamente con difficoltà vocali, ritmi che vanno tenuti, respiri che vanno coltivati, tutto l’apparato vocale che, alle volte, a causa di movimenti di un certo tipo, ne risente. Ho dovuto capire come andare incontro alle difficoltà, combatterle e superarle. Emotivamente, mi sono sentita sin da subito abbastanza vicina a Sibilla, ho imparato a comprenderla e ho avuto rispetto di tutto quello di cui aveva bisogno, tentando di farla respirare un po’.

 

MINIMA MENTE BLU
Accordi sintetici per una nudità d’essenza
II studio su V. Kandinskij e A. Schönberg
I capitolo della Trilogia sull’Arte
con Giulia Messina
regia e drammaturgia Auretta Sterrantino
musiche e progetto audio Vincenzo Quadarella
disegno luci Stefano Barbagallo
assistente alla regia Elena Zeta
ufficio stampa e comunicazione Marta Cutugno
produzione QA-QuasiAnonimaProduzioni / Nutrimenti Terrestri

visto al CORTILE TEATRO FESTIVAL di Messina
Diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancho

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena