UN OSSERVATORIO CHE È NECESSITÀ
EDITORIALE/MANIFESTO PER UN OSSERVATORIO CRITICO – 2022
Vincenza Di Vita, Vincenzo Quadarella, Auretta Sterrantino, Elena Zeta
Non dovrebbe più essere un mistero che QA abbia un Osservatorio Critico. E non dovrebbe essere neanche un mistero quale sia l’oggetto delle attività di un Osservatorio Critico o, meglio ancora, del nostro Osservatorio Critico, ‘OC’ nella sua forma abbreviata. Eppure, giustamente, ci siamo resi conto che spesso non è davvero chiaro cosa sia questo Osservatorio, che attività svolga e perché. E come mai una compagnia teatrale, che si occupa principalmente della produzione di spettacoli, di eventi e rassegne, abbia deciso, a partire dal 2016, di dedicarsi anche a questa attività, che conta in tutta Italia, con differenti forme e modalità di lavoro, un numero di progetti simili che non supera le dita di una mano.
Perciò abbiamo deciso, come sempre, di rimboccarci le maniche e fermarci un attimo a riflettere su cosa sia questo ‘fantomatico’ Osservatorio Critico.
Il termine ‘osservatorio’ viene, evidentemente, dal latino observare, composto da ob e servo.
Servo, verbo transitivo attivo, significa – con varie sfumature – ‘salvare’, ‘conservare’, ‘mantenere’, ‘rispettare’, ‘custodire’ qualcosa o qualcuno. Per noi significa, dunque, salvare il diritto alle idee, conservare la forza di argomentarle e dar loro concretezza, mantenere vivo il fuoco delle passioni, rispettare le idee altrui, custodire una costante tensione verso la ricerca, la domanda, il dubbio. Nel caso in questione, il verbo, preceduto dal preverbo ob, che implica un senso di causa e/o vantaggio, ha una piccola ma importantissima sfumatura in più: observare per un motivo e/o a vantaggio di qualcuno e/o qualcosa. Pertanto, – senza inventare nulla ma semplicemente come ci suggeriscono i vocabolari – possiamo dire che observo, nella sua forma univerbata, significhi in italiano ‘osservare’, ‘considerare’, ‘sorvegliare’, ‘rispettare’ ma anche ‘adempiere’. E dunque per noi significa fare attenzione a osservare con ‘cura’ (amore, preoccupazione, responsabilità verso ciò che si osserva); considerare le coordinate in cui ciò che viene osservato si inserisce e porle in relazione con una grammatica di base, convenzionalmente riconosciuta come necessaria per la decodifica dei segni con cui ci si confronta; sorvegliare la tendenza al giudizio tranciante e non debitamente motivato; rispettare sempre noi stessi, gli altri e l’oggetto della nostra osservazione, imparando a esprimere punti di vista contrari o pareri discordanti senza essere offensivi; adempiere a un rito, oggi un po’ perso, cioè quello di trovarsi, riunirsi intorno a qualcosa da osservare tutti insieme e poi fermarsi a ragionare e confrontarsi, aperti all’idea che il nostro sia solo uno dei tanti punti di osservazione e che tutti gli altri ci insegnano qualcosa della realtà che stiamo osservando. È quindi importante anche observare ut: ‘badare che’, ‘stare attenti’, nel nostro caso stare attenti a cercare di marcare il confine tra oggettivo e soggettivo, percorrendo razionalmente entrambe le strade.
Insomma, ‘Osservatorio’ finisce con l’indicare per noi un metaforico luogo di incontro, ritagliato – come un temenos – al libero sguardo, uno sguardo aperto sul mondo e connesso al pensiero nel suo libero e necessario esercizio. Un pensiero ‘critico’, aggettivo (dal lat. criticus < gr. kritikós < krínw = distinguere, scegliere, giudicare) che indica, come dice la Treccani, «ciò che riguarda la facoltà intellettiva di esaminare e giudicare e l’esercizio stesso di tale facoltà, sia rivolto a opere di pensiero, letterarie, artistiche, sia diretto a situazioni, fatti, comportamenti». Un pensiero, dunque, che metta costantemente in crisi (< gr. krínw) ogni presunta certezza, ponendo sempre ciascuno nella condizione di mettere per prima cosa in crisi sé stesso.
L’oggetto su cui si esercita principalmente la nostra osservazione è il Teatro (con tutte le sue componenti). Il Teatro perché è la nostra vita e riteniamo che sia importante averne cura e veicolarlo in quanto dispositivo di pensiero, introspezione, riflessione sul presente – nella sua immancabile connessione con il passato e proiezione verso il futuro – sdoganandolo dall’idea di semplice intrattenimento fine a sé stesso. Come nel Teatro dei nostri Padri, i Greci, vige la regola della parrhesía per ciascun polítes membro dell’Osservatorio.
Ogni membro ha diritti e doveri che esercita, a partire dal diritto alla visione e all’opinione e, ancor prima, il diritto alla conoscenza. I nostri Osservatori sono giovani e giovanissimi studenti, provenienti dall’università e dalle scuole superiori, che spalancano gli occhi con meraviglia su un mondo per loro fino a quel momento spesso oscuro, privo di interesse, noioso. Imparano ad amare il teatro, anche quando detestano lo spettacolo che stanno vedendo; imparano che il teatro è pratica sociale e pratica politica; imparano che il teatro può spingere allo studio, instillare il dubbio, suggerire strade nuove. E, soprattutto, imparano che si può fruire attivamente l’arte in ogni sua forma da spettatori/osservatori. Imparano che è giusto prendere un tempo per guardare e riflettere, imparano che anche queste due attività, che una società multitasking e fondata sulla velocità propone falsamente come stasi improduttiva, sono azioni produttive e necessarie; imparano che essere protagonista non vuol dire essere necessariamente il centro dell’attenzione, essere colui che si fa guardare. Imparano l’arte perduta dell’attesa, del confronto.
Noi ci poniamo nel cammino insieme a loro, ascoltando, osservando e mettendo a disposizione esperienza e competenze.
Questo progetto che curiamo ormai da anni è un vero e proprio ‘laboratorio’ di visione: per una precisa scelta, tutto il progetto parte dall’idea di lavoro, applicazione, fatica e si basa su esperimenti empirici, che partono dalla pratica della visione e solo dopo, in conseguenza, consentono di arrivare alla teoria del medium-teatro. In maniera altrettanto ponderata, cerchiamo sempre di fare maieutica, di costruire un ragionamento tramite la discussione e il confronto collettivi, senza calare scorciatoie dall’alto. Mai ci sogneremmo di suggerire ai ragazzi cosa scrivere, anche – e soprattutto – quando la nostra visione non si accorda alla loro – de gustibus non disputandum est… e del resto, abbiamo visto in questi anni, c’è sempre tempo per affinare lo sguardo. Ci teniamo però particolarmente al come: le osservazioni sono l’esposizione di un distillato di ragionamento, non possono essere buttate a caso, con leggerezza – che poi, col tempo, rischia di divenire cecità −, soprattutto in un ambito delicato come l’arte dove quello che si osserva è anch’esso, in qualche modo, un distillato di umano, di vita. Il teatro in particolare, si fonda sulla relazione tra esseri umani, che si offrono all’altro anche (e soprattutto) nella debolezza: come chi guarda può essere colpito da chi agisce, anche chi agisce può essere colpito da chi guarda. Il gioco (recitare, to play, jouer), quel patto tacito e magico che ci fa stare tutti ‘insieme’, è questo; e la cosa bella è che, usciti dallo spazio da gioco, ce ne torniamo a casa a riflettere sulle nostre ferite senza rischiare di morirne.
Che ormai, sempre più spesso, non si sia in grado di affrontare una critica, è un fatto. Che un’opinione discordante, ormai, sempre più spesso, venga considerata una ‘violenza’ in quanto discordante e schietta, è una tristezza. Se escludiamo denigrazione, limitazione dei diritti umani e ricatti, le parole possono essere ‘violente’? Possono ferire, certo, come un foglio di carta se lo maneggi con leggerezza. Ma la ‘violenza’, quell’atto di prepotenza impetuosa volta a costringere qualcuno ad agire (o non agire) contro la sua volontà, non può essere qualità di un ragionamento che dispiega un’opinione.
Ben diverso sarebbe invece se tali parole, come talvolta succede anche nelle migliori famiglie, dietro la maschera di opinione, fossero mirate a offendere o peggio a opprimere qualcuno, a costringerlo a dire o non dire qualcosa in particolare, a indurre a un comportamento, una rimozione o semplicemente a far finta di niente… ma questo è un discorso da affrontare con un po’ più di tempo a disposizione. Ce ne sarà.
Da anni cerchiamo di trasmettere ai ragazzi un modo di vivere la cultura non come hobby fine a sé stesso, ma come un processo individuale e di gruppo che trova il suo piacere nella ricerca, nel confronto, nell’esplorare per il gusto di surfare sui pensieri, nella ricerca di «perché?» sempre nuovi. E siamo convinti che questo educarsi al pensiero critico su ciò che si osserva, sia fondamentale per la crescita individuale, collettiva e sociale. Un esercizio che per troppo tempo troppi di noi hanno reputato superfluo, come se la mente non avesse bisogno di tenersi in allenamento.
In prima istanza, dobbiamo proteggere il nostro lavoro di professionisti, ma soprattutto dobbiamo proteggere le ragazze e i ragazzi del nostro Osservatorio, che di sudore ed entusiasmo ne hanno a fiumi da poter regalare: non devono mai pensare – neanche per un momento – di dover avere paura di scrivere quello che pensano, finanche a contrariare – con rispetto, s’intende − il Sommo Poeta e decidere che, anche fosse vero che «vuolsi così colà dove si puote/ ciò che si vuole», noi continuiamo a dimandar.