APPUNTI DALLA TERRA DELLE CENERI #1

18Diario delle prove di “Prometheus”, QA-QuasiAnonimaProduzioni

a cura di Elena ZETA

 martedì 18 aprile 2017

GIORNO UNO

[Buongiorno! Lo porti un ombrello?] 08.29

[Iniziamo bagnati] 08.30

 

[Ah, porta uno zaino comodo. Dobbiamo prendere vettovaglie.] 09.14
[Il mio è già pesantuccio!] 09.51

[Vestiti a strati] 09.51
[E dimmi che ti svegli in tempo] 09.51

Per fortuna, qui si fa tutto alla vecchia maniera, in primis.

L’appuntamento si stabilisce almeno il giorno prima. Così se ti trovi senza soldi per ricevere – e non lo sai neanche – hai ben chiaro un obiettivo verso cui destreggiarti. Il lato oscuro della tecnologia!

E in più piove.
Ma riusciamo a trovarci. Felicemente.

Auretta Sterrantino. Nome in codice: Regi.
E io, Elena. Nome in codice: Zeta.

 

La sera prima del viaggio si dorme a fatica, ci si alza prima della sveglia e saliti sul treno è tutta un’ascesa.

Consce di ciò che ci aspetta, ci procuriamo tutto il necessario alla sopravvivenza:

pane, speck, formaggio, pizza bianca, succo di frutta, torcetti al burro, cornettini al cioccolato, mandorle, cioccolata al latte, cioccolata fondente, thè vari, bicchieri, scottex, salviette umide.

Equipaggiate di tutto punto, siamo pronte all’avventura.

Incontriamo il nostro contatto all’ombra degli archi di San Giovanni. Yuri (così dice di chiamarsi) ci fa strada fino al punto di recupero, dove alle 12 in punto veniamo prelevate. Durante il tragitto ci viene fatta una panoramica del territorio: geografia, organizzazione, punti di forza, criticità.

Le porte del mezzo 218 si aprono su un’ampia strada sterrata.

Parco Archeologico dell’Appia Antica, regina viarum, la regina delle strade, che dal Lazio, attraversa Campania e Basilicata per arrivare in Puglia, a Brindisi, dove ci si imbarcava verso la Grecia e l’Oriente.

Entriamo in un luogo che conserva una magia passata, per quanto insediato dall’uomo. I pini marittimi e altri alberi ormai di grandezza smisurata contribuiscono alla visione di una Roma Antica e madre, lupa nella foresta; le palizzate, le torrette e le arene rievocano un tempo di lotte e volontà di potenza, forse di fama, poi di dominio.

Yuri ci scorta fino al quartier generale del GSR, Gruppo Storico Romano, e ci presenta le alte cariche della legione. Poi ci accompagna al nostro capanno, saluta e si congeda.

Entriamo in un acquario forense. È grande, bianco. Nella trasparenza delle finestre ritagliate, marroni, grigi e verdi si mischiano al vento – tanto vento. Alle nostre spalle il capoccione di Cicerone, pareti di legno e metallo – tanto metallo – accatastato. Dormono stretti, incastrati sotto il cellofan, in attesa di essere risvegliati quando l’estate verrà.

Pochi minuti per prendere possesso dello spazio abbracciandolo con gli occhi, e prepariamo il campo per la simulazione: due tavoli grandi –che ne fanno uno più grande- e quattro panche, assicurando il massimo dello spazio di manovra.

Tiriamo fuori dagli zaini il piano d’azione e gli strumenti a esso correlati –matita, gomma, quaderno.

Apriamo il pane alla spartana, e consumiamo il nostro pasto conzato mentre accordiamo gli ultimi particolari.

Dal pesante cancello nella palizzata si staglia incontro a noi, nella cornice dell’entrata, il primo compagno: Oreste De Pasquale. Nome in codice: Prometeo.

Tra morsi e saluti passano i minuti, ed ecco materializzarsi l’ultimo compagno: general Sergio Basile, che porta con sé l’esperienza di grandi e valorose gesta. Nome in codice: Efesto.

Gli imbarazzi si stemperano quasi prima di essere avvertiti, qualche chiacchiera per sciogliere le lingue e ci si mette in posizione. Ognuno al suo lato del tavolo, comincia la lettura a tavolino.

 

Entriamo nell’antro oscuro dell’isolata fucina di Efesto.

Non c’è una finestra né una presa d’aria, l’unica luce che si effonde fioca sulle pareti di roccia vulcanica proviene dal morente ventre della Terra, o dalle improvvise scintille del ferro battuto.

Il gelo fa vacillare come foglie sui rami.

La Terra è ormai un’umida poltiglia, la vita è in stasi, il tempo scorre immutabile e le parole di una Bios sfinita sono ormai sussurri quasi impercettibili.

Immerso nei suoi compiti eterni il dio del fuoco custodisce Bios, il cuore della Terra, trascinandosi nell’ombra scura che annega ogni respiro. Con le sue mani batte e ribatte, nel suo isolamento, la sua incudine, batte e ribatte, col suo martello, per forgiare gli anelli di Zeus.

Prometeo bussa, senza farsi sentire. Irriverente fa la sua entrata trionfale, trascinandosi dietro le catene della sua prigionia. Dopo trentamila anni, torna a turbare un equilibrio ovattato.

Fuori come dentro, la notte ha nascosto la luce.