ARTE E NUOVI CITTADINI
CUCIRE ACCOGLIENZA
AVVERTENZA AL LETTORE
Quanto segue è esito di riflessioni nate all’interno del gruppo di lavoro seminariale su arte, accoglienza e nuovi cittadini volto alla formazione di un pubblico teatrale consapevole. Dal 19 al 22 dicembre 2018 nei locali di Wind of Change presso il Centro di Solidarietà F.A.R.O. di Messina è nata una fattiva collaborazione tra le compagnie teatrali Sutta Scupa diretta da Giuseppe Massa e QA-QuasiAnonimaProduzioni, presieduta da Vincenzo Quadarella e diretta da Auretta Sterrantino.
Il seminario è stato condotto da Vincenza Di Vita grazie alla partecipazione e collaborazione di Antonello Sidoti.
Vi hanno preso parte artisti; curiosi e amanti del teatro; studenti universitari; ragazzi migranti della scuola Penny Wirton, con i loro volontari Natalia Carcame e Gabriele Mascarese.
Sono state presentate le poetiche degli autori e registi Giuseppe Massa e Auretta Sterrantino. Hanno partecipato agli incontri anche i residenti del Centro suddetto e tutti sono stati poi invitati a un confronto con gli artisti. Non ci saranno introduzioni o spiegazioni. Riportiamo ciò che ci è stato restituito nella lingua e nei linguaggi originari.
È stato inserito un titolo e un nome a cui segue un pensiero, un’opera d’arte, una storia, un ringraziamento.
Potete scaricare il file in pdf e leggerlo liberamente, perché liberi sono i pensieri. Libero è il teatro. Libero è ciascuno, nel rispetto dell’altro sempre.
Seguiamo l’ordine alfabetico dei cognomi dopo gli interventi di Vincenza Di Vita e Giuseppe Massa.
Cucire accoglienza
Vincenza Di Vita
Quando. Dove. Chi. Che cosa. Perché.
When. Where. Who. What. Why.
In questo preciso ordine seguite da 5 punti 5 parole: sono adesso qui.
Su un foglio bianco appena imbrattato di inchiostro a bit.
Frasi prive di logicità sembrano queste che scrivo.
Le 5 w/domande/regole del giornalismo?
No. Le 5 verità dentro ogni narrazione.
Rileggo l’elenco.
Parole sentite e ripetute, in silenzio, a voce alta.
Lette, in silenzio, a voce alta.
Può esistere risposta senza domanda? Può avere suono il silenzio? Al primo quesito la presunzione mi suggerisce di replicare in maniera affermativa. Tuttavia mentre scrivo penso e scrivo, dopo avere pensato, rileggendo. O mentre penso scrivo? Ma questo comporterebbe lungaggini di filosofia del linguaggio che già imbrattano di superficie la profondità del teatro: ne facciate a meno almeno per causa mia, per merito o meglio de-merito se volete.
Il teatro è già dentro la prima riga di quanto state leggendo. Perdonate le iterazioni inutili e baroccheggianti ma pecco talvolta di arrogante accademismo. Così ci si rimprovera e si prova invano a svilire il vivere altrui. Ma poi si sa la frustrazione è contagiosa e chi ha paura di seguire i propri sogni attacca come può chi invece in essi esige di sprofondare come cieca e fragile foglia in vertigine e abisso: fluttuante e speranzosa di incastrarsi con altre simili. Paura? Scelta? Giudizio? Domande figlie di madri sterili.
Fogliame paracadute cucito di punti abbandonato dal quadrato consueto sporco di vita è gioioso.
Arte è cucire.
Accoglienza è 4 volte scrivere la parola 5.
Sommate la nostra forza e otterrete domande.
Speriamo! Non vediamo l’ora di non rispondere
A un cazzo. Non serve a un cazzo
Giuseppe Massa
“A cosa serve fare teatro oggi?”, mi chiedeva qualche giorno fa un’amica che sta studiando a Milano per diventare un’organizzatrice teatrale. Ovviamente dopo un veloce susseguirsi nella mia mente di “Boh? Bella domanda. Sì, però ora che cazzo rispondo? A me serve, questo è sicuro. A un cazzo, non serve a un cazzo. Di’ qualcosa, qualunque cosa, andiamo, dai”, le ho risposto perdendomi in fantomatici ghirigori di parole e mettendo a paragone il contesto teatrale di fine anni ’90 con la desolante (per quanto concerne l’aspetto economico e non solo) situazione di adesso. In realtà, avrei potuto semplicemente provare a raccontarle la gioia che mi ha invaso il cuore durante un incontro via skype con i ragazzi dell’osservatorio critico di QuasiAnonima, coinvolti in un seminario di formazione teatrale condotto da Vincenza Di Vita. Una gioia che mi è cresciuta dentro in assolvenza, andando a scalzare la mia solita timidezza, man mano che le domande dei partecipanti si facevano sempre più pertinenti, complesse e io non sapevo più cosa rispondere. Avevano visto i video degli spettacoli realizzati negli ultimi anni, attraverso il sostegno del bando MigrArti, dalla compagnia multietnica Sutta Scupa (Nel fuoco in chorus, Orli di Tino Caspanello, Antigone Power di Ubah Cristina Ali Farah) e ponevano quesiti sulla regia in particolare di Orli: “Perché la scelta del multilinguismo, a che serve?”, “Quanti spettatori hanno visto questi spettacoli, che tipo di persone erano, come hanno reagito alla fine?”, “Perché all’inizio muoiono solo i maschi?”, “Che significa il bacio tra una donna nuda e una donna col burka nel finale?”. Mentre con difficoltà provavo a rispondere, ripercorrevo con la mente quelle giornate calde come l’inferno (nella sala Perriera di Palermo, lo spazio in cui provavamo, c’erano almeno 40 gradi quando ci andava bene) e nel frattempo mi si schiarivano le idee su alcune intuizioni di regia a cui in realtà non avevo avuto modo di riflettere come si deve, scrivendo e lavorando agli spettacoli. “Perché tutta questa violenza nello spettacolo, a che serve?” mi chiedeva infine in un inglese perfetto Clemzi, uno dei nuovi italiani venuti dall’Africa che stava partecipando all’incontro via skype. A questa domanda non riuscivo proprio a rispondere, mi rimbombava nella testa “Già, a che serve?”, mi dicevo e prendevo tempo: “Non ho capito, qualcuno può tradurre?” e nel frattempo prendevo tempo. Poi mi sono arreso e gli ho detto la verità: “Non lo so, Clemzi. Di sicuro però alla fine delle prove eravamo come fratelli e sorelle. Ci confrontavamo senza fronzoli, giocando, lavorando sodo, recitando ognuno nella sua lingua, la lingua con la quale parleresti con tua mamma, fai conto che a ridosso del debutto io parlavo solo in palermitano(sic!), dicevo, ci confrontavamo giorno per giorno con la bestialità e disumanità che ci circonda e che cova dentro ognuno di noi. Questo è quanto, Clemzi. È inutile nasconderlo, è dentro di me, nel mondo in cui sono cresciuto e in cui vivo, era nell’aria, si annidava chissà da quanto in quello spazio, e forse è pure dentro di te, questo lo puoi sapere soltanto tu”. Silenzio. Continuo più convinto: “Forse era solo un escamotage per conoscerci meglio. Ci siamo semplicemente conosciuti ecco, ci siamo scambiati il sudore, e conoscendo gli altri, si finisce per conoscere meglio se stessi, i propri limiti e i propri punti di forza. E soprattutto, alla fine dello spettacolo, io (e spero anche gli altri, pubblico compreso) avevo nella testa un bel po’ di domande e questioni su cui riflettere. Parliamoci chiaro, praticamente mi ero emozionato. Forse a questo serve oggi, come anche 5000 anni, fa, il teatro”. Silenzio. “Non sono d’accordo”, dice Clemzi. “Mi pare perfetto”, rispondo. Ci sorridiamo occhi negli occhi.
The love
Kelvin Anamati
Qualcosa di semplice
Andrea Ansaldo
Con occhi nuovi
Giusy Boccalatte
Thank you
Natalia Carcame
Never judge a book by its cover
Ebrima Conateh
One family
Dickson Godwin
A little bit of shame
Clement Ijehoma
Il piacere di essere presa per mano
Emanuela Licciardelli
Disegnini bellissimi
Gabriele Mascarese
Sopra e sotto, dentro e fuori, la viabilità
Ilai Nawe
11 haiku e 2 pensieri per Naufragio
Sebastiano Scordato
I am Groot
Ilenia Sidoti
La mente di uno scrittore teatrale
Andrea Sortino
Nella memoria e nelle emozioni
Emmanuele Villarmonte
22 dicembre 2018
Elena Zeta