CARTEGGI TRA LUIGI DALLAPICCOLA E PAOLO GRASSI (1972/74)
Su Luigi Dallapiccola (2002 – 2008)
di Fabio Francione
Raccolgo l’invito di Auretta Sterrantino e Vincenza Di Vita di affiancare, in occasione del loro lavoro su e intorno all’Ulisse, ad avviso di chi scrive il capolavoro di Luigi Dallapiccola, al carteggio intrattenuto da Paolo Grassi con il compositore di Pisino, alcuni miei articoli redatti per tutti gli anni zero, allorquando la figura di Dallapiccola sembrava aver ottenuto un maggior riconoscimento anche dalle nuove generazioni. Complice il centenario della nascita. E proprio un altro centenario ha dato la stura a questa nuova iniziativa. Quello riguardante Paolo Grassi (1919-2019) che ha visto sia il sottoscritto sia Vincenza Di Vita parti in commedia pur con diversi incarichi e ruoli.
Dunque, un cenno ancora a questo scambio di lettere: alcune di queste come si leggerà hanno altri interlocutori, vicini ai due e al contenuto delle medesime. Per una serie di opportunità e circostanze il carteggio è stato tenuto fuori sacco dalla curatela del sottoscritto e custodito come eventuale extra nell’impaginazione della mostra e del volume “Paolo Grassi. Senza un pazzo come me, immodestamente un poeta dell’organizzazione”. Tutte queste lettere, al pari di altre, consentono ancora una volta di comprendere il metodo di lavoro di Grassi e l’eleganza e la caparbietà con cui tesseva rapporti alti con autentici protagonisti della vita culturale nazionale e guidava i suoi collaboratori al raggiungimento di tale fine.
f.fr.
Si ringrazia la Fondazione Paolo Grassi – la voce della cultura e l’Archivio Storico Documentale del Teatro alla Scala per la concessione della pubblicazione del carteggio
Musicista d’origine istriana, ma fiorentino d’adozione, Luigi Dallapiccola (1904 – 1975), pianista da camera e didatta innovativo, è da annoverare tra i grandi maestri del ‘900 musicale italiano, che egli stesso ha contribuito non poco a svecchiare e a dialogare da pari a pari con le principali avanguardie europee. Antifascista “costituzionale”, propugnatore radicale ed originale del metodo schonberghiano – la visione e l’ascolto del Pierrot Lunaire lo folgorò – Dallapiccola ha innervato la maggior parte della sua produzione di forte tensione spirituale, trovando nel rapporto voce e strumento la dimensione più autentica della sua poetica “concentrazionaria”, sulla quale è stato costruito il presente “lavoro”. Tale matrice consentì al compositore “fiorentino” di approdare nei migliori teatri e di “comporre” uno dei capolavori del XX secolo: l’opera “Il prigioniero”. Tra i brani eseguiti da Hans Zender alla testa dell’Ensemble Intercontemporain e dal New London Chamber Choir diretto da James Wood, solisti i soprani Julie Moffat e Nicola Jensen e il mezzo-soprano Lorraine Gwyne, spiccano i celebri e autobiografici “Canti di prigioni” e “I cinque frammenti di Saffo”. Completano il cd: Due liriche di Anacreonte; “Sex carmina Alcei”, “Tempus destruendi – Tempus aedificandi” e “Due cori di Michelangelo Buonarroti il giovane”.
Luigi Dallapiccola Canti di prigionia, Cinque frammenti di Saffo, ecc.
Ensemble Intercontemporain, direttore Hans Zender; New London Chamber Choir, direttore James Wood
Apex distribuzione Warner 2002
Musicista d’origine istriana, ma fiorentino d’adozione, Luigi Dallapiccola (1904 – 1975), pianista da camera e didatta innovativo, è da annoverare tra i grandi maestri del ‘900 musicale italiano, che egli stesso ha contribuito non poco a svecchiare e a dialogare da pari a pari con le principali avanguardie europee. Antifascista “costituzionale”, propugnatore radicale ed originale del metodo schonberghiano – la visione e l’ascolto del Pierrot Lunaire lo folgorò, ma anche Webern non gli è stato da meno – Dallapiccola ha innervato la maggior parte della sua produzione di forte tensione spirituale, trovando nel rapporto voce e strumento la dimensione più autentica della sua poetica “concentrazionaria”, sulla quale è riuscito a produrre alcune partiture che meritano l’appellativo di capolavori della musica del Novecento. Per l’appunto tale matrice consentì al compositore “fiorentino” di approdare nei migliori teatri e di “comporre” uno dei capolavori del XX secolo: l’opera “Il prigioniero”. Sulla stessa riga poi spiccano i celebri e autobiografici “Canti di prigionia”. Se questo è il nucleo “storico” sul quale fondare un giudizio sull’opera di Dallapiccola, la mostra Ricercare “Parole, musica e immagini dalla vita e dall’opera di Luigi Dallapiccola”, allestita e curata da Mila De Santis a Firenze, presso Palazzo Pitti (catalogo Polistampa pp. 128 con illustrazioni, euro 18,00), consente, grazie alle carte giacenti nell’Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti” del gabinetto Vieusseux, d’esplorare a tutto tondo la biografia del compositore. Di scovare tra le pieghe dei documenti, delle partiture, delle fotografie, delle lettere private e pubblicate, il respiro europeo, totalmente sprovincializzato, di un artista folgorante e raffinato, colto ed impetuoso, che sapeva comprendere, per dirla tutta come il suo maestro Schoenberg e il suo biografo Sergio Sablich (autore del fondamentale Luigi Dallapiccola uscita l’anno scorso per i tipi dell’Epos e che è purtroppo l’ultima fatica del critico e organizzatore musicale), che la vita di un musicista inizia sempre dopo la sua morte. Fedele a questo – purtroppo veriterio – dettato l’universo dallapiccoliano può essere guardato solo per diritto, senza mediazioni oblique e trasversali. Questo è uno dei pochi casi in cui un artista è ciò che è.
Ricercare
Parole, musica e immagini dalla vita e dall’opera di Luigi Dallapiccola
Firenze Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti Sale del Fiorino fino al 21 dicembre 2005
Il Novecento musicale italiano è pieno di sorprese non sempre valorizzate e conosciute. Questo è stato il caso di Luigi Dallapiccola, che insieme a Goffredo Petrassi, è stato il compositore in cui la musica italiana del XX secolo si è più identificata. Proprio al volger del centenario della sua nascita, 1904-2004, un convegno nella sua Firenze (la città che aveva accolto Dallapiccola, istriano di nascita) e i relativi atti, pubblicati dalla Olschki e curati da Fiamma Nicolodi, ne restituiscono l’effettiva dimensione e statura internazionale. Il volume dedicato alla memoria di Sergio Sablich, che proprio al compositore istriano aveva l’ultima sua fatica editoriale, oltre a una comunicazione “teatrale” dello stesso Sablich, contiene tra i tanti saggi e interventi, scritti di Quirino Principe (un rapido panorama mittleuropeo sull’opera dallapiccoliana), Leonardo Pinzauti (sul rapporto con l’Europa), Arrigo Quattrocchi (il parallelismo con Petrassi), una serie di testimonianze d’autore.
Luigi Dallapiccola nel suo secolo
Atti del Convegno Internazionale Firenze 10-12 dicembre 2004
A cura di Fiamma Nicolodi
Olschki Editore, Firenze, 2007 pp.536 euro 56
Musicista d’origine istriana, ma fiorentino d’adozione, Luigi Dallapiccola (1904 – 1975), pianista da camera e didatta innovativo, è da annoverare tra i grandi maestri del ‘900 musicale italiano, che egli stesso ha contribuito non poco a svecchiare e a dialogare da pari a pari con le principali avanguardie europee. Antifascista “costituzionale”, propugnatore radicale ed originale del metodo schonberghiano – la visione e l’ascolto del Pierrot Lunaire lo folgorò – Dallapiccola ha innervato la maggior parte della sua produzione di forte tensione spirituale, trovando nel rapporto voce e strumento la dimensione più autentica della sua poetica “concentrazionaria. Tale matrice consentì al compositore “fiorentino” di approdare nei migliori teatri e di “comporre” uno dei capolavori del XX secolo: l’opera “Il prigioniero” (autore del libretto lo stesso compositore). Accanto a quest’ opera “concentrazionaria” (è ricco il catalogo dallapiccoliano sul tema della perdita della libertà), il regista Peter Stein, ha allestito per La Scala un dittico ricco di suggestioni, affiancandovi “Il Castello di Barbablù” di Béla Bartok (qui l’autore del libretto è il teorico del cinema Béla Balàsz). Certo, il confronto tra i due compositori in apparenza può appare impari; infatti, non si può ascoltare la musica di Béla Bartok senza averne compreso fino in fondo la fascinazione per la musica popolare e folkloristica: non solo d’area balcanica. D’altronde, il pianista e compositore ungherese, in anni pionieristici per gli studi etnomusicologici e insieme all’altro compositore Zoltan Kodaly, a inizio novecento munito dei primi rudimentali registratori di suoni scorazzò per le campagne rumene e ungheresi (si spinse anche in Turchia) alla ricerca del primigenio suono nazionale. Ora, sulla scorta di quelle lontane suggestioni, ma oggi più urgenti per comprendere la contemporaneità, si può senz’altro capire meglio l’operazione registica steiniana ed anche il legame diretto con il cinema. Con un Barbablù (Gabor Pretz e Elena Zhidkowa nella parte di Judit hanno superato i dirimpettai de “Il prigioniero” più legati a un’iconografia pittorica iberica che a una modernità più accattivante) più vicino a Dracula che a un semplice maniaco. Come non si può comprendere “Il prigioniero” senza riferirsi alla dittatura nazifascista degli anni trenta-quaranta, anche se l’azione manzonianamente Dallapiccola la sposta al tempo dell’Inquisizione Spagnola. In definitiva i due atti unici sono la messa in scena di due perdite: da un lato nella perdita della libertà c’è la politica e la ragion di stato, dall’altro invece c’è l’incapacità di incanalare un grande potere – anche visionario (Stein, assecondato dalla direzione musicale di Daniel Harding, lo comprende appieno per l’appunto con scenografie cinematografiche) – nell’amore.
In cartellone 29 e il 30 maggio 2008 ore 20
Il prigioniero di Luigi Dallapiccola/Il Castello di Barbablù di Béla Bartok
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, direttore Daniel Harding regia Peter Stein
Paoletta Marrocu, Vito Priante, Gabor Pretz, Elena Zhidkowa
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Fabio Francione, nato a Latina nel 1966, vive e lavora a Lodi. Scrittore e critico teatrale e cinematografico, ha fondato il Lodi Città Film Festival e dirige la collana Viaggio in Italia delle Edizioni Falsopiano. Collabora ai programmi speciali e alle retrospettive delle Voci dell’inchiesta. Scrive per il manifesto e il cittadino di Lodi. Tra i suoi ultimi libri: la cura di Liliana Cavani. Follia, Santità, Potere, Povertà. Scritti e interviste 1960-2016 (Edizioni Cinemazero, 2016), Giovanni Testori. Lo scandalo del cuore (Clichy, 2016) e Jacopetti Files. Biografia di un genere cinematografico italiano (con Fabrizio Fogliato. Mimesis 2016), Franca Rame. La strega scomoda (Clichy, 2017) e ha curato la nuova edizione delle “cronache teatrali di Antonio Gramsci, Il teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli, critiche, recensioni 1915 – 1920 (Mimesis, 2017), Dorfles Testori. Matti (mostra e catalogo, Casa Testori 2018). Ha curato la mostra e il volume “Paolo Grassi. Senza un pazzo come me , immodestamente un poeta dell’organizzazione (Skira, 2019).