THEREMANI E IL DUBBIO CHE LO ACCOMPAGNA

L’OSSERVATORIO CRITICO DI QA PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2020 – MESSINA
di Andrea Ansaldo

La quarta data del Cortile Teatro Festival ha avuto come protagonista, lo scorso 22 luglio, Theremani, installazione nata da un’idea di Vincio Siracusano, percussionista e studioso d’architettura con anche delle esperienze lavorative nelle discoteche, convertitosi sulla via di Damasco all’arte del video mapping.
Il percorso di Siracusano s’inserisce nel solco di quegli artisti che ricercano la sintesi. I cubisti, per esempio, al tramonto della loro storia, sembravano essere giunti vicini alla sintesi perfetta tra idea, fenomeno e realtà, noumeno e icastico, come direbbero gli esperti. Theremani, con le dovute differenze legate ai mezzi e alle modalità, propone la sintesi di una ricerca che, in realtà, è appena cominciata. All’inizio c’è poco da vedere, al centro della stanza c’è un kubrickiano monolite nero, sulla cui faccia superiore è inserito un sensore in grado di percepire il movimento delle mani e di trasformarlo in un gioco di musica e luce. Che la performance sia, letteralmente, nelle mani del pubblico fa tornare alla mente le opere di Jean Fofon, il maestro del coinvolgismo. Postilla per i non appassionati: Jean Fofon è un immaginario artista belga citato in uno sketch di Aldo, Giovanni & Giacomo, il quale viene ricordato per le sue cornici vuote atte a consentire allo spettatore di diventare egli stesso l’opera d’arte. «L’artista ha messo a disposizione il suo spazio vuoto perché vuole che sia tu, fruitore, a riempirlo» dirà Giacomo Poretti nel descrivere l’opera. Un tale modus operandi lo ritroviamo anche nelle Sculture viventi di Piero Manzoni, il quale metteva a disposizione un piedistallo su cui chiunque poteva salire.
Lasciare che il pubblico usufruisca liberamente di uno spazio o di un mezzo artistico è indubbiamente un atto lodevole: crea coinvolgimento, empatia e stimola la consapevolezza del fare creativo, può regalare momenti inaspettati e riservare attimi d’irripetibile improvvisazione. È “democrazia creativa”, volendo citare ancora Giacomo Poretti.
Theremani, in questo senso, non fa eccezione. L’installazione offre un ventaglio di possibilità probabilmente molto più ampio rispetto a quello sperimentato da chi ne ha usufruito o da Vincio Siracusano stesso. Eppure, muovere le mani sopra quel sensore lasciava un senso di limitatezza che in breve si sostituiva a quello di meraviglia. Forse, la nostra poca consapevolezza dei movimenti che le mani possono produrre non rende giustizia a un lavoro come Theremani, il quale andrebbe approfondito, studiato e messo a disposizione di qualcuno che possa farne definitivamente emergere le reali potenzialità. Ma, in questo caso, il condizionale è d’obbligo. Se Theremani fosse un’installazione chiusa e manovrata solo da chi ne conosce ogni possibilità, sarebbe ancora Theremani? L’opera verrebbe elevata o tradita nel suo intento originario? Quel che è certo è che Theremani non si ferma qui. È un lavoro camaleontico che potrà adattarsi a nuovi spazi, a nuove musiche, nuove luci, nuove tecnologie e, soprattutto, a nuove mani.

THEREMANI
di Vincio Siracusano
SITE-SPECIFIC PERFORMANCE
vista al CORTILE TEATRO FESTIVAL
diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancio

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena