«SERVE COSTANZA»
INTERVISTA A ROBERTO BONAVENTURA, DIRETTORE ARTISTICO DEL CORTILE TEATRO FESTIVAL
a cura di Andrea Ansaldo e William Caruso
Come è nata l’idea di fare il Cortile?
Abbiamo fatto l’ultimo anno del Forte Festival col botto: per la prima volta avevamo avuto delle sovvenzioni e avevamo invitato artisti importanti come Ascanio Celestini e César Brie. Avevamo fatto un festival incredibile ma, nonostante ciò, subito dopo ci siamo fermati per due anni. Dopo questo lungo periodo Giuseppe Giamboi, mio attore nonché proprietario del ristorante a Cucchiara, mi propose di fare uno spettacolo all’interno del cortile Calapaj d’Alcontres. Mettemmo in scena Mamma, una mia regia con Gianluca Cesale. Fu molto suggestivo. Da lì abbiamo pensato di fare un festival e così nacque il Cortile Teatro Festival.
Come hai vissuto la quarantena dei mesi scorsi?
L’ho vissuta in maniera abbastanza inattesa. Il fatto che ci fosse il buio oltre il passo bloccava il mio processo creativo. Ero lì ad aspettare di capire che cosa potessimo fare. Ovviamente il teatro esiste se c’è una possibilità di confronto, di energia che passa tra l’attore e lo spettatore. Le prove esistono se c’è un’energia che passa tra il regista e gli attori. La difficoltà è stata proprio in tutto questo, ossia nell’impossibilità di canalizzare l’energia con altre persone. Nonostante ciò, il teatro trova sempre la sua via e noi in qualche modo abbiamo trovato la nostra. Questa via secondo me non deve e non può essere troppo studiata. Il teatro agisce di necessità e non è comodo fare teatro. In questo momento di difficoltà ci si è percepiti di più e ci si è uniti. Anche al Cortile lo abbiamo visto: il pubblico, nonostante la paura e le restrizioni, è venuto. Le compagnie, che hanno collaborato con i loro lavori, hanno tutte sposato questo progetto. Abbiamo fatto tutti cerchio e adesso siamo più forti in questo.
Come hai vissuto questa edizione?
Questa è la quarta stagione del Cortile Teatro Festival ma prima di questo ci sono state anche cinque edizioni del Forte Teatro Festival. Entrambi sono stati molto diversi nella loro organizzazione e manifestazione. La bellezza di fare festival nel territorio, a Messina in particolare, è quella di valorizzare uno spazio non teatrale e farlo diventare una piazza unica per fare spettacoli. Quest’anno ci siamo chiesti: «Lo facciamo?». Alla fine, per necessità, è venuta fuori la volontà di fare questa stagione assieme alle altre compagnie che si sono unite.
Come hai vissuto la non risposta del Teatro Vittorio Emanuele di Messina a una richiesta di cooperazione e collaborazione con gli artisti locali?
Non mi sono meravigliato perché non è la prima volta che succede. Ogni anno ci spero, ci spero assieme a tanti altri che come me operano tanto sul territorio, facendo dei servizi per una città come Messina, carente dal punto di vista culturale. Quello che mi avvilisce è l’assenza di confronto e di dialogo con chi siede sulle poltrone, con coloro che hanno il potere di poter cambiare le cose, di poter instaurare un dialogo. Costoro potrebbero alzare il sedere dalla loro poltrona per venire a vedere cosa c’è al Cortile Teatro Festival, agli altri festival estivi, nei vari teatri. Basterebbe poco per rendersi conto di quello che succede in città. Purtroppo tutto ciò non avviene e ogni anno è la stessa cosa.
Io sento sempre dire che a teatro ci vanno solo i teatranti. Questo suona spesso come un problema. Come potrebbe cambiare tutto ciò?
È vero che spesso agli spettacoli vanno gli addetti ai lavori, ma è anche vero che ci sono contesti o momenti in cui questa cosa non avviene. Per esempio, al Cortile Teatro Festival questa cosa non avviene: ovviamente vengono anche i teatranti, ma la formula del festival teatrale con la cena del ristorante A Cucchiara ha un certo fascino. Il fatto che abbiamo aperto un cortile privato alla città è diventato un richiamo incredibile per la gente che voleva respirare un po’ di cultura in un contesto diverso dal solito. Questa formula del Cortile, aprendo uno spazio e valorizzandolo, raccontandoci dentro delle storie, ha fatto passare un po’ in secondo piano il teatro. La gente però, abituandosi, ha cominciato a frequentare il festival. Difatti, abbiamo sempre avuto sold out negli anni passati. La gente veniva per il Cortile, per il ristorante ma anche perché ha cominciato a fidarsi del teatro che gli facevamo vedere.
Come si può instaurare questo rapporto di fiducia col pubblico?
Serve costanza. Io penso anche a quello che hanno fatto in altre parti della città alcune compagnie messinesi: il Teatro dei 3mestieri, che ha aperto in una zona dove praticamente nessuno si sarebbe mai sognato di aprire un’attività teatrale, riuscendo lentamente a conquistare una parte di pubblico che conosceva il teatro attraverso la televisione; il Teatro dei Naviganti, che ha aperto il loro teatro al Villaggio Santo ed è riuscito negli anni a creare un suo pubblico in una zona della città difficile. È una questione di costanza, di capire in che territorio sei, di trovare il modo di conquistare la gente. Bisogna studiare il territorio in cui sei e capire di conseguenza come entrare in relazione con la gente del luogo.
Cosa ti aspetti dai prossimi mesi?
Spero che il lavoro che abbiamo fatto fino a qui a Messina abbia sortito un effetto importante per le istituzioni della città. Sarebbe importante dare un segnale di vicinanza e di progettualità, in questo momento di incertezza, sul territorio. Se il Comune, se la Regione, se il Vittorio Emanuele di Messina si stringessero assieme alle compagnie del territorio, allora la nostra ripartenza da qui potrebbe essere importante. Mi aspetto questo: che chi ci può dare veramente una mano mostri attenzione verso il lavoro delle compagnie teatrali messinesi.