‘QUADRI’ DI UN’INTERVISTA
INTERVISTA A T. CASPANELLO PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL
a cura di William Caruso
Abbiamo incontrato Tino Caspanello in occasione del tanto atteso Quadri di una rivoluzione, scelto come spettacolo di apertura apertura della X edizione del Cortile Teatro Festival. In scena, all’Arena Iris, Francesco Biolchini, Alessio Bonaffini, Tino Calabrò e Cinzia Muscolino – che ha curato anche i costumi –, diretti da Tino Caspanello, autore anche del testo e della scenografia. Produzione Teatro Pubblico Incanto.
L’intervista è frutto di una serie di domande nate in seno alla discussione post-spettacolo fra tutti i membri dell’Osservatorio.
Perché proprio il titolo Quadri di una rivoluzione? A cosa ti sei ispirato per la scelta dei quadri e cosa rappresentano questi per le singole scene?
Il titolo è un chiaro riferimento alla composizione musicale Quadri di un’esposizione di Musorgskij, ispirata alla visione di opere pittoriche di Hartmann, e quindi annuncia scene che si svolgono come veri e propri quadri viventi. I titoli di ogni singola scena sono dei pretesti narrativi, non rimandano all’iconografia dell’opera, ma ispirano la narrazione all’interno della trama generale.
Come è nato il personaggio della donna nello spettacolo? In generale, che valore ha la figura femminile nella tua drammaturgia?
I personaggi sono sempre epifanie, si manifestano spesso evocati dalla trama, da contingenze o da necessità, e quando arrivano non puoi lasciarli fuori dalla porta. Femminile è il centro, l’universo che accoglie ed esplode. Più di questo?
Nella drammaturgia di Quadri di una rivoluzione ci sono dei voluti riferimenti a Oscar Wilde?
No. Se poi qualcuno ne ha trovati, allora l’elenco dei riferimenti, come per ogni altra opera, è veramente lunghissimo.
Perché i protagonisti si chiamano con dei numeri? Cosa rappresentano quei numeri?
Perché il numero non è un nome, non ha identità né significato. È una regola fondamentale per ogni sistema, anche per le rivoluzioni. Nei numeri scelti non c’è nessuna numerologia, nessun esoterismo. Mi sono lasciato semplicemente guidare dal suono delle cifre.
In cosa consiste la rivoluzione dei personaggi?
Nel mettersi in un ‘fuori’, come sempre in ogni rivoluzione.
Quanto è importante l’accompagnamento musicale nei tuoi spettacoli?
In genere non uso molto accompagnamento musicale, proprio per evitare l’accompagnamento. Nel caso di Quadri di una rivoluzione, vista la struttura del testo, e anche l’ispirazione, la presenza della musica è necessaria per sottolineare il passaggio da un quadro all’altro e le atmosfere di ogni azione.
Perché La ballata di Mackie Messer, riproposta in diverse versioni?
Perché Brecht è uno degli snodi cruciali del Novecento teatrale, una rivoluzione anche la sua. E poi… questo benedetto coltello… chi mai lo può sapere dove lo tiene Mackie Messer? Diverse versioni della stessa canzone, come diverse versioni di una rivoluzione che ha perduto tutti i suoi contenuti, anche quelli linguistici.
Dopo un anno di silenzio e di spazi chiusi, da cosa dobbiamo ripartire secondo te per ricostruire un dialogo col pubblico?
Dalla rivolta, e dico ‘rivolta’, non ‘rivoluzione’. Oggi la rivolta è ricominciare a darsi la mano, perché è la prima promessa di un patto sociale che nessun decreto legge può scardinare. Ripartiamo da questo gesto.
Ribellione e creatività: che rapporto c’è tra queste due parole nel tuo lavoro artistico?
Non c’è l’una senza l’altra. La ribellione cerca un ‘fuori’, la creatività un centro attorno al quale addensare le tensioni, e quando è trovato, ecco che alla porta bussa ancora la ribellione.
Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena