IL CORAGGIO DI “OGNI BELLISSIMA COSA”
L’OSSERVATORIO CRITICO DI QA PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021 – MESSINA
a cura di Francisca M.
Il 12 e 13 luglio 2021, Carlo De Ruggieri ha portato in scena, nello spazio del Cortile Calapaj-D’Alcontres, a Messina, lo spettacolo Ogni bellissima cosa (scritto da Duncan Macmillan e Jonny Donahoe, tradotto e diretto da Monica Nappo e prodotto da Nutrimenti Terrestri). Un delicato monologo sulla depressione, definito da alcuni un ‘monologo interattivo’ vista la partecipazione del pubblico. La pièce si apre con Carlo De Ruggieri che, illuminato da un piazzato accompagnato da un gioco di luci sulle pareti del cortile e all’interno delle finestre di fronte al pubblico, distribuisce dei bigliettini numerati agli spettatori, chiedendo a ognuno di leggere ad alta voce ciò che c’è scritto nel momento in cui verrà chiamato il numero che ha in mano. Ciò genera nello spettatore un sentimento di emozione misto a stupore, trovandosi forse per la prima volta davanti a uno spettacolo che necessita la partecipazione del pubblico, che sentendosi necessario per il proseguimento della narrazione, non si perde neanche una battuta sperando che il prossimo numero chiamato sia il suo. Inoltre, De Ruggieri costruisce intere scene con l’aiuto del pubblico attraverso delle istruzioni precise date ad alcuni ‘prescelti’ chiamati a interpretare i personaggi secondari. Grazie alla sua bravura, riesce perfettamente a rievocare immagini chiare attraverso un linguaggio semplice e divertente, catapultando immediatamente il pubblico da un veterinario per la soppressione del suo cane Narcolessi: si tratta per il bambino del primo incontro con la morte. Il secondo incontro di (quasi) morte avviene in una macchina, che immaginiamo grazie alle parole del protagonista che ci guidano mentre lui sta seduto su uno sgabello e la macchina sembra riempirsi del dialogo fra il bambino e il padre scelto tra il pubblico (come già prima il veterinario). Il dialogo è fatto di «perché»: perché stanno andando all’ospedale e perché la mamma non ha più nessuna ragione per continuare a vivere. Il padre cerca, pazientemente, di spiegare tutto al figlio ma il dialogo è in realtà solo un sordo silenzio: tutto è, infatti, frutto dell’immaginazione del bambino che, non capendo l’improvvisa chiusura del padre o il perché di quel brutto presentimento che lo assale, cerca di riempire il vuoto che lo stringe. Sarebbe un diritto, per un bambino, sapere cosa è successo, invece tutto finisce con un «Lui no!» nella camera d’ospedale della madre e prosegue con frastornanti canzoni nello studio chiuso del padre.
Con il tempo il bambino impara a riconoscere lo stato d’animo del padre in base alle canzoni che ascolta e di conseguenza sa come comportarsi: se rimanere fuori perché gli è vietato entrare, se può entrare rischiando degli sbaciucchiamenti o se entrare e rimanere in silenzio. Il sentire continuamente le canzoni che gli vietano di entrare nello studio è per lui una dolorosa e drastica fine del rapporto con il padre. Al bambino restano solo tre cose: la musica, nata come una passione del padre e diventata una passione personale; il silenzio, che non sparisce e la cui presenza è captabile durante tutto lo spettacolo poiché influisce sul suo rapporto con il resto del mondo; e infine il vuoto, riempito dal bambino per mezzo di una lista, la lista delle bellissime cose per cui vale la pena vivere e alzarsi la mattina, ognuna scritta sui bigliettini consegnati al pubblico: «999 – La luce del sole», «1 – il gelato», «777 – l’eccitazione prima di travestirsi da lottatore messicano»…
La lista avrebbe il solo scopo di dare alla madre un motivo per amare la vita, ma lei, dopo averla letta e aver corretto qualche errore di ortografia, la restituisce al figlio che, forse ancora troppo ingenuo, ripone la lista sotto il letto. Dal primo al secondo tentativo di suicidio della madre passano dieci anni, il bambino è ormai un adolescente e questa volta dà sfogo alla rabbia contro la madre: non potendosi arrendere di fronte al suo atteggiamento nei confronti della vita, riprende in mano la lista, abbandonata da tempo, e decide di trascrivere “ogni bellissima cosa” sugli oggetti in giro per la casa. Lascia foglietti scritti sul letto, attaccati allo specchio e al frigo, sul pacco dei biscotti, la busta del latte, ogni giorno.
Il tono con cui il personaggio si ‘confessa’ al pubblico è confidenziale e privo di note drammatiche: la verità nuda e cruda che ci porta con il protagonista fino all’università, dove lo troviamo ancora solo fino all’incontro con Silvia, la ragazza di cui si innamora. Scelta da De Ruggieri fra le prime file del pubblico, Silvia diventa la figura della ripartenza, di un nuovo inizio, della rinascita: è lei a ritrovare la lista, proprio fra le pagine di un libro d’infanzia del protagonista, ed è lei a riprendere a scriverla, aggiungendo le cose che ritiene belle e importanti.
A questo punto la lista diventa di tutti: viene appesa ai muri, passata tra gli studenti e ognuno aggiunge alla lista una cosa bella per cui valga la pena vivere. Silvia e il giovane si sposano, la lista cade nuovamente nel dimenticatoio, poi viene distrutta perché non c’è più niente di bello per cui valga la pena svegliarsi la mattina, Silvia lo lascia e intanto la madre, chiudendosi in garage e respirando il gas di scarico dell’auto, riesce a uccidersi. Il protagonista tocca il fondo, cade in una forte depressione e il ritmo della narrazione rallenta. Poi la svolta: ancora una volta ritrova la lista che credeva distrutta ma che Silvia aveva conservato e ancora una volta ricomincia a scriverla, la riordina, la stampa e poi, in un ultimo atto di disperazione la lascia al padre. Ora per lui è quello da salvare. Una sua telefonata e un grazie e una inattesa dichiarazione d’affetto rompono il silenzio che ha dominato il loro rapporto fin dall’inizio.
Il pubblico vede De Ruggieri interpretare un bambino coraggioso, un adolescente arrabbiato, un universitario isolato e un uomo depresso. Quest’ultimo, vivendo qualcosa di familiare, non si lascia risucchiare come la madre e pur non conoscendo altro modo per affrontare il dolore se non il suicidio, decide di ribellarsi al gesto materno e per l’ultima volta il pubblico diventa personaggio trasformandosi in un gruppo di supporto. De Ruggieri ha saputo perfettamente affrontare il monologo. Pochi lo avrebbero fatto: parlare di suicidio e depressione è sempre un grande rischio, eppure con grande delicatezza, si è fatto portavoce dello sfogo di chi, con impotenza, ha vissuto la sofferenza derivante dal gesto estremo di qualcun altro.
Una cosa dello spettacolo è chiara: l’amore non sempre basta.
La depressione non si può combattere da soli, certo, serve anche qualcuno che, con coraggio, ti stia molto vicino. A volta non bastano neanche i gesti plateali, altre volte un unico semplice gesto può dimostrarsi in grado di aiutare a superare un momento buio, magari il semplice ricordarti ogni bellissima cosa che hai intorno. Ma è sempre necessaria una reazione da parte di chi soffre.
E allora, a volte, si vince. E quella che sembrava una grotta buia senza via di fuga diventa un’immensa galleria con una luce intensa alla fine.
OGNI BELLISSIMA COSA
di Duncan Macmillan e Jonny Donahoe
con Carlo De Ruggieri
traduzione e regia Monica Nappo
produzione Nutrimenti Terrestri
visto al CORTILE TEATRO FESTIVAL
diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancio
Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena