AFFRONTARE L’IGNOTO
INTERVISTA A VALERIO APREA PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021
a cura di Giulia C.
Il 16 luglio abbiamo intervistato l’attore italiano Valerio Aprea, famoso, tra le altre cose, per aver recitato in film di grande successo come Boris, Figli, Moglie e Marito e Smetto quando voglio. L’occasione è nata grazie alla sua presenza a Messina il 15 luglio (Arena Iris) e il 16 (Cortile Calapaj-D’Alcontres) al Cortile Teatro Festival con Gola e altri pezzi brevi, di Mattia Torre: unico protagonista è proprio Valerio Aprea, accompagnato dalle musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia. La produzione è di Nutrimenti Terrestri.
Da attore, come ha affrontato i testi di Mattia Torre?
Queste parole le scoprii proprio nel 2003, quando Mattia mi mandò il suo primo monologo, In mezzo al mare. Io lo lessi e caddi dalla sedia per la potenza della lingua usata e della sintassi: le parole mi trapassarono, la sua scrittura mi entrò nelle vene. Le avrei potute scrivere io, pensai, se solo ne fossi stato capace. Io lo chiamai per chiedergli come mai avesse scelto proprio me e lui mi rispose che per lui ero quello giusto. Io mi rividi in quel monologo. Da quell’anno diventammo amici fraterni.
Perché tra tutti i testi scelti per lo spettacolo è stato scelto Gola per il titolo? Cosa significa per lei?
Mattia Torre decise di chiamare così lo spettacolo, perché gli sembrava fosse il titolo più adatto. In fondo, tra tutti i titoli, Gola è anche il più significativo per me e per le decine di attori e attrici che hanno prestato la loro voce per interpretarlo. Inoltre, Gola era tra i temi più ricorrenti per Mattia, poiché era un goloso e un godurioso: per lui, la buona tavola e la buona cucina erano fondamentali nella vita. Infatti il testo è attraversato da una forte autoironia.
Come si sono inserite nel lavoro le musiche di Giuliano Taviani e Carmelo Travia?
Negli anni passati Gola è stato realizzato senza la musica. In seguito, ormai parecchi anni fa, mi capitò di doverlo interpretare in un festival, accompagnato da un trio, col quale feci molta strada. Poi il trio si è sciolto ed è arrivata la pandemia. Allora, un po’ disorientato, ho provato ad affiancare i testi alla colonna sonora del film Figli composta da Giuliano Taviani e Carmelo Travia (musicisti di Boris e di tutti i film di Mattia Torre). Secondo me, le musiche di Figli, sono meravigliose, quindi mi è balenata l’idea di accostarle ai monologhi: calzavano a pennello. L’armonia e l’arrangiamento sembravano scritte apposta per il reading. Dopo aver accorciato, cucito e sistemato, il lavoro era pronto. Infatti, ogni riga del monologo corrisponde a una frase musicale, creando un perfetto dialogo tra parola e musica.
Lei si divide tra teatro, cinema e televisione. Come cambia il suo approccio di attore nei diversi contesti?
Quello che avete visto stasera è il mio campo, al quale sono più legato: il monologo col pubblico e il reading. Per uno spettacolo dal vivo, provi un mese circa e, una volta che ti esibisci, proponi il lavoro finito. Invece, davanti a una macchina da presa è tutto diverso: nonostante tu provi per giorni la tua parte, solo con il primo ciak inizia la vera prova. Se per il regista è buona la prima, anche se per te non lo è affatto, non puoi farci niente, ti devi ambientare: devi reagire subito agli stimoli e affrontare l’ignoto.
Quali sono stati gli incontri che l’hanno segnata di più, nella sua carriera?
Semplicemente Mattia.
Pensa che il mondo del teatro abbia subito dei cambiamenti da quando ha iniziato questo mestiere?
Quando ero giovane, il modo per iniziare era mettersi a far teatro, ad esempio frequentare un teatro off. Roma ne era piena. Sarebbe stato un modo per far clamore e lasciare che gli altri parlassero di te. Se fossi un giovane d’oggi, non mi verrebbe mai quest’idea. Diciamocelo francamente: il teatro è morto. Pandemia a parte, il teatro è in grande difficoltà. Prima c’era il teatro, la cantina teatrale, ora c’è il web: basta fare un video e già sei qualcuno.
Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena