PERDERE LE ALI

INTERVISTA A C. MINASI E L. BENVENGA PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021
a cura di Andrea Ansaldo e Francisca M.

Al termine della replica di Conferenza tragicheffimera sui concetti ingannevoli dell’arte, di lunedì 9 agosto, abbiamo avuto modo di parlare con Cristiana Minasi, autrice e interprete, e Laura Benvenga, musicista, le cui note accompagnano tutto lo spettacolo.

Come riuscite a instaurare una relazione con il pubblico?
CM
: La nostra poetica di compagnia è tutta fondata sull’idea circolare di un pubblico che diventa parte integrante di un processo attivo per cui inevitabilmente tutta l’opera drammaturgica è coerente con un’idea di spettacolo che sottende un’azione che è relazione con il pubblico.

Come è nata la collaborazione fra lei e la Benvenga?
CM
: La collaborazione è sorta dall’idea del teatro delivery che già sottendeva questa idea di partecipazione attiva di un pubblico, di conseguenza noi diventavamo una parte univoca e unica.
LB: Noi musicisti tendenzialmente non abbiamo una grande interazione con il pubblico, non è una cosa usuale, è una cosa che recentemente molti di noi stanno cominciando a scoprire. Nel mio caso ho avuto un interesse perché conoscevo lei, conoscevo la compagnia, conoscevo lei in duo con Giuseppe Carullo e quindi mi sono lanciata in questa cosa in maniera incosciente ma molto entusiasta.
CM: Nel nostro spettacolo è presente anche la poetica del clown, con lui c’è sempre il fiasco e quindi il fallimento, che non è un fallimento interiore, è un fallimento esteriore che viene poi rigettato sul pubblico rendendolo partecipe di un fiasco in cui si può immedesimare.  Questa poetica è visibile con l’immagine della musicista che così perfetta gioca a sbagliare, rendendo il fallimento piacevole.

In che modo la musica e il testo sono entrati in relazione?
CM: Il testo è di dodici anni fa. La musica è venuta dopo, a seguito di questa collaborazione tra me e Laura, e si è integrata nella logica dell’improvvisazione condivisa: io improvvisavo e lei giocava con me e con il mio testo.
LB: In relazione a questa idea di creare il fiasco, l’interazione poteva andare a buon fine o poteva anche non andare bene diventando lo stesso parte dello spettacolo.

Nelle note di regia si fa riferimento ad autori come Tadeusz Kantor o Platone. Qual è il legame tra lo spettacolo e questi autori?
CM: Io recito delle parole di Kantor, per tutto lo spettacolo. Recito Kantor senza che Kantor lo sappia, per fortuna. Mi sono formata sull’idea dell’oggetto scartato per fare una libera improvvisazione su questo. Per quanto riguarda Platone, mi sono ispirata al Fedro, ma in generale è un autore oggetto d’investigazione.
LB: Quando ho visto lo spettacolo abbiamo pensato a questa integrazione e siamo andati a cercare altri testi che potessero coincidere. C’era questo testo di un violoncellista italiano molto famoso, Mario Brunello, che ha scritto sulla questione del limite, dell’interpretazione, della frustrazione dell’artista che deve decidere se superare il limite o accettarlo, in che termini superarlo o vederne il confine.

Nello spettacolo, cosa sono le ali?
CM: Io ho lavorato sul peso specifico delle ali. Quando me le sono ritrovate mi sono accorta che possedevano una loro sostanza, una loro forma, una loro puzza, una condizione. Questo mi ha messo davanti a una verità ineccepibile, cosa vuol dire per un’artista spiccare il volo: avere a che fare con la paura.  Si ha una visione un po’ convenzionale dell’artista, che è colui che è forte, che ce la fa. Una mitizzazione con cui gli artisti devono costantemente fare i conti. Io credo in un’umanità capace di riflettere sulla sua debolezza e che renda un valore la sua fragilità. Per me, l’umanità e la sua fragilità sono le cose più belle da mettere in scena.

Una volta ottenute, come perdiamo le nostre ali?
CM: Con la maturità. Il mio vuole essere un viaggio salvifico a ritroso nei meandri dell’infanzia. Credo che l’educazione e i valori, forse anche folli, del quotidiano e del contemporaneo ci portino verso una realtà priva di quella libertà, di quel gioco, di quella capacità di volare anche verso la dimensione dell’invisibile. Dobbiamo sempre avere le cose a portata di mano, reali, ma sono cose tremendamente ingannevoli.

 

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena