LA FIGURA OLTRE LA NEBBIA #2
#MINIMAMENTEBLU: RIFLESSIONI SULLE PROVE A CURA DELL’OSSERVATORIO CRITICO
di Andrea Ansaldo
A volte basta un attimo, un alito di vento per diradare la foschia. La seconda sessione di prove di Minima mente blu a cui ho assistito mi ha fatto questo effetto, nonostante non abbia assistito a una filata. La giornata era dedicata alla ricerca e al perfezionamento di nuovi gesti, e quindi nuovi significati. È stato in un uno di questi momenti che ho capito qualcosa in più, che ho raggiunto un nuovo grado di consapevolezza. Non parlo d’intreccio, di tematiche o altro, ma di cosa comporti essere uno spettatore e di quale sia il mio ruolo. Cosa deve fare uno spettatore che assiste a una qualsiasi messa in scena? Come al solito, le domande più interessanti sono quelle dalla risposta più sfumata e incerta. Ovviamente diverse opere richiedono spettatori diversi, di certo non tutti – per fortuna – guarderebbero volentieri un film di Bela Tarr. Quindi si potrebbe dire che il ruolo del pubblico varia in base a ciò a cui sta assistendo, consentendogli di mantenere una certa passività o proponendogli un’offerta più impegnativa. Una volta seduto in poltrona, allo spettatore è richiesto soltanto il silenzio, per il resto è libero: libero di pensare ai fatti suoi, libero di fare congetture, libero di appassionarsi oppure di guardare il cellulare, per quanto questa pratica non sia esattamente la più civile e rispettosa del prossimo quando si assiste a un’opera di qualsiasi tipo. Ci sono opere che possono risultare respingenti, ostiche o particolarmente complesse, che richiedono allo spettatore di seguire una linea di linguaggio artistico per la quale potrebbe anche non essere preparato. Ma lo spettatore non è stupido, spesso può essere pigro, questo sì, ma non stupido. Lo spettatore svela i trucchi di un autore, sa riconoscere se la sua narrazione non è sincera o se sta usando una scorciatoia per tirarsi fuori dal guaio in cui si è cacciato da solo. In questo senso, sedersi in poltrona e godersi lo spettacolo ti rende un esploratore di un altro mondo, che cerca di trovare la via lungo un sentiero nebbioso. O almeno idealmente, perché spesso ciò che si ha davanti somiglia più a una di quelle vecchie mappe dei pirati con il tesoro segnato da una X, ed è qui che lo spettatore cade nel torpore e nell’indifferenza, e alla domanda “ti è piaciuto?” non potrà che rispondere con un’alzata di spalle. L’indifferenza è la risposta peggiore che uno spettatore può dare, se lo chiedete a me, poiché espone il più grande timore di un autore: non aver niente da dire, mettere tante energie in qualcosa che non suscita interesse. Ma lo spettatore, ovviamente, non può interessarsi a comando, deve trovare da solo la sua strada. Negargliela con un’opera troppo ermetica o indicargliela con delle grosse frecce che puntano nel verso giusto gli impedisce di trovare la propria soddisfazione, quella che si prova quando si riesce a entrare in contatto l’artista attraverso la sua opera. Io, oggi, posso dire di aver trovato una breccia in Minima mente blu, ho capito che il mio ruolo era quello di abbandonarmi. Ho dovuto lasciar andare le manie, la voglia di vedere lo scheletro a scapito della carne, per lasciarmi guidare. Ho capito di dover andare dove mi portava lo spettacolo attraverso le sue parole. Quando scegli di abbandonarti basta meno di un attimo per far crollare tutto, per strappare il velo che separa la realtà dalla finzione. L’arte è un complesso sistema di menzogne, un inganno organizzato che si poggia su pilastri d’argilla a cui noi spettatori chiediamo di rivelare una verità. L’articolo indeterminativo non è casuale, perché LA verità è una roba da guru, non da artista. L’artista esprime una verità, una delle tante possibili, ricavabile da una realtà fragile e mutevole, che non ha alcuna certezza se non quella dei naturali limiti umani. Guarda caso lo spettatore che assiste a un’opera che si propone come portatrice di verità assolute guarda a questa con sospetto, con l’aria dello studente che ascolta la lezione trita e ritrita di un maestro presuntuoso. A questo punto sarebbe giusto provare a rispondere in modo corposo alla domanda iniziale. Quindi, cosa deve fare uno spettatore che assiste a una qualsiasi messa in scena? Mi spiace ma non lo so con certezza; troppe variabili, troppe storie e troppe individualità si annidano nel termine “spettatore”, ma so cosa dovrebbe fare, idealmente, l’artista: lasciarci liberi. Lasciare che il pubblico vaghi tra le pieghe del testo, tra le diverse densità delle pennellate, tra le sfumature di ogni nota. Non c’è niente di più soddisfacente che trovarsi, per un attimo, al pari di un grande artista, di entrarvi in contatto grazie alla sua opera. Lasciate che lo spettatore vaghi lungo sentieri nebbiosi, lasciate che districhi da sé l’intricata rete di bugie che avete ordito, lasciate che venga a un palmo dal vostro naso per sussurrarvi quale verità ha conosciuto lungo il cammino.
MINIMA MENTE BLU
Accordi sintetici per una nudità d’essenza
II studio su V. Kandinskij e A. Schönberg
I capitolo della Trilogia sull’Arte
con Giulia Messina
regia e drammaturgia Auretta Sterrantino
musiche e progetto audio Vincenzo Quadarella
disegno luci Stefano Barbagallo
assistente alla regia Elena Zeta
ufficio stampa e comunicazione Marta Cutugno
produzione QA-QuasiAnonimaProduzioni / Nutrimenti Terrestri
Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena