FARE I CONTI CON NOI STESSI IN UNA COSTANTE RICERCA DI EVOLUZIONE
#SETTE – DAL TESTO ALLA SCENA: INTERVISTA A GIULIA MESSINA, INTERPRETE DEL PERSONAGGIO DI ETEOCLE, PROTAGONISTA DI SETTE
a cura di Sara C., Francisca Mangano, Maria Francesca Visalli
A distanza di un anno dal debutto (28 novembre 2023), SETTE, l’ultimo spettacolo della compagnia teatrale QA-QuasiAnonimaProduzioni, continua il suo giro per il mondo. Dopo essere stato in Italia (a Messina, Reggio Calabria e Osoppo, in provincia di Udine), Spagna (a Malaga, Valencia, Barcelona) e in Portogallo (a Coimbra), è approdato in un altro continente ed è andato in scena il 6 novembre a Rio de Janeiro in Brasile. Lo spettacolo, scritto e diretto da Auretta Sterrantino, con musiche originali di Vincenzo Quadarella e prodotto in collaborazione con Nutrimenti Terrestri, è uno studio a partire da Sette contro Tebe di Eschilo e porta in scena i soli Eteocle e Polinice, figli di Edipo, che muovendosi tra le luci e le ombre di un rapporto amore-odio entrano in conflitto.
Spinte dalla curiosità di approfondire la natura di questo legame, abbiamo deciso di parlarne con Giulia Messina, interprete di Eteocle.
Questo è il tuo quinto spettacolo con QA: cosa significa per te da un punto di vista attoriale?
Prendendo le distanze dal tempo che è trascorso e dai progetti che mi hanno coinvolta vedo una giovane ragazza che pian piano costruisce un percorso, fatica, studia, supera paure e insicurezze, trova nuovi ostacoli e ricomincia, non si ferma mai, fa in modo che tutto possa diventare uno strumento, accetta i limiti, vive fino in fondo le emozioni che la attraversano, tende all’eccellenza ma impara anche a esercitare molta pazienza. A volte devo prendere questa distanza dal tempo perché nel lavoro non si ha la lucidità di guardare indietro con onestà verso sé stessi, ci si concentra sul dato presente, sulla montagna che siamo chiamati a scalare oggi, eppure è importante ricordarsi quante altre scalate sono state compiute con altrettanto sudore e dolore. Ogni spettacolo ha le sue esigenze e spesso capita di dover fare i conti con la parte più fragile e sensibile del nostro mondo. Sono tutte splendide occasioni di incontro con sé stessi, di ascolto, di studio e di confronto. È un’incessante evoluzione.
Un anno fa vincevi il Premio Hystrio alla vocazione e poco dopo iniziavi la tournée con la compagnia. Cosa hanno significato per te queste due esperienze?
È stato un anno pieno di incontri e confronti, arricchente sotto tanti aspetti. Il Premio Hystrio alla vocazione, come ho sempre sostenuto, è stato uno stimolante pretesto per confrontarmi nel mio intimo con la responsabilità di dare corpo e voce a qualcosa che cresceva dentro di me già da tempo. Ho deciso di parteciparvi con la determinazione di portare un’idea chiara, delle scelte artistiche precise e questo mi ha permesso di portare avanti uno studio profondo, durato diversi mesi. La possibilità di poter entrare in contatto con i membri della giuria, di dar vita a uno scambio maturo e professionale, è stata la ragione principale di questa esperienza: il risultato finale è una gratificazione di cui sono estremamente fiera e onorata, ma resta sempre un nuovo punto di partenza. La tournée ha scandito un tempo nel percorso di incessante ricerca, ci ha permesso di migliorare negli aspetti puramente tecnici e organizzativi, i tempi per l’allestimento sono sempre stretti e anche questo è stato uno stimolo. Certamente la vita in tournée ha tutto un altro sapore: sei chiamato a rinunciare a una serie di abitudini personali per vivere delle necessità del gruppo di lavoro, della compagnia, ed è esattamente così come l’abbiamo vissuta e continuiamo a viverla che immagino e desidero trascorrere periodi simili.
Con questo spettacolo sono state realizzate delle prove aperte a Malaga, Coimbra, Valencia e Barcelona ed è andato in scena anche a Messina, Reggio Calabria, Osoppo e a breve a Rio de Janeiro: quali fra queste realtà ti ha segnato di più?
Ognuna di queste tappe ha lasciato un segno, ma personalmente credo che Valencia mi abbia permesso di mettermi, ancora una volta, di fronte alla possibilità di superare alcuni miei limiti. È stato un giorno difficile per me, soprattutto nell’ora prima di andare in scena, ma l’unione della compagnia si è fatta sentire più che mai. Ho provato con tutte le mie forze a combattere quello che provavo, poi l’ho solo accolto e accettato, senza costrizioni. Decisamente un giorno da conservare e da continuare ad ascoltare.
Cosa ha significato trovarsi di volta in volta di fronte a un pubblico di paesi, città, lingue, età, culture diverse?
Per la prima volta mi trovo a lavorare a un progetto che tanto si è nutrito, e continua a nutrirsi, dell’esperienza estera. Le modalità di approccio al lavoro in sala sono le medesime ma cambia notevolmente il contesto in cui si è immersi. I diversi appuntamenti, in forma di prova aperta, che hanno scandito le tappe del nostro studio sono stati tanto differenti tra loro e ogni incontro ha fatto emergere varie forme di accoglienza: da studenti e professori universitari a giovani liceali che forse per la prima volta hanno creato un legame con il mondo teatrale e i suoi linguaggi. E a tal proposito è stato chiaro come la lingua non abbia mai creato un ostacolo alla fruizione dello spettacolo, dal momento che un corpo che parla riesce a toccare corde che vanno oltre l’intendere o meno una parola. Abbiamo seminato e raccolto riflessioni, spunti, domande che continuano a nutrire il nostro lavoro.
SETTE è stato il primo spettacolo in cui tu e Carlotta avete lavorato insieme. Come è stato per te? E come è cambiato il vostro rapporto durante la tournée?
È difficile rispondere a questa domanda perché sin dal primo giorno di prove ho avuto la sensazione che tutto fosse, nella totale complessità, estremamente naturale.
Sin dal lavoro a tavolino io e Carlotta ci siamo accorte di quanto l’intesa trovata fosse funzionale e aderente a una comune linea di processo evolutivo del lavoro. Abbiamo costruito e scavato insieme, proteggendo e mettendo a servizio l’amore che ci lega come sorelle.
Dopo un anno di lavoro insieme sento un’incessante crescita, un’asticella che sale a ogni ripresa e noi con lei.
Considerando il vostro forte legame di sorelle, com’è stato per voi portare in scena il conflitto e l’odio tra due fratelli?
Il conflitto è un motore necessario per l’evoluzione individuale e sociale. In esso trovo l’invito a esercitare una profonda empatia, e i temi che abbiamo sviscerato grazie a questo studio ci hanno permesso di esercitarla nei confronti di questi personaggi, delle loro ragioni e delle loro frustrazioni, del dolore e dell’amore che li lega in eterno. Non è stato semplice farsi attraversare da sentimenti generati da concetti così invadenti e provocatori, ma anche questo è conflitto e quindi vita.
L’amore, letteralmente fraterno, che lega me e Carlotta è stato utile perché ha sedato e modificato i sentimenti astiosi che, in prima battuta, sono emersi dalle parole dei due personaggi. Il rischio di seguire un crescendo emotivo, legato solo allo sfogo viscerale di una rabbia covata contro l’altro, è stato motivo di studio per trovare un equilibrio che potesse elevare lo scontro su un piano politico e non personale: non si tratta di un dramma familiare, ma della condanna di una terra, di una città e dei suoi abitanti. Entrano in gioco responsabilità, doveri, scelte che sono ben al di sopra del torto e della ragione fine a sé stessi. Tuttavia sono pur sempre fratelli e quel che si consuma non è un litigio, al contrario, è il disperato tentativo di ritrovarsi consci dell’inevitabilità dello scontro, è un atto d’amore e a volte sembra quasi che questo amore sia la loro reale condanna.
Che impatto pensi possa avere questo lavoro sulla contemporaneità?
Il conflitto è universalmente specchio di contemporaneità, permette di entrare in empatia con quello che accade e sentirne tutta la frustrazione e il dolore. Oggi più che mai abbiamo bisogno di nutrire questo legame empatico con il mondo e ciò che ne fa parte, stimolare un dialogo e un confronto con l’altro, nella speranza di giungere insieme a soluzioni che non ledano le due parti, e quindi non pensare alla distruzione come unica via d’azione, ma alla costruzione.
*Foto della replica a Osoppo, Tiere Teatro Festival 2024, Ph. Luca A. d’Agostino