NEMICI FIGLI DELLA STESSA TERRA

L’OSSERVATORIO CRITICO DI QA PER SETTE
di Francisca Mangano

 Ad agosto del 2023, più di un anno fa, iniziava l’avventura di SETTE, l’ultima creazione della compagnia QA–QuasiAnonimaProduzioni scritta e diretta da Auretta Sterrantino.
Dopo le prove aperte a Malaga, Coimbra, Valencia e Barcelona lo spettacolo ha debuttato il 28 e il 29 novembre 2023, presso la Sala Laudamo del Teatro Vittorio Emanuele di Messina.
La pièce, che prende le mosse da uno studio dei Sette contro Tebe di Eschilo – con evidente riferimento anche a Fenicie di Euripide – ha per protagonisti i figli di Edipo: Eteocle e Polinice. I due sono interpretati da Giulia Messina (Eteocle) – vincitrice del Premio Hystrio alla vocazione 2023 – e da Carlotta Maria Messina (Polinice), entrambe diplomate presso l’Accademia d’Arte del Dramma Antico di Siracusa (ADDA, Fondazione INDA).
Loro, due sorelle, riescono a incarnare perfettamente il rapporto tra i due personaggi costretti al conflitto, restituendo un linguaggio fisico potente e comunicativo che colpisce in modo diretto lo spettatore e che non lascia spazio al dubbio o all’incomprensione.
La collisione dei due giovani tebani si apre nel qui e ora, nell’«aquí, ahora, en el tiempo que pasa» nell’hic et nunc, in uno squarcio temporale nel quale essi si muovono in modo sincronico – illuminati prima parzialmente e poi totalmente da una luce blu mare –  in uno spazio scenico delimitato e geometrico, formato da linee che si incrociano, mentre in sottofondo le loro voci registrate offrono al pubblico la consapevolezza della dimensione spazio-temporale nella quale tutto accade.
La potenza dei movimenti dei personaggi è data dalla precisione delle due attrici e amplificata da una musica elettronica tagliente, che ne detta i passi acuendone la drammaticità e creando nello spettatore uno stato di costante tensione.
Il pubblico dunque, viene trascinato all’interno di una bolla che porta in scena non solo fatti di guerra ma anche, e soprattutto, i sentimenti di due fratelli costretti a combattersi, di due fratelli che non vogliono morire ma che non vogliono neanche che muoia l’altro.
Alla sequenza di movimenti iniziale e alle luci blu mare subentrano delle luci di un lilla soffuso e alla musica elettronica si sostituisce il suono di alcune campanelline seguito da una musica simile a un organo elettronico.
I corpi dei due fratelli si muovono sulla scena senza mai perdere la precisione, trovandosi poi nelle parti opposte dello spazio scenico, dando il via alla presentazione della città di Cadmo, il territorio dove hanno avuto origine le maledizioni della stirpe di Labdaco.
La scena è fortemente caratterizzata da una costante dualità: nei caratteri dei due fratelli, nella scelta drammaturgica dell’uso del greco antico e dell’italiano, nelle luci che illuminano i personaggi dall’alto e dal basso.
Tutto segue un ciclo che «sconvolge», «distrugge», «trasforma», «riavvolge», ogni azione è parola: anche i movimenti dei due protagonisti che girano l’uno intorno all’altro segue un ciclo, ora si danno le spalle ora si guardano negli occhi illuminati da luci rosate. Il ciclo di cui parlano è un ciclo che «scolpisce», «stravolge» e che ferisce, che li lega in un abbraccio e poi li strozza, è un ciclo che detta l’inizio e la fine.
Eteocle e Polinice hanno un passo pesante, un passo che va e che fa tremare il sentiero e che in scena fa tremare il palco. I loro passi però non restano, mutano e poi scompaiono.
La musica, che in un primo momento era lenta, si fa più incalzante quasi come volesse spingere lei stessa i corpi dei due fratelli. A essa si sovrappone un rapido rumore di lancette: è iniziato il countdown, seppure i fratelli siano ancora lontani, lo scontro è vicino.
Eteocle è ora al centro, le luci sono viola, Polinice gli ruota lentamente attorno. I suoi movimenti sono precisi, quasi rituali, e lo preparano alla battaglia mentre si muove nella semi-oscurità.
Eteocle è illuminato da una luce bianca, sembra un corpo immolato, sembra essere lui il soggetto del sacrificio che viene evocato.
Il presagio di morte è vivido, l’atmosfera è cupa e drammatica, per le donne dal capo bianco si prospetta la schiavitù, non sembra esserci scampo alla guerra.
I movimenti dei due fratelli cambiano e in una sequenza di azione e parola che simula la chiamata alle armi − «Marcia, avanza, imbraccia, danza. Punto, miro, carico e tiro.» Polinice passa in primo piano. I due preparano gli eserciti: l’uno giura di cospargere con il sangue la città nemica, l’altro ordina un ultimo abbraccio e un’ultima carezza alle persone amate e, pronti a combattere, si muovono nella notte per poter parlare prima dell’alba.
Eteocle è percepito come un uomo regale, «saldo nel suo potere», i cui movimenti in scena sono circolari in avanti, tendenti verso l’alto.
Polinice, invece, appare come un giovane legato alla terra che calpesta, legato alla sua patria, da cui è esule: i suoi movimenti sono circolari verso dietro, tendenti al basso.
I due sembrano essere parti di una stessa figura, si completano a vicenda, le luci diventano verdi, sono soffuse, Eteocle sorveglia mentre Polinice si muove nell’ombra, i movimenti di entrambi sono lenti, i passi suonano a entrambi familiari ed è così che si incontrano, nella notte buia, soli, dichiarando di non essere armati, mentendo.

Eteocle: Sei armato.
Polinice: Anche tu lo sei.

Polinice chiede a Eteocle di mantenere il patto, di restituirgli il regno per l’anno che gli spetta: le sue richieste e proposte sono guidate e fatte in nome di «Dike, signora giustizia» ma si contrappongono aspramente al rifiuto di Eteocle, guidato dalla Tyche e dal volere divino. Egli deve adempiere al suo destino, non può sfuggirgli, anche se questo significherà sacrificare sé stesso e la propria terra oppure il proprio fratello.
Un fratello che ha amato e che è costretto a combattere alla porta che gli è toccata in sorte: la settima.
Una porta che, come entrambi dichiarano, potrebbe parlare del loro valore, di un coraggio innato che li ha spinti a combattersi nonostante il legame affettivo, una porta alla quale Polinice non avrebbe voluto trovare Eteocle e dalla quale Eteocle non può fuggire.
Entrambi i personaggi si muovono nello spazio scenico a scatti, come se fossero due burattini e, benché il testo si concentri e metta in evidenza la drammaticità dello scontro tra il libero arbitrio e il volere degli dèi, sembra che tali movimenti siano guidati dagli dèi stessi, come se ogni azione – anche fisica – sia condizionata da loro, dall’adempimento del loro volere da parte di Eteocle e Polinice.
Vestiti di due pantaloni ampi e di due gilet che potrebbero in qualche modo alludere ad armature, i due fratelli si combattono per l’ultima volta in un rapporto amore-odio frutto dei patti infranti.
La sequenza di movimenti e battute finale richiama quella iniziale: Cadmo, la terra delle maledizioni è ora costretta ad accogliere le ceneri dei due re, illuminati durante tutta la sequenza da luci che alternano colori caldi a colori freddi.
Se all’inizio i due pretendevano il loro anno in un confronto-scontro a tratti commovente e a tratti spaventoso, ora sono solo Eteocle e Polinice, due fratelli non più in lotta ma semplicemente figli: della stessa terra, dello stesso padre e della stessa madre.
L’«adesso» detto con enfasi all’inizio, all’infrangersi dei giuramenti sacri, e accompagnato da luci rosse soffuse, è ora quello di due fratelli che lottano per la terra. Quel «marcia, avanza, imbraccia e danza» iniziale, e che ricorre durante tutto lo spettacolo, non è più presagio di guerra ma è solo il ricordo di quando i due re, ancora lontani dal dichiararsi guerra, giocavano da bambini, senza preoccuparsi di ciò che accadeva fuori. E tutto questo, già sufficientemente drammatico, è accompagnato e, ulteriormente caricato, da una musica triste, malinconica, realizzata al pianoforte, non più elettronica e non più tagliente come le tracce iniziali. Su questa si può solo danzare, si può solo ascoltare il battito di chi sta intorno, e infatti è proprio su questa musica che i due fratelli si danno l’ultimo abbraccio.
È la settima ora alla settima porta.
Due eserciti: a ciascuno una porta, a ciascuno un re, a ciascuno un fratello.
È l’alba, alla settima ora, alla settima porta, dove non ci sono due re qualsiasi ma due fratelli, Eteocle e Polinice, in qualche modo simili l’uno all’altro, l’uno l’ombra dell’altro. I passi sono simili, riconoscibili anche se sommessi ma ora che sono alla settima porta questo non ha più importanza.
Figli di una stessa terra che è polvere, che in un abbraccio li «strozza», li «stringe» e li sostiene e che ora accoglie le loro stesse ceneri, i due fratelli si sciolgono in una danza sempre più drammatica con la quale finisce SETTE. Uno spettacolo che spezza il cuore di chi lo guarda e che vede in scena la contesa tra due fratelli, che questa volta però, termina con la loro stessa morte e la distruzione di due città.
È uno spettacolo potentissimo in cui l’azione è, a tratti, più comunicativa della parola, che guida completamente lo spettatore senza lasciarlo libero di vagare con la mente. Uno spettacolo che si snoda davvero nel qui e ora senza permettere a nessun’altra dimensione di intromettersi. È intenso e impone il proprio ritmo e il proprio tempo. È deciso e spezza l’anima.

 

SETTE
[studio a partire da Sette contro Tebe di Eschilo]
testo originale, regia e drammaturgia Auretta Sterrantino
musiche originali e progetto audio Vincenzo Quadarella
con Giulia Messina e Carlotta Maria Messina
assistente alla regia Elena Zeta
ufficio stampa e comunicazione Marta Cutugno
produzione QA-QuasiAnonimaProduzioni / Nutrimenti Terrestri
in collaborazione con il Teatro Vittorio Emanuele (ME)
Ph. Fabio Crisafulli

Spettacolo nato all’interno del progetto internazionale “Varcare la Soglia
Università di Malaga (Spagna), Facoltà di Filosofia e Lettere, Dipartimento di Filologia Classica, Prof.ssa responsabile: Marta González González
Università di Messina (Italia), DICAM (Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne), Facoltà di Scienze storiche, Area. Storia delle religioni, Prof.ssa responsabile:  Mariangela Monaca

Spettacolo costruito durante una residenza all’Università di Malaga (Spagna), Facoltà di Filosofia e Lettere, Dipartimento di Filologia Classica, Prof.ssa responsabile: Marta González González

visto alla Sala Laudamo del Teatro Vittorio Emanuele di Messina
il 28 e il 29 novembre 2023