«PERCHÉ HO IL CORPO A PEZZI?»
#SETTE: DIARIO DI UNA SETTIMANA DI PROVE
di Francisca Mangano
«Perché ho il corpo a pezzi?», lo ha detto Carlotta la prima volta che ho assistito a una prova di SETTE. Oggi come un anno fa ci penso ancora compulsivamente, come se lei fosse ancora lì a ripetere una serie di movimenti in un loop infinito, come se Elena, Giulia e Auretta fossero ancora lì in piedi accanto a lei a dirle di pensare al suo corpo come a un unico pezzo, di non pensarlo a scompartimenti.
«Perché ho il corpo a pezzi?». Non lo so Carlotta, vorrei che lo sapessi tu per me.
So solo che questo diario è come noi: a pezzi, che lo sono anche queste giornate in cui ripercorro con la mente tutto ciò che è successo l’anno scorso, so che è tutto schematicamente organizzato a scompartimenti.
Questo non è più un diario di sala ma un diario della memoria, con la forza della scrittura cercherò di rievocare ciò che al tempo è già sfuggito ma che ancora bussa al mio cuore.
GIORNO 1 – SMONTARE
Ancora la guerra è solo un presagio, evidenti sono i giuramenti infranti. Nessuno può farlo, nessuno dovrebbe.
Di nuovo lì, di nuovo alle prove di un nuovo spettacolo, puntuali come un orologio che non scocca in una stanza più grande delle altre, su un pavimento più scomodo degli altri.
Cosa c’era quel giorno dentro di me? Sicuramente la fame, quella che lascia la mancanza di un ultimo boccone prima di entrare in sala e quella che fa venire l’ossessiva curiosità di sapere, osservare e conoscere.
Voler sapere di uno spettacolo già parzialmente montato in altre parti del mondo, un montaggio che portava con sé posti ancora non visitati.
Di nuovo lì, di nuovo alle prove, ancora in quei giorni in cui la parola non ha un suono, non ha una musica, ma solo un movimento.
Era il giorno dello smontaggio: dare a ogni parola un movimento, cercarne di nuovi, ricordarne di vecchi. Non c’era voce ma solo la lenta e minuziosa costruzione di una nuova storia, di due nuovi personaggi: Eteocle (Giulia Messina) e Polinice (Carlotta Messina).
C’erano solo le due ore e mezza che passavano veloci nell’irrefrenabile schieramento che caratterizzava noi osservatori: pedine nere ai bordi della scacchiera, osservatori di un combattimento che si svolgeva al centro, lontano da noi.
Delle ore di puro confronto schietto che cercava comprensione ma anche soluzioni: due corpi neri che si guardavano, uno era Auretta, l’altro era Carlotta, che si parlavano, che si vedevano davvero.
Quello era stato il mio primo giorno alle prove di SETTE, il primo giorno di emozioni grandi quanto grattacieli, l’avvio di un countdown che sarebbe finito solo con la morte dei due fratelli, in scena il 28 e 29 novembre 2023.
GIORNO 2 – PULIRE
Poi è stata pulizia.
C’era voce, meno movimenti da attribuire a sempre meno parole.
C’era musica, due tracce: una che Giulia odiava perché la costringeva a partire subito, l’altra che le suonava male, con cui litigava e con la quale non si trovava molto in sintonia.
Chissà se ha mai ripensato a questo come ci sto ripensando io ora, chissà se si è mai fermata a pensare che adesso quella musica le suona bene e il movimento le si vede più naturale che mai. Chissà se sa che lo spettacolo andrà in scena più di una volta, che alcune cose evolveranno, altre cambieranno e basta.
Sono spettatrice dei miei ricordi, passo da una scena all’altra della mia mente come se tutto questo facesse parte di una grande e lunga pellicola: Giulia suggerisce di cambiare la musica, Auretta dice che bisogna aspettare un po’ prima di decidere se farlo, è necessario provare tutti i movimenti insieme per decidere le sorti della traccia (se lasciarla o cambiarla), non è ancora possibile capire se musica e azione funzionino insieme perché, per quanto la costruzione dello spettacolo sia già iniziata da un paio di mesi, ancora ci sono cose da sistemare e modellare.
Poi è stata pulizia, revisione, recuperare ciò che si era scordato, lasciato indietro.
Ripassare le porte: sette come le porte sotto le quali ogni guerriero si sarebbe dovuto scontrare, sette come noi sette che eravamo lì alle prove di SETTE.
GIORNO 3 E GIORNO 4 – REVISIONARE E RIAMBENTARSI
Ieri era terra, pavimento, tutte in cerchio al centro della sala.
La prova più intima e raccolta; era revisione dell’ultima filata che, come mi aveva ricordato Giulia, io non avevo visto.
Io che avevo visto quasi tutto, che cercavo di vedere ogni cosa, io che perdevo sempre la prima filata di ogni spettacolo.
Le prove sanno sempre un po’ di fatica e sofferenza: lavorare, guardare, imprimere nella mente.
Ieri suonava come la canzone Un fiore per coltello dell’Officina della Camomilla. Ed era tutto semplicemente perfetto.
Ieri era revisione, non più pulire, non più smontare ma finalmente solo revisionare: una matita in mano, il testo sulle gambe e una stellina sulle annotazioni del giorno.
Era cerchio, migliorarsi insieme, partecipare e non più solo guardare.
Poi era assistere e riambientarsi lì dove sarebbe andato in scena lo spettacolo. Il luogo era cambiato, le sedute erano cambiate: non più il pavimento o le sedie in plastica ma le comode poltroncine della sala del teatro.
Lo ricordo come fosse ieri: avevamo portato i biscotti, c’era zucchero a velo sui nostri vestiti neri, gli animi erano meno tesi e più divertiti, scherzavamo. Ricordo i sorrisi, le risate rumorose.
Finalmente tutto prendeva forma, quella forma che ancora oggi sa un po’ di casa disordinata, abitata, quella in cui ognuno occupa lo spazio in modo maldestro, disattento, lo occupa e basta.
Tutto prendeva la vera dimensione che aveva e che ha ancora: il progetto, lo spettacolo e perfino il nastro carta.
Un anno fa era giubbotti sulle prime file di sedili, il freddo insopportabile, i chiodi da sistemare, i piedi nudi delle attrici sul palco e le schegge da togliere. C’era ancora tanto da sistemare ma finalmente tutto sapeva di quell’odore che si sente prima di ogni spettacolo: emozione, timore e attesa.
27 NOVEMBRE: GENERALE – NUDITÀ
Eccomi, davanti al ricordo della mia prima generale, eccomi davanti a questo pezzo di pellicola. È una stanza, è una porta, la apro e sono lì, sono a quello che per me era un oggi, sono a quel giorno indimenticabile che non può essere nient’altro che…
Oggi è oggi: la generale.
Oggi è l’ultimo giorno per Eteocle e Polinice di essere loro.
Sento di averli conosciuti fuori dallo spettacolo, di averli visti non come protagonisti di uno schema costruito ma come normali fratelli.
Giulia e Carlotta erano per me Eteocle e Polinice già prima che i caratteri e le mosse dei due si andassero a modellare.
Li ho percepiti da sempre slegati da tutte le regole imposte dallo spettacolo: movimenti coordinati, frasi lette, studiate e imparate a memoria.
Oggi sono ancora loro che giocano, parlano liberamente, che ancora provano una guerra che non esisterà fino a domani. Averli visti alle prove mi ha permesso di concepirli non solo come personaggi dello spettacolo ma come due vere e proprie personalità distinte che hanno vita propria anche al di fuori del testo, ed è ciò che mi fa innamorare del loro rapporto.
Oggi vedo lo spettacolo nella sua forma più pura, nella sua nudità più assoluta: ancora macchiata di qualche errore ma pronta a fiorire solo davanti a pochi spettatori.
Spettatori che sono ladri, che rubano un attimo intimo e fugace.
Oggi è amore con una cosa che non è ancora lo spettacolo ma non è neanche una prova: è ancora concesso sbagliare, anche se non troppo, e luci, audio e personaggi possono finalmente dialogare in un unico spazio.
Oggi è innamoramento: capire che davanti si ha la parte più delicata e bella di un processo di realizzazione, capire che chi assiste non è solo fortunato ma anche privilegiato.
Oggi è vedere di nascosto, è oggi e non ci sono parole per descriverlo.
28 E 29 NOVEMBRE: SPETTACOLO
Ricordo le emozioni dei due giorni di spettacolo come simili: eravamo noi nudi davanti al pubblico.
Arrivare prima di tutti, quando ancora il teatro era vuoto, quando ancora le giacche della compagnia erano disperse un po’ dovunque, quando era ancora possibile mangiare qualcosa è (e rimane sempre) l’emozione migliore, una di quelle che avrei scelto allora, e che continuerei a scegliere all’infinito, se mi chiedessero di portarne con me solo alcune.
Quel giorno si sentiva quell’aria più tesa, si percepiva la consapevolezza dell’importanza di ciò che sarebbe avvenuto, si sentiva, in senso positivo, il peso del lavoro.
Finalmente lo spettacolo non sarebbe stato più solo nostro ma sarebbe stato dato al pubblico. Ricordo di aver pensato che questa volta le aspettative erano più alte, che tutte le emozioni erano più profonde, i gesti più significativi.
Sentivo che Giulia che fasciava i piedi a Carlotta o Auretta che sistemava i capelli alle due sorelle, non erano solo tipiche azioni fatte prima di uno spettacolo ma qualcosa di molto più vasto, qualcosa che mi è entrato dentro e mi ha attraversato.
In quei due giorni, in quei momenti antecedenti agli spettacoli, sentivo per la prima volta che eravamo un gruppo, non solido e neanche troppo formato, ma un gruppo che aveva avuto la possibilità di conoscersi di più, di scherzare, ridere, e noi dell’Osservatorio avevamo avuto l’occasione di guardare i meccanismi teatrali ancora più da vicino, di prepararci insieme.
Sentivo e vedevo concretamente il lavoro fatto, lo sentivo su di me e lo vedovo in chi mi stava intorno.
Percepivo l’ansia, la tensione, l’adrenalina, percepivo la stanchezza di chi aveva visto e partecipato alle prove per giorni, di chi aveva studiato, di chi aveva lavorato, sentivo che finalmente tutto era al suo posto ed era come sarebbe dovuto essere.
Era come sarebbe dovuto essere… il ricordo mi è così dolce, così felice, oggi, a quasi un anno di distanza da quel giorno so che il mio cuore e la mia mente stavano provando le emozioni e i pensieri giusti, a un anno di distanza quei giorni continuano a essere una delle uniche cose che sceglierei di salvare per sempre.
*Foto della replica a Osoppo, Tiere Teatro Festival 2024, Ph. Luca A. d’Agostino