DEL FUOCO MAESTRO DI OGNI ARTE

Del fuoco, maestro di ogni arte [1]

Intervento scritto da Auretta Sterrantino in occasione del convegno “L’irresistibile tentazione di inseguire Prometeo: Il lascito di un intellettuale socratico e contro corrente. Fernando Balestra”, organizzato il 22 ottobre 2016, nell’ambito del Festival Eurovisioni nel Gran Salone dell’Accademia di Francia a Villa Medici

 

«Sono convinto che la lettura di un fenomeno complesso, che investe i campi della vita sociale e della convivenza civile di ogni paese, affidato a giovani allevati al temperamento classico, mostrerebbe altre pieghe, altri stimoli rispetto al freddo e alla ruggine delle statistiche e dei sondaggi».

[Da una lettera di Fernando Balestra al preside del Liceo Tito Livio di Padova]

 

Sul carisma e lo slancio della figura di Prometeo, latore di fuoco e di conoscenza, Fernando Balestra ha costruito una progettualità che aveva come obiettivo principale la condivisione e la diffusione di quel fuoco a quanti più giovani potessero poi con il proprio operato alimentarlo per condividere i frutti con una comunità sempre più coesa e consapevole. A quei giovani, nel corso della sua carriera ha saputo prestare attenzione, dimostrando una inusuale capacità di cogliere doti e inclinazioni di ciascuno e indirizzarlo opportunamente, rendendolo una tessera di quel mosaico che nel tempo andava componendo.

Uomo eclettico, appassionato, di grande sensibilità e raro spessore poetico, Fernando Balestra è stato giornalista, regista, drammaturgo, direttore artistico di diverse manifestazioni degne di nota, in ultimo le Ferie di Augusto, e lungo la sua carriera ha sempre mostrato appunto una particolare attenzione ai giovani.

Per 8 anni, a partire dal 2005 fino al dicembre del 2012, è stato Sovrintendente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, dopo essere stato membro del consiglio di amministrazione. Durante gli anni del suo mandato, Fernando ha accompagnato l’INDA verso una nuova era, la III era [2], quella in cui l’Istituto diveniva Fondazione; un’era florida che, soprattutto, grazie a un’efficace individuazione degli obiettivi, ha comportato per l’INDA una maggiore rilevanza nazionale e internazionale.

«Sotto l’ombra benevola» [3] dei padri fondatori, Fernando ha attuato una politica culturale tutta tesa al recupero e al rilancio della vocazione originaria della Fondazione, concentrando tutti gli sforzi nel processo di “autonomia della produzione”, nel rilancio delle attività scientifiche, nel recupero dei materiali di archivio e nell’allestimento di mostre, con la ripresa di una circuitazione degli spettacoli classici in tutta Italia e all’estero, in siti archeologici di grande prestigio (Atene, Paestum, Tuscolo, Malta, Agrigento, Segesta, Selinunte, Taormina, Morgantina, Teano, tra gli altri).

Ma quello che salta agli occhi in modo particolare è il costante impegno della Fondazione in attività di divulgazione e scambio che hanno coinvolto giovani e giovanissimi. Le più importanti di queste sono: il potenziamento del Festival Internazionale di Teatro Classico dei Giovani e l’ammissione a parteciparvi estesa anche alle Università; il Progetto Prometeo, una rete di scuole “pilota”, sotto la guida dell’INDA, destinate a diventare centri propulsori della cultura classica nelle rispettive regioni di appartenenza, un osservatorio puntato sul classico, la sua diffusione e la sua discussione attiva tra le giovani generazioni; e, fiore all’occhiello della sua attività, la riapertura di un’Accademia del Dramma Antico, operazione da intendersi anche “contro il livellamento della globalizzazione” per riempire di contenuti e significato la “specificità” della Fondazione [4].

Il percorso è iniziato nel 2008 con il primo nucleo dell’Accademia Nazionale del Teatro Classico del Mediterraneo, e dopo due anni di esperienze che hanno attraversato anche gli spettacoli classici in cartellone, è culminata alla fine del dicembre del 2009 con l’istituzione dell’Accademia d’Arte Drammatica, suddivisa in quattro sezioni, l’ultima delle quali di avviamento alla professione dell’attore è dedicata a Giusto Monaco, mentre la sezione Primavera è stata intitolata dalla Fondazione alla memoria di Fernando dopo la sua scomparsa.

Dal momento dell’Istituzione dell’Accademia, tutta l’attività di Fernando, anche di guida, maestro e formatore, si concentra sull’idea di recupero della tradizione della messinscena tragica, presupposto dal quale, mi sia concesso, muove la fondamentale lezione di Fernando Balestra: un’idea di messinscena secondo i canoni classici attraverso la figura dell’ “attore totale”, in grado dunque di utilizzare  i diversi linguaggi performativi richiesti dal teatro classico – la parola, il movimento, il canto, la musica – e in grado attraverso tutti questi mezzi di dialogare con gli altri interpreti nell’armonia del coro.

Un’idea che tiene conto della lunga riflessione sulla nascita della tragedia, della pratica della messinscena classica e delle considerazioni del grecista Ettore Romagnoli [5], traduttore per l’INDA fino al 1927.

Proprio sulle modalità di rappresentazione del coro sulla scena classica nelle messinscene moderne, sulle modalità del canto tragico, che in alcun modo richiama il musical, sull’opportunità dei movimenti, in un corpo unico che si muova richiamando l’idea della danza senza però diventare balletto, in un insieme armonico in grado di esprimere il pathos che deve risiedere nell’azione corale, si fonda dunque l’insegnamento del nuovo corso dell’Accademia.

Si torna ad Aristotele dunque. Nella Poetica il filosofo ci insegna che la tragedia è imitazione di fatti e non di uomini, «quindi gli uomini non svolgono l’azione scenica per riprodurre i caratteri. Ma attraverso le azioni assumono i caratteri» – chiosa il Gallavotti – e più di tutti «il personaggio eschileo agisce come portatore personale di un destino sovrapersonale» (Shadewaldt). Del resto ad esempio nello stesso Eschilo, cui si è fatto riferimento prima, è il coro a dare unità all’evento tragico, «il tessuto connettivo si esprime al di fuori dei fatti della trama, – dice Del Corno – nel coro, che funge da memoria e presentimento. Ma soprattutto la continuità del dramma è affidata all’idea di fondo che in esso si esprime. Alla vicenda tragica è sottesa un’interpretazione esistenziale, la cui manifestazione è prevalentemente affidata al coro. Questo partecipa ai casi degli eroi individuandone la portata universale, per cui la sua riflessione diventa un’indagine del destino che regge le sorti dell’umanità tutta».

Primo segnale fu Canti e suoni dall’Orestiade, una riduzione della trilogia eschilea in un unico atto, nata da un’idea di Fernando Balestra. Essa si delinea come una vera e propria scommessa per mettere a frutto gli studi e gli insegnamenti di una scuola di lunga tradizione, che attraverso la specificità siracusana, di cui si fa portabandiera, tenta di insegnare e “dimostrare” una maniera di fare teatro unica in campo nazionale e non solo. Proprio per questo, nell’ottica di un irrinunciabile anelito di interculturalità, l’esperimento di Canti e suoni ha incluso, al fianco dei più illustri rappresentanti della scuola siracusana, gli allievi del I nucleo Internazionale dell’Accademia del Mediterraneo targata INDA, attori provenienti da importantissime accademie di tutto il mondo (Tunisia, Lituania, Belgio, Francia, Turchia, Spagna) nella prima tranche di rappresentazioni, portate in tournée a Paestum e Tuscolo.

A quello studio ne seguirono altri: Antigone di Sofocle, rappresentata in tutta Italia nel corso di una tournée nazionale e internazionale, proseguita per due anni, tra repliche estive e invernali, e ancora Il canto dei vinti e l’esperimento de I sei personaggi in cerca d’autore diretto da Monica Conti.

Il coro torna al suo centro. E proprio lì lo mette la sperimentazione dell’INDA secondo l’idea di “recupero” di Fernando, fino alla fine del suo mandato.

Salutare l’INDA non ha significato per Fernando interrompere quel disegno, avviato da tempo e sempre più chiaro nella sua testa. Lo intuivi nel corso delle conversazioni dal luccichio che si accendeva nei suoi occhi quando capiva che aveva materiale su cui lavorare.

Insieme ad altri progetti, continua a seguire la prima classe di diplomati dell’INDA, costituitasi in compagnia con il nome di DRAMAlab. Li accompagna, lungo il 2013 fino al debutto nel febbraio del 2014, in giro per l’Italia nella tortuosa strada del professionismo con un progetto ambizioso e innovativo, nato da una sua idea: “La trilogia dell’assenza” che mette insieme testi di Pirandello, Beckett e Cagli, delle cui opere teatrali per altro Fernando curerà la pubblicazione [6].

Un altro tassello di quel mosaico che Fernando compone pazientemente.

Così nel 2014 avvia un nuovo progetto che si estende per due anni: una Summer school organizzata dal teatro Mercadante e dal liceo classico Cagnazzi, con il patrocinio della Foundation Michael Cacoyannis. Titolo della summer school di cui Balestra è direttore è “L’interprete tragico”, docenti insieme allo stesso Fernando, nomi illustri tra cui Bruno Cagli, Antonio Calenda, Luciano Canfora e Giorgio Ieranò. [7]

Dalla lezione della Scuola Siracusana, con questo progetto Fernando Balestra sposta l’obiettivo un passo avanti e dall’indagine delle modalità tecniche di messinscena inizia a interrogarsi sulla modalità di approccio dell’interprete a testo e personaggio e rintraccia una possibile risposta in quello che definisce il metodo di interpretazione ‘a calco’, «ispirato alla felice intuizione dei calchi di gesso di Pompei, da me elaborato sulle teorie che accompagnarono la ripresa della lezione greca, subito dopo la scoperta di Troia, e che tanto influenzarono le Avanguardie Storiche fino all’esperimento di Orange e di Fiesole, al poeta nuovo di D’Annunzio, ad Artaud, a Copeau (e con lui l’allievo Orazio Costa Giovangigli), Grotowski, al Living Theater, a Bene, Barba, all’Abramovic e alle performance della pop (e della body) art» [8].

Una teoria che prende le mosse dal metodo della traduzione a calco dal greco che vanta come esponenti Cesare Pavese ed Edoardo Sanguineti, recentemente traduttore di Fedra-Ippolito portatore di corona per l’INDA, proprio in virtù del rapporto personale e di stima con Fernando Balestra. La tecnica di traduzione a calco, prevede la totale adesione alla struttura e alla costruzione del testo originale, tentando così di restituire il testo senza tradirlo, o facendolo il meno possibile.

Proprio il testo, secondo Balestra, porta traccia di tutte le emozioni, i passaggi, i cambi che devono essere attraversati e incarnati dall’interprete per una buona costruzione del personaggio e dunque dell’intera messinscena tragica. Un lavoro che presuppone un profondo scavo interiore al fine di riuscire a smuovere tutti quei sentimenti e quelle connessioni emotive e vitali che risiedono nell’anima della tragedia, una rete quasi invisibile di azioni e reazioni che solo alla luce di un attraversamento intimo del testo possono diventare evidenti, reali, attuali.

Se a qualcuno questo può sembrare un punto d’arrivo, non lo era certo per Fernando che aveva la straordinaria dote di guardare e progettare sulla lunga durata senza mai perdere di vista l’obiettivo ma anzi, riuscendo a spostarlo oltre la linea dell’orizzonte.

Per lui il teatro era mezzo eletto per la sensibilizzazione e la rieducazione ai valori intramontabili che dovrebbero appartenerci e che però si sono quasi staccati da noi:

«nella nostra società i valori sono stati persi, allora l’unica possibilità è ricominciare da capo e da dove siamo nati, cioè dai greci e dai cristiani, che hanno reso sublimi temi quali la dignità della persona, il rispetto dell’altro, l’odio per la schiavitù. Ritorniamo indietro quando le cose davanti a noi sono difficili. La cultura serve a difendere la vita, a rianimare le statue di gesso che siamo diventati, partendo dalla conoscenza e dal rispettare del senso del dolore, che la società tende a rimuovere insieme alla morte» [9].

L’obiettivo era grande, quello che solo chi ha il coraggio di rubare il fuoco agli dei può avere. Fernando aspirava a un Nuovo Umanesimo, secondo la lezione di Eric Fromm. Le pagine di Io difendo l’uomo lo accompagnavano a ogni riflessione. L’uomo con la sua ritrovata umanità era l’alto obiettivo che si proponeva, attraverso la formazione di una comunità più consapevole e aperta alla sofferenza, allo scambio e al dialogo attraverso lo strumento del teatro.

Lo ricordo con le sue parole, le ultime che mi ha detto:

«C’è tanto da fare, ma finalmente sento che possiamo riuscirci».

Ci facciamo carico, io e Vincenzo Quadarella, insieme con tanti, della sua eredità di Maestro e amico nella speranza di fare di tutto questo un manifesto per una nuova era.

A te Prometheus, o del fuoco maestro di ogni arte.

Auretta Sterrantino

 


[1] Faccio riferimento al v.7 di Prometeo di Eschilo, traducendo molto liberamente sulla scorta dell’interpretazione di Ettore Romagnoli.
[2] Alla terza era dell’INDA parla Fernando Balestra nel suo intervento per il programma di sala (Numero Unico) del 2007.
[3] Si veda l’intervento di Fernando Balestra nel Numero Unico della Fondazione INDA, anno 2007, di cui riprendo la formula incipitaria: «Sotto l’ombra benevola del caso, i nobili Gargallo fecero il tentativo, riuscito, di salvare le radici greco-romane, e quindi giudaico-cristiane, che sono alla base della convivenza democratica in Europa».
[4] Si veda l’intervento di Fernando nel Numero Unico 2008. Dopo l’avviamento dell’ADDA, Fernando scriverà nel Programma di Sala: «La Fondazione, conscia del ruolo importante che svolge da decenni nella preparazione di studenti provenienti da scuole di ogni ordine e grado attraverso l’organizzazione del Festival Internazionale del Teatro Classico dei Giovani, e negli ultimi anni anche attraverso il “Progetto Prometeo”, ha istituito corsi di avviamento alla conoscenza del pensiero  e della tecnica teatrale riferiti al mondo classico, volendo formare una classe di giovani che abbia frequentazione diretta del patrimonio intellettuale della nostra storia, al fine di tenere viva la lezione della scuola siracusana. Quindi sì è tornati a sperimentare a Siracusa l’attore totale, in grado di interpretare attraverso e tecniche messe a disposizione dalla musica dal canto, dalla recitazione, dal movimento coreutico, come le intese l’inventore della rinascita tragica, Ettore Romagnoli. L’accademia è lo spazio del teatro in cui la ricerca è stata indirizzata sia alla formazione artistica di giovani attori, sia ad una pratica sperimentale in grado di arricchire la resa delle messe in scena dell’INDA, di coglierne, alimentare, e rinnovare la tradizione. È lo spazio fisico e culturale in cui avviare la trasmissione dell’esperienza teatrale; lo spazio privilegiato dove vengono ordinati, studiati, interpretati, appresi quei principi estetici che ritornano dopo 2400 anni».
[5] «Dobbiamo guardarci dal considerare le parti corali, o meglio musicali, come intermezzi. Queste costituiscono la parte principale della tragedia. Sono come un gran fiume, che corre lento e maestoso dal principio alla fine; e lungo il suo corso ci arrestano qua e là, come isole, gli episodi drammatici. E la struttura, precisa, perché musicale, delle parti corali influisce anche sulla struttura degli episodi, i quali sono costruiti spesso con simmetrie ed esatte rispondenze che giungono dalle più ampie linee alla precisione dei dibattiti che si svolgono verso contro verso (sticomitie), come un incrociar di spade, e sono confusi in cento vari intrecci con le parti cantate del coro e degli attori». Eschilo, Le tragedie, a cura di Ettore Romagnoli, Zanichelli editore, Bologna 1921, p. XV.
[6] B. Cagli, Teatro, a cura di Fernando Balestra, Bulzoni editore 2014.
[7] I nomi di tutti i docenti in ordine alfabetico: Elisa Barucchieri, Bruno Cagli, Antonio Calenda, Luciano Canfora, Maria Raffaella Cassano, Daniele Cipriani, Monica Conti, Alfredo Luigi Cornacchia, Natalia Di Jorio, Giorgio Ieranò, Elisabetta Matelli, Angelo Palumbo, Laura Piazza, Christian Poggioni, Piero Totaro. Il secondo anno si è per altro concentrato sullo studio del testo di Fernando Cassandra. O’ Skene’.
[8] Note del direttore Balestra, 2015. E ancora: «L’ispirazione nasce dai gessi di Pompei. Nel 1863 un archeologo illuminato, Giuseppe Fiorelli, capo degli scavi, venne chiamato dagli operai perché in una cavità furono trovate delle ossa. Intorno a questi resti di scheletro fece colare gesso e acqua. Quando si solidificarono si ottenne un calco che rendeva visibile la posizione del corpo, l’espressione del volto e una serie di elementi che riportano immediatamente nell’attualità della tragedia, nel momento esatto in cui sta per finire una vita umana. Con la tragedia greca si è sempre avuto un approccio declamatorio e retorico, mentre la tecnica migliore è scavare nell’intimo di questo scheletro meraviglioso che è il testo e, attraverso il lavoro dell’attore, dargli corpo, un corpo che vive nell’attualità con quei sentimenti che eredita dal passato. L’interpretazione a calco è il tentativo di vivificare il tragico e renderlo attuale». Intervista a Balestra, cura di Antonietta Tricarico, cfr. http://teatromercadantealtamura.it/2014/al-via-la-summer-school-intervista-al-direttore-fernando-balestra/.
[9] Intervista a Balestra, cfr. n. 8.