#APPROFONDIMENTIUNICI: NAUFRAGIO

UN PRELUDIO, QUATTRO MOVIMENTI, UNA FUGA

15 APRILE 2018, CHIESA DI SANTA MARIA ALEMANNA, MESSINA, ORE 18.00 E 21.00
Interviste a cura di Vincenza Di Vita 

 

INTERVISTA AD AURETTA STERRANTINO, autrice e regista di Naufragio 

 Naufragio è un testo che si pone con delicata attenzione riguardo al tema della migrazione e della ribellione al potere costituito, sebbene da un punto di vista privilegiato, quale può essere quello di una principessa. Quanto è difficile raccontare questo tema oggi senza scadere in stereotipi o buonismi?
Direi, innanzitutto, che per non cadere nello stereotipo non si dovrebbe mai rappresentare uno stereotipo e che non ci dovrebbe mai essere spazio per il buonismo a teatro, perché il teatro dovrebbe essere una costante tensione dialettica tra due possibili verità che si collocano su poli opposti e forze opposte e che sono, sempre, entrambe accettabili. Per superare il primo problema, dunque, ci siamo rivolti a un archetipo, un mito antico e polisemico che non racconta la storia di una migrante, ma la storia di una giovane donna a cui viene interdetta ogni possibilità di esercizio del libero arbitrio. E quella che potrebbe sembrare una condizione privilegiata, l’essere figlia di un re, è in realtà un’aggravante che conduce a esiti che definirei tragici. Così nello spettacolo i due impulsi opposti sono l’istinto alla vita di Danae e il corso della vita stessa, o Tyche, se vogliamo definirla così, che sembra agire sempre contro la determinazione della protagonista. Vittima di soprusi, violenze, quasi uccisa, quasi violentata, madre per la discesa dello spirito del santo Zeus, quasi morta in mare. Esule, questo è il termine corretto, non migrante. Esule e poi straniera in terra straniera, supplice. Relegata alla sola condizione di esule o ridotta allo status di migrante sarebbe diventata un pretesto per raccontare un fatto d’attualità. E un pretesto, in teatro, si risolve molto spesso in uno stereotipo o in molta pochezza. 

Perché una eroina di un testo classico può rendere viva una urgenza presente? In che modo avete lavorato su questo?
 Non mi riferirei a Danae parlando di un’eroina, non lo è per statuto e non lo è nell’accezione romantica del termine. Non è neanche un personaggio di un testo classico, ma un personaggio del mito classico, un personaggio molto intenso che conosciamo attraverso fonti di diversa natura, soprattutto di carattere mitografico, appunto. Tuttavia l’input poetico, a me, è arrivato dal celebre frammento di Simonide Di Ceo, che mostra l’immagine di una donna e un bimbo chiusi in una cassa in balia del mare. L’associazione di questa immagine con quelle che molto spesso vediamo in tv o sui giornali mi è sembrata interessante: utilizzare un’iconografia attuale per raccontare una storia universale e non solo contemporanea. Per agire una lotta per l’affermazione del sé contro tutto e tutti, disposti anche a morire pur di non cedere. Sono atteggiamenti estremi, e in un certo modo forse anche stoici, ai quali non siamo più abituati. Non voglio ingenerare compassione verso il personaggio, non voglio che si pensi “poverina” ma che insieme a lei, tutti, donne e uomini, si urli “io non voglio. No, non voglio!” e “Io resisto!”. Questa è l’urgenza del presente: trovare la forza di dissentire e di portare con dignità fino in fondo le conseguenze estreme del dissenso. A costo di rinunciare a tutto. Per questo abbiamo lavorato sul tempo e, in particolare, sull’urgenza del presente di Danae, ma senza trascurare il portato del passato, che diventa ogni volta più ingombrante e determinante. Tuttavia, vivere in scena l’hic et nunc, e farlo non solo in relazione a se stessi ma anche in relazione ad altri personaggi che in scena vediamo attraverso la protagonista, può rendere tutto così vivo e presente da diventare possibile per ciascuno di noi. In questa direzione abbiamo lavorato sia con Marialaura Ardizzone, una Danae forte e delicata al contempo, che con Filippo La Marca, musicista e compositore di grande sensibilità. 

Lo spettacolo ha debuttato in uno spazio diverso e con una struttura musicale differente. Quali modifiche sono state apportate nel vostro contributo scenico?
Naufragio ha debuttato all’interno della rassegna “Promontorio Nord”, diretta da Roberto Bonaventura, a Capo Rasocolmo. Ed è nato proprio per quel magnifico contesto, all’aperto, immerso in un boschetto a strapiombo sul mare, con le isole sullo sfondo. Portato in scena senza alcun tipo di supporto tecnico, ha goduto dei cambi di luce naturali che ci hanno accompagnato fin dopo il tramonto, dei suoni della natura, misti al nostro quartetto d’archi, dei suoi odori, delle sue presenze, come i gabbiani che volavano durante lo spettacolo. Allora l’insieme è risultato essere una totale fusione tra messinscena e ambiente circostante. Adesso ci troviamo a lavorare su un altro spazio, anch’esso caratterizzante: una chiesa. Il lavoro è stato quello di asciugare e lavorare sul simbolico e la metafora per tentare di spalancare l’immaginario dello spettatore verso spazi esterni che sono però contemporaneamente parte integrante dell’intimità della protagonista. Per questo è stata fondamentale una lunga riflessione sullo spazio, per cercare di recuperare una chiave che non allontanasse troppo lo spettacolo dal pubblico, dal momento che per altro non ci troviamo in uno spazio istituzionale. Per ben lavorare lo spazio è stato immediatamente necessario pensare alle luci insieme a Stefano Barbagallo, e cercare di comprendere cosa è possibile ottenere lavorando in un contesto che pone numerose limitazioni dal punto di vista tecnico, senza offrire grandi soluzioni “naturali”. Il primo passo nel lavoro con Marialaura Ardizzone è stato definire con maggiore precisione gli interlocutori di Danae, per aprire una sorta di faro su di lei e sospenderla di fronte allo spettatore in una realtà circoscritta seppure evocata. Il secondo passo è stato un lavoro sulla voce, alla ricerca di sonorità più basse e piene, in modo da far meglio maturare il personaggio di stagione in stagione, anche grazie a una più consapevole modulazione della voce. Perché Danae adesso emergerà dall’oscurità di uno spazio buio, che rappresenta un momento e un umore diverso della sua storia. Il terzo passo è stato il cambio di strumenti: dal quartetto d’archi, perfetto per una situazione acustica come il contesto in cui ci trovavamo, al pianoforte, più adeguato all’acustica della chiesa e ad accompagnare una voce amplificata. Per altro decisamente più terreno e profondo il pianoforte, rispetto alla leggerezza eterea degli archi, senza contare che “Preludio” e “Fuga” erano stati scritti originariamente proprio per pianoforte. Abbiamo dunque rielaborato l’orchestrazione voce/piano e lavorato sulla dialettica musicista/interprete, in modo da costruire un vero e proprio dialogo. Il quarto passo si è concentrato sul ritmo della recitazione, sempre sostenuto, ma rallentato in modo da distendere testo ed emozioni e aprire un varco per lo spettatore. Infine abbiamo tentato di lavorare il più possibile sui pochi oggetti in scena e, attraverso di essi, anche su ciò che era suggerito fuori scena in modo da creare un legame più chiaro tra lo spettatore e il mondo interiore di Danae. Un elemento piccolo e semplice presente nel primo allestimento è diventato, grazie all’aiuto di Valeria Mendolia, straripante richiamo al mare salvifico e generatore, liquido amniotico, bacino di lacrime, conforto ed elemento di evasione. 

 

INTERVISTA A MARIALAURA ARDIZZONE, interpreta Danae in Naufragio  

 Naufragio è un testo che si pone con delicata attenzione riguardo al tema della migrazione e della ribellione al potere costituito, sebbene da un punto di vista privilegiato, quale può essere quello di una principessa. Quanto è difficile per un’attrice immedesimarsi senza scadere in stereotipi o buonismi?
È sempre difficile per me parlare di un testo al quale sto lavorando, ancora di più lo è parlare di Naufragio in quanto è un testo estremamente importante per me che ho cercato di indossare e di cucirmi, con molta delicatezza, addosso, partendo da quelli che erano i punti di contatto tra me e il personaggio che man mano che il lavoro procedeva, aumentavano a dismisura.
Naufragio è uno spettacolo estremamente emotivo che ha l’effetto di un “pugno nello stomaco”. Penso che quando leggi un testo e subito dopo senti la necessità di rimanere immobile per metabolizzare il tutto vuol dire che i substrati sono così tanti che il lavoro attoriale non potrà che essere pieno e liberatorio. Naufragio può essere considerata una storia attuale in quanto per diversi aspetti può riguardare ognuno di noi, uno specchio a tutti gli effetti nel quale chiunque potrà vedere riflessa la sua immagine per i motivi più svariati. Naufragio infatti è la storia di una lotta alla sopravvivenza, è desiderio di libertà, è la storia del perseguimento di un diritto che forse troppo spesso diamo per scontato: Essere.  Io da attrice nel riflesso di questo testo ci vedo la mia passione che negli anni ho avuto la fortuna di far diventare il mio lavoro fino a rappresentare la mia intera esistenza. Quando ti approcci al teatro sei consapevole del fatto che, oltre che una passione, esso sia proprio una scelta di vita e lotti con le unghie e con i denti per sentire viva questa urgenza di perseguire un sogno e per dare voce a qualcosa che è un tuo diritto, però non sempre riconosciuto come tale. Danae in questo senso percorre il suo desiderio di libertà, di vivere in connessione con il mondo: libera. Ma la sua libertà non può essere vissuta nella sua casa, nonostante lei provi con tutta se stessa a trovare il bello in una ristrettezza, cercando sollievo e riparo nelle piccole cose che la circondano, lasciandosi guidare dal mare: quella vastità infinita che riesce a darle conforto e cullarla e che la porta nella paura e nel dolore a essere comunque lieta.  Non la definisco però una “migrante” lei non scappa ma “resiste” al potere del padre, a un sistema molto stretto per il suo spirito e che cerca di cambiare da dentro, rivolgendosi direttamente a chi ha il potere di decidere per la sua intera esistenza.
Naufragio è un’avventura, una sfida lanciata da Auretta Sterrantino e accolta con grande entusiasmo da me e Filippo La Marca a tal punto da diventare il “Nostro Naufragio”, un periodo di lavoro pieno e intenso che ha dato spunto a molte riflessioni e che è stato per me motivo di crescita personale e lavorativa. 
Perché una eroina di un testo classico può rendere viva una urgenza presente? In che modo avete lavorato su questo?
Danae è un personaggio immenso, sin dalla prima lettura del testo sono rimasta affascinata dalla sua natura, dalla potenza estrema di questa donna. Lei non si piega ma trae forza dai suoi dolori per rialzarsi ancora più combattiva ma senza lasciare il tempo di farsi affossare totalmente, ha una spinta vitale più potente del suo stesso destino. Lei trova forza da ciò che la circonda, dai profumi, dai colori, dal mare e dalla danza che per lei sono sinonimo di vita. È da questi elementi che siamo partiti: da una necessità di sentirsi liberi, dal rapporto delicato con i genitori che non rinnega ma che cerca di rendere partecipi delle ingiustizie alle quali è sottoposta. Nonostante tutto però non vuole essere un personaggio da compatire ma riesce a prenderti per mano e portarti in questo suo mondo pregno di suoni, colori immagini e odori. Ci siamo infatti soffermati molto sull’aspetto sensoriale per le nostre ricerche durante la fase di lavorazione partendo principalmente dal connubio tra testo e musica. La partitura musicale infatti è totalmente parte del testo è l’interlocutore primario del personaggio. La musica, infatti, non solo accompagna la parola ma la contrasta, le dà forza e si lega a essa, diventando parte integrante della storia. Dalla prima messa in scena sono trascorsi parecchi mesi, periodo durante il quale ho continuato  in modo naturale a interiorizzare il testo sempre di più, a ritrovare questa storia nelle piccole cose, nella quotidianità a tal punto che la ripresa del lavoro ha generato un’urgenza ancora più forte della prima volta in quanto quelle parole sono diventate nel tempo sempre più pregne e desiderose di venir fuori, per riprendere vita in tutta la loro potenza, per tracciare così i tratti di una Danae questa volta più consapevole e più matura. Naufragio più di tutti gli altri testi è in continuo divenire, a ogni prova infatti ho avuto la percezione di scoprire sempre qualcosa di nuovo da dover digerire, metabolizzare e interiorizzare. 

Lo spettacolo ha debuttato in uno spazio diverso e con una struttura musicale differente. Quali modifiche sono state apportate nel vostro contributo scenico?
Dalla prima messa in scena abbiamo lavorato per riadattare lo spettacolo in uno spazio del tutto diverso. Lo spettacolo aveva debuttato in agosto presso la cantina Giostra Raitano, in un ambiente sicuramente suggestivo e per alcuni aspetti più al servizio dello spettacolo stesso. Rivolgersi direttamente al mare, che in quella ambientazione aveva un ruolo predominante,
chiedergli aiuto è stato come avere, quasi per un momento, la percezione che una risposta potesse davvero arrivare dallo stesso mare. Questa volta abbiamo cercato di dare vita al mare creando immagini nuove ma avendo sempre presenti le sensazioni provate in precedenza cercando di farle rivivere ancora più forti di prima. La partitura musicale, seppur sempre la stessa, in precedenza era stata realizzata da un quartetto d’archi molto suggestivo e di grande sostegno all’intero spettacolo adesso invece è eseguita al piano da Filippo La Marca che è anche l’autore dei brani.  Il lavoro fatto in questa seconda ripresa è stato quello di creare un legame ancora più forte tra parola e musica che ha generato una complicità e un reciproco sostegno. La musica infatti è parte integrante del testo, vuole essere un completamento della parola diventando un interlocutore imprescindibile, una compagna di viaggio che condurrà Danae nel suo cammino dandole sostegno, contrastandola, provocandola e cullandola nel corso della sua storia. Credo sia importante sottolineare il magistrale lavoro testuale fatto da Auretta Sterrantino, il testo infatti da solo basterebbe a catapultarti nella storia di questa donna che in un’alternanza di stagioni (ognuna delle quali simboleggia una fase precisa della sua vita) restituisce un senso di irrequietezza e di continuo mutamento.  Credo che questa volta Auretta più del solito abbia dato prova della sua maestria nel giocare con le parole che hanno una potenza tale da diventare musica e intrecciarsi con essa  creando una ritmica impeccabile in cui ogni singola parola, ogni singolo suono è scelto con grande cura al fine di creare
un preciso susseguirsi di immagini, di colori, di emozioni e di visioni di questa fanciulla, costretta a diventare donna forse troppo presto. Che dire? Non posso che ritenermi fortunata di aver preso parte a questa nuova avventura di QA.  

 

INTERVISTA A FILIPPO LA MARCA, compositore e musicista per Naufragio  

 Qual è stato il lavoro sulla metrica musicale?
Il lavoro sulla metrica musicale è stato affrontato partendo da una lettura del testo con l’affiancamento della regista e drammaturga Auretta Sterrantino. Abbiamo considerato la parola come una delle voci che costituisse la partitura. Partendo da lì ho lavorato alle altre voci, che nella scorsa rappresentazione erano affidate ai quattro strumenti che compongono un quartetto d’archi e che questa volta invece verranno eseguite su pianoforte. 

Come si può tradurre il disagio e la condizione della protagonista con suoni e musica?
Negli ultimi anni sto lavorando molto con software e sintetizzatori, i quali permettono una vastissima gamma di suoni e possibilità di sperimentazione. Questa volta ho voluto utilizzare come unico strumento le possibilità armoniche e contrappuntistiche delle cinque voci. Non mi sono posto l’obiettivo di tradurre in musica le condizioni della protagonista, ma di esserne pienamente parte in alcuni momenti e contro esse in altri. 

 Lo spettacolo ha debuttato in uno spazio diverso e con una struttura musicale differente. Quali modifiche sono state apportate nel vostro contributo scenico?
Il luogo in cui viene fatto uno spettacolo è fondamentale sia per questioni di spazio che per questioni di acustica. Il debutto è avvenuto nel contesto di una rassegna teatrale estiva sotto la direzione artistica di Roberto Bonaventura nella favolosa cantina Reitano, stupendo teatro che si affaccia sul mare. Questa location all’aperto, richiedeva la necessità del sostegno e del riempimento degli archi. Domenica 15 aprile rappresenteremo Naufragio nella Chiesa di S. Maria Alemanna, location chiusa e molto reverberata e richiede una tessitura più secca e tempi più dilatati. Per questo motivo le musiche saranno eseguite sul pianoforte, che oltre a risolvere una importante questione acustica ci sta dando la possibilità di studiare tutto attraverso un altro punto di vista.