QUANDO, COME UN COPERCHIO

Omaggio a Lucio Piccolo, Eugenio Montale, Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo

Regia e drammaturgia: Auretta Sterrantino
Musiche originali: Vincenzo Quadarella
Allestimento: Valeria Mendolia

con
(in ordine alfabetico)

Oreste De Pasquale: Bruno
Giada Vadalà: Amelia

Tu che cerchi, cosa cerchi tu?

Accade a volte che inizi una ricerca e d’un tratto ti accorgi di non essere tu a condurre. È lei che ti trasporta, senza lasciarti scelta. Ti immerge in un mondo altro, del quale all’improvviso senti di essere parte integrante.
Così è capitato cominciando a lavorare su questo testo, che voleva essere un omaggio a quattro grandi autori, legati per vie diverse, e in modo differente, tra loro, e tutti in varia misura connessi all’area dello Stretto. Quattro intellettuali: Lucio Piccolo, Eugenio Montale, Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo, attraversati spesso da un sentimento di cupo disagio, a tratti di rifiuto verso il mondo circostante.
Iniziando a incrociarne le vicende personali e l’opera, è nata una storia diversa, in un certo senso forse tangente a quella delle loro vite, ma in realtà carica più che altro di eco e suggestioni, derivanti dalle biografie di questi autori e dai loro scritti, che in piccoli frammenti trovano spazio nel testo perdendo, qualsiasi tipo di contestualizzazione e rifiutando il senso della citazione.

“Quando, come un coperchio” – che prende il titolo dall’incipit della poesia Spleen di C. Baudelaire –  è diventata una storia a due. Un dialogo tra un uomo e una donna, legati da un rapporto profondo di amore e condivisione, stretti l’uno all’altra in modo consapevole. Simili, eppure totalmente diversi. Un uomo e una donna che parlano, nell’arco di una notte, senza sosta, tessendo abilmente diversi piani di senso e nascondendo in profondità la linea di comunicazione più vera e tragica che stanno consumando.
In uno spazio chiuso, prima metafora di senso, si muove l’epilogo di una storia complessa e tragicamente possibile, una storia che mostra le conseguenze della nostra incapacità di raccontarci e mostrarci fragili fino in fondo.
Un tempo senza tempo, circolare, che scorre alternativamente, lento e veloce, si riconosce nel contrasto tra lo spazio chiuso della casa e quello aperto, intuito, rifiutato o desiderato. Distante eppure sempre presente nei continui riferimenti polisemici a pioggia, cielo, mare, nuvole, luna. Uno spazio e un tempo bui e a tratti asfittici, ulteriore metafora della condizione dei protagonisti.
È il limite che viene esplorato, sfiorato, oltrepassato, in una “notte della verità” che trova un esito del tutto inatteso.

La scena e i costumi sottolineano questo contrasto tra interno ed esterno, enfatizzandone il confine che diventa nella messinscena “confine di senso”, mentre sono le musiche che lavorano sull’assenza di limiti, su tempo-non tempo e spazio negato, amplificando il contrasto, la confusione e gli stati emotivi dei personaggi.