#ATUPERTU: GLI ATTORI DI INTERNO DI CASA CON BAMBOLA

INTERVISTA A DAVIDE SBROGIÒ

Ho letto “Casa di bambola” alcuni anni fa. Doverlo adesso interpretare mi ha posto in una condizione diversa, analitica delle varie scene. Il mio rapporto col testo è comunque sempre intenso, dinamico, critico. Sono solito sezionare le varie parti del mio personaggio, leggere e rileggere ogni scena cercando sempre di scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa insito nella scrittura. Il mio personaggio, Torvarld Helmer, è un fine maschilista, un sordo egoista insensibile, incapace di amare Nora perché incapace di creare un vero rapporto comunicativo con lei, proiettato com’è in una dimensione costantemente auto-referenziale. È un uomo espressione di una società ipocrita con i suoi cliché fondati sulla forma e sull’apparenza.
Con Manuel Giliberti lavoro da circa 20 anni. Ho preso parte a diversi allestimenti firmati dalla sua regia, testi classici e contemporanei. Pertanto mi lega a lui un rapporto di reciproca stima. Conosce benissimo le mie caratteristiche attoriali e io il suo modo di lavorare. È un regista che ama instaurare un clima di grande serenità e fiducia nella compagnia, lasciando anche all’attore (quando è possibile) il suo spazio creativo.
Mi piacerebbe che alla fine dello spettacolo il pubblico elaborasse il senso liberatorio di una giusta conclusione della vicenda e riflettesse sulla trasformazione di Nora, da archetipo dapprima di una donna burattino a donna determinata e matura poi. Mi piacerebbe che il pubblico avvertisse che in questo spettacolo si parla di libertà, di dignità, del diritto di un essere umano a vivere la propria vita senza essere vittima delle convenzioni sociali.

INTERVISTA A GIORGIO FALLETTI

Scrisse joyce, nel 1900, che l’opera drammatica di Ibsen non polarizza sull’azione o sugli avvenimenti ma che è, infine, il nudo dramma ad attrarre l’attenzione (anche a dispetto dei personaggi). Ma in fondo una tale analisi è comune denominatore, è presupposto essenziale parlando di teatro, no? Per questo se dovessi parlare del testo o, peggio ancora, del rapporto che presumo d’aver stabilito con esso, l’azione sulla scena ne farebbe puntualmente e dispettosamente altro, (perlomeno, ed è questa la magia, lo farebbe -SEMBRARE- altro) proprio perché il teatro non si dice, si fa. Le tavole del palcoscenico tirano a smentire, da sempre, da quando sono nate. Gli attori lo sanno bene.
Quanto al mio Krogstad, non sarà pura perfidia. Non lo vedo così. Neppure Manuel, credo, lo avrebbe voluto così. Krogstad è, piuttosto, un animale ferito ripetutamente dalla vita. Vive l’estenuante corsa del riscatto sociale o, per dirla come la dice lui, della -riabilitazione- è questo a farlo diventare greve, a tratti subdolo, viscido, cattivo: sfodera, di volta in volta, le armi (e dunque le parole) più adatte alla circostanza, proprio come un alpinista sceglie i picchetti scalando una parete.
È la prima volta che lavoro in teatro con Manuel. Sa ciò che vuole dagli attori. Questa asserzione potrà apparire banale, trita, sviolinante ma non lo è. Una determinazione, la sua, che parte da lontano, dalla scelta degli interpreti, che siano quelli giusti, che abbiano fisionomie e caratteristiche al servizio del personaggio, ma che, soprattutto, siano degli esseri umani (caratteristica, questa finale, ultima solo per via dell’ordine cronologico). Personalmente poche volte mi è capitato di vivere immerso in un clima così fortemente connotato dalla collaborazione tra regista e interprete, dalla pacatezza e dal garbo intelligente nel porgersi e nell’ascoltare che Manuel possiede. E poi nei brevi intervalli di lavoro si ride, vi pare poco? Da quando gli ho confidato di essere una persona particolarmente ricettiva (basta solo che mi spieghino le cose appena sette otto volte…) è stata la fine! Ci divertiamo anche, che male c’è? E chi ha detto che non si può fare sul serio con leggerezza? Viva il teatro, viva noi!

INTERVISTA A GIORGIA D’ACQUISTO

«È la prima volta che lavoro con Manuel Giliberti anche se ci conosciamo da qualche anno e credo che alla base di questo inizio ci sia stima reciproca. In questi giorni di prove ho potuto apprezzarne l’eleganza la gentilezza e la cura per i “suoi” attori. Abbiamo affrontato lo studio di un grande classico, un testo molto rappresentato, di cui esistono produzioni “storiche”. Quando ci si confronta con giganti di questo calibro è necessario un grande rispetto e di sicuro partire da una forte oggettivazione del testo può essere di grande aiuto. Nella riscrittura che portiamo in scena interpreto la signora Linee e trovo che l’unico modo per descrivere un personaggio sia utilizzare le parole dell’autore. Non amo gli psicologismi, per cui non posso prescindere dagli elementi che lo stesso Ibsen mi ha dato: la signora Linde è una donna stanca, fiaccata dalla vita, con un esaurimento. Tuttavia nel finale ha un cambiamento che in qualche modo le consente di riscattarsi. Vorrei che il pubblico che assisterà provasse piacere per l’intreccio drammaturgico. Del resto funzione prima del teatro è proprio quella di raccontare storie. E vorrei poi che andando via portasse con sé una riflessione: “qual è il ruolo che io gioco quotidianamente nella mia realtà?”».

INTERVISTA A LAURA INGIULLA

Il testo rappresentato, è un opera teatrale con infinite risorse filosofiche oltre che pedagogiche e psicologiche.
Appena ho saputo della preparazione di questo spettacolo ho iniziato a studiare per interi giorni la “Critica della ragion pura” di Kant, un invito per la ragione ad assumersi nuovamente il più grave dei suoi uffici, cioè la conoscenza di sé, e di erigere un tribunale che la garantisca nelle sue pretese legittime ma condanni quelle che non hanno fondamento. Lo studio dell’immortalità dell’anima di Nora sta appunto nella decisione della possibilità o impossibilità di una metafisica in generale, e la determinazione così delle fonti, come dell’ambito e dei limiti della medesima, e tutto dedotto da princìpi.
Nora, il personaggio che interpreto, è una giovane donna che coltiva dentro sè un forte senso di ribellione causa, a volte, di atti ingenui. In molte critiche letterarie il mio personaggio viene visto come donna assoluta: una madre disposta a rinunciare alla crescita dei propri figli piuttosto che sottostare alle condizioni sociali imposte dal marito. Ai mie occhi, invece, Nora appare, fin dalle prime righe del testo, come una persona altruista: procura dei soldi per salvare la vita del proprio marito, aiuta Kristine a trovare un posto di lavoro, e infine comprende di non poter più vivere casa propria, perché in futuro le avrebbe portato solo frustrazioni che si sarebbero riversate sui propri figli. Il femminismo assoluto di Nora non è altro che un razionale altruismo nei confronti della sua apparentemente “famiglia”.
La società in cui Ibsen ambienta quest’opera non è poi tanto lontana dalla nostra. Tutt’ora viviamo delle costrizioni sociali, (diverse solo in apparenza) il periodo di crisi non è favorevole, e questo ci permette di giustificare certi meccanismi interni famigliari e lavorativi. Il colpevole del dramma di Nora è il denaro, senza di esso non sarebbe potuta partire per salvare la vita di Torvald e in seguito non sarebbe stata vittima di minacce da parte di Krogstad, responsabile dell’abbandono della casa. In un certo senso tutto il testo si aggira intorno alla voglia di potere che per natura appartiene all’uomo e il possesso nei confronti del denaro. Tutti vogliono guadagnarsi il miglior posto in banca, o semplicemente procurasi un buon posto di lavoro per sopravvivere (come nel caso del personaggio di Kristine). Tutti siamo vittime di un sistema. Vorrei che il pubblico si accorgesse che tale opera teatrale può insegnarci tanto e renderci consapevole della società in cui viviamo.
Ho conosciuto Manuel nel Giugno 2014, ero al secondo anno accademico, lui era in cerca di un musicista che scrivesse un accompagnamento per “Le Siracusane” di Teocrito, e il segretario dell’accademia conoscendo i miei studi sul flauto traverso mi propose al regista.
Da subito è nata una forte complicità che ha fatto sì che lavorassimo insieme in altri tre spettacoli. Abbiamo instaurato un legame di amicizia confidenziale, questo ci permette di lavorare serenamente.