RICOMINCIO DAL TEATRO

INTERVISTA A SIMONE CORSO PER IL  CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021
a cura di Elena Russo

In occasione della prima di Liberamente ispirato a La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe, prodotto da Nutrimenti Terrestri e andato in scena al Cortile Calapaj-D’Alcoltres il 27 luglio 2021 per il Cortile Teatro Festival, noi membri dell’Osservatorio Critico di QA-QuasiAnonimaProduzioni abbiamo avuto la possibilità di intervistare Simone Corso, regista e autore dello spettacolo.

 Liberamente ispirato a La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe: come sei arrivato a questo lavoro?
Al testo La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe ci sono arrivato essenzialmente per una fascinazione. Avevo scritto un lungo adattamento di 46 pagine ispirato a tutte le letture di Shakespeare che avevo fatto fino a quel momento e l’estate scorsa, esattamente un anno fa, su un bus Bologna-Zagabria, ho sentito ancor di più addosso l’esperienza della pandemia. Ho sentito come se i confini a causa del lockdown si fossero ampliati tra i Paesi, come se cercassimo, da esseri umani, di fermare il virus come fermiamo un invasore: alzando muri. Questa è una battuta che c’è dentro il mio testo e che mi è tornata alla mente e ho pensato che quello sarebbe stato un punto da cui ripartire rispetto al mio percorso di teatrante dopo quello che abbiamo vissuto tutti come comunità umana.

Dal testo che hai scritto nel 2013 al testo che oggi hai messo in scena cosa è cambiato?
Abbiamo cercato di usare quel testo tirando fuori i tratti della vicenda più vicini al nostro vissuto. Il testo si intitola Prospero. Liberamente ispirato a La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe. Io e la mia dramaturg Jovana Malinarić abbiamo estratto 12 pagine che vedono la figura del principe protagonista, che abbiamo cercato di portare in scena, come una sorta di esempio di indagine dell’essere umano che si confronta con una pandemia e una quarantena. Quindi abbiamo portato in scena il percorso di un giovane principe messo a confronto con la responsabilità del passato da cui proviene e del futuro da costruire. Tra due poli sono incarnati i personaggi del testo: un uomo e la conservazione di ciò che vi era prima, e una donna che rappresenta l’amore, il futuro, il sogno. Qui si consuma la tragedia e io personalmente credo che tutti noi stiamo cercando di capire come far coesistere quello che c’era prima e capire cosa ci può essere dopo questo periodo appena vissuto. È come se ci fosse un fil rouge che lega insieme tanti avvenimenti odierni e quel fil rouge è il nostro passato rispetto a un futuro che non potrà essere uguale.

Come avete lavorato con l’attore in scena sul personaggio?
La volontà era quella di portare in scena una solitudine, tentare non di raccontare la storia di Prospero ma di farla accadere.
Il teatro per sua costituzione credo, a differenza del cinema e di tutte le altre arti che si prefiggono di raccontare delle storie, ha la funzione di far accadere le storie, far accadere qualcosa solo se pubblico e attori ‘accadono’ come corpi nello stesso momento, in scena, quella data sera, in quel dato momento.
Abbiamo cercato di coinvolgere il pubblico sin da subito dentro la narrazione investendolo anche di un ruolo ovvero quello della corte del principe abbiamo cercato di creare una sorta di ponte tra quello che accade in scena a Carmelo/Prospero [Carmelo Crisafulli, l’attore interprete dello spettacolo, ndr] cercando di far dialogare con il pubblico la drammaturgia dello spettacolo con la macro-drammaturgia sociale.

Cosa ti aspetti da questo tuo primo studio e cosa ti immagini per il futuro dello spettacolo?
Noi siamo arrivati all’incontro col pubblico presentando uno studio con la volontà di comprendere delle cose, da questo ne abbiamo ricavato un bagaglio che vorrei mettere in prova insieme con Carmelo Crisafulli e con Giuditta Pascucci (che in questo primo studio era solo una voce eterea) e fare domanda di residenza a fine ottobre per cercare di dare una definizione al lavoro.
Mi aspetto da questo lavoro che possa essere ogni volta, nei vari contesti, per il pubblico un’esperienza che lasci qualcosa. Vorrei che si parlasse di teatro, abbiamo bisogno di proposte che siano il punto di partenza e che in qualche modo lo spettacolo stia dentro il flusso della vita per cercare di cambiarla. È ambizioso e pretenzioso come progetto ma credo che oggi è nostra la responsabilità come teatranti, come gente che opera e che fa politica in una maniera differente rispetto a quella che è la narrazione politica contemporanea, di cambiare le cose e di far interrogare le persone partendo dal dialogo col mondo che le circonda. Questa è la pretesa per questo spettacolo ma in generale per tutto il lavoro che intendo fare.