LA FIGURA OLTRE LA NEBBIA #3

#MINIMAMENTEBLU: RIFLESSIONI SULLE PROVE A CURA DELL’OSSERVATORIO CRITICO
di Andrea Ansaldo

Quando ci si muove nella nebbia è naturale chiedersi cosa vedremo una volta rischiarata la via. Che sia un terreno brullo o una placida pianura, dobbiamo porci nell’ottica che le aspettative condizioneranno il nostro pensiero, plasmando una visione che ci impedirà di vedere ciò che ci circonda con occhi limpidi. L’ultima filata di Minima mente blu a cui ho assistito è stata la più sentita, quella in cui riuscivo a intravedere ciò che sarebbe stato. Il singolo gesto che genera luci e ombre, musiche e parole che dialogano e creano significato.
L’immaginazione è un motore incontrollabile che produce pensieri altrettanto incontrollabili, quelli che ti fanno giudicare un’operazione prima ancora di vederne il risultato. L’aspettativa è un meccanismo a cui nessuno può sfuggire, soprattutto nel mondo in cui viviamo, dove il successo di un’opera è sancito prima ancora della sua diffusione presso il pubblico. È un problema sintomatico di una civiltà fortemente interconnessa come la nostra, dove l’aspettativa si autoalimenta all’interno delle nostre bolle d’informazione. Rincorriamo la notizia, il leak di contenuti, la parola detta a camera spenta e riempiamo di congetture ogni parola che fuoriesce dalla bocca del nostro idolo.
Non voglio però che quanto scritto sopra passi per uno di quei discorsi da “si stava meglio prima”, non voglio escludermi dal meccanismo dell’hype. Anzi, probabilmente sono uno di quelli che più si lascia condizionare dall’aspettativa. La nostra capacità di dare fiducia a individui che nemmeno conosciamo, ma ai quali siamo disposti a dare i nostri soldi, è quasi ammirevole; il problema si presenta una volta giunti al momento della verità. È probabilmente impossibile liberarsi delle nostre aspettative nei confronti di un’opera, servirebbe un esercizio mentale degno di uno stereotipico monaco zen, di quelli capaci di un tale livello d’astrazione da risultare imperturbabili. Noi che siamo normali esseri umani senza trascendentali abilità mentali, una volta seduti faremo inevitabili e probabilmente ingiusti confronti tra ciò stiamo osservando e ciò che presumiamo, per poi gioire se veniamo smentiti.
Noi spettatori, in questo, non siamo tanto diversi dai bambini che si emozionano davanti a un trucco di magia ben riuscito, perché incontrare la Meraviglia ci cambia. Mi piace vedere l’arte come un mezzo attraverso cui trasmettere questa Meraviglia, che nella sua natura straordinaria non ha bisogno di essere compresa pienamente per essere apprezzata. Ma viviamo anche nel mondo della sovrabbondanza di stili e di storie, del depotenziamento del nostro senso di stupore e sorpresa, ed è da questa offerta infinita che ci viene proposta che nasce la nostra cultura dell’hype. È la nostra risposta immunitaria alla quantità soverchiante di possibilità a cui abbiamo accesso. Ci consoliamo dicendo che il prossimo prodotto sarà meglio, bigger and better, che ciò che arriverà salverà il cinema, il teatro, la musica o quel che è. Ma quanto è giusto dare così tanta responsabilità all’artista? Perché investirlo con un compito messianico che non dovrebbe avere? Certo, esistono anche artisti che sfruttano le aspettative, che scelgono di alimentarle e che inevitabilmente si troveranno a dover affrontare il fuoco su cui hanno soffiato. A volte va bene, a volte no. Eppure, non puoi mai essere giusto dare un giudizio basato sulla discrepanza tra ciò che ci immaginavamo e ciò che abbiamo visto. Anche perché se ciò che cerchiamo è la Meraviglia, il motore del sapere, agire con questa presunzione intellettuale è solo controproducente.
Come possiamo diradare la nebbia, se camminiamo convinti che ogni passo sia quello giusto? Perché non essere accoglienti nei confronti di ciò che osserviamo? Magari non sarà possibile liberarsi del tutto dei nostri pregiudizi e delle nostre aspettative, ma sacrificare la curiosità per soddisfare la propria presunzione è qualcosa che ci rende un po’ meno umani.

 

MINIMA MENTE BLU
Accordi sintetici per una nudità d’essenza
II studio su V. Kandinskij e A. Schönberg
I capitolo della Trilogia sull’Arte
con Giulia Messina
regia e drammaturgia Auretta Sterrantino
musiche e progetto audio Vincenzo Quadarella
disegno luci Stefano Barbagallo
assistente alla regia Elena Zeta
ufficio stampa e comunicazione Marta Cutugno
produzione QA-QuasiAnonimaProduzioni / Nutrimenti Terrestri

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena