«L’ARTE NON PUOI CAMBIARLA, È LEI CHE CAMBIA TE»

#POSTIT: APPUNTI DI VIAGGIO – DIARIO DI UN WEEKEND A ROMA TRA THOMAS BERNHARD E VAN GOGH (26-29 gennaio 2023)
a cura di Francisca M.

 «E vorrei che alla fine della nostra vita potessimo anche camminare insieme da qualche parte e − guardandoci indietro, dire − abbiamo fatto questo − e questo è uno; e questo − questo è due; e questo […]»
Vincent Van Gogh

27 gennaio 2023
Così come la maggior parte dei miei diari, anche questo comincia con un momento di pazzia, prosegue con un viaggio e culmina nella più totale felicità.
Qualche mese fa io e mia zia avevamo deciso di andare a teatro: abbiamo passato un paio di ore a sera per qualche giorno alla ricerca di uno spettacolo che potesse essere interessante e alla fine, il fortunato, è stato Interno Bernhard con Glauco Mauri e Roberto Sturno, regia di Andrea Baracco, in scena al teatro Argentina di Roma dal 17 gennaio al 29 gennaio 2023.
Questo non è un diario su quanto folle sia partire così, da soli, con una valigetta e dentro solo poche cose. Questo è il mio personale diario su quanto il teatro, poco alla volta, possa realmente cambiare il mondo, su quanto quadri, opere e musei possano diventare, per poche e interminabili ore, un linguaggio comune a tutti, un filo rosso indistruttibile, un grande abbraccio.
Ci si sente così, o almeno io mi sono sentita così, quando alla mostra di Van Gogh a palazzo Bonaparte ero stretta fra le persone davanti agli stessi quadri. Mi sono sentita amata, accolta, ho capito che indipendentemente dall’età, dal luogo di provenienza, dalla lingua che si parla, ce n’è una che comunica con tutti allo stesso modo ed è l’arte. Ho capito che l’arte non puoi cambiarla, è lei che cambia te; tu puoi costruirla, permetterle di entrarti dentro, puoi darle l’opportunità di crescere, puoi danzare con lei, puoi abbandonarti senza resisterle.

 «Mi piacerebbe camminare con te lì per scoprire se guardiamo le cose allo stesso modo»
Vincent Van Gogh

C’è una foto perfetta che potrebbe spiegare questa citazione. L’ho fatta proprio perché la stessa cosa ho pensato io: mi piacerebbe sapere se guardiamo le cose allo stesso modo. Ci sono delle persone girate di spalle che guardano l’autoritratto di Van Gogh e io lì dietro che le osservo come se fossero loro l’opera d’arte, e mi commuovo.
Ora che il covid sembra così lontano, ora che sembra che non ci siano più barriere fra gli uomini, sentire il calore dei corpi, il rumore dei respiri, i bisbigli dei bambini mi fa gioire il cuore ed elimina tutto ciò che di brutto continua ancora a succedere. Se potessi fermare il tempo – ho pensato durante tutta la visita alla mostra – lo fermerei in questo istante: congelerei i bambini emozionati, il gruppo di amiche anziane un po’ acciaccate, la madre con sua figlia, i due vecchietti che si tengono per mano. E questa scena ha anche una canzone ed è Evergreen di Richy Mitch & The Coal Miners ed è tutto semplicemente perfetto. Van Gogh voleva catturare l’essenza della quotidianità e venerdì 27 gennaio credo che ne abbia ottenuta un po’ intorno ai suoi dipinti.

28 gennaio – Interno Bernhard
Questo non vuole essere un diario noioso, terapeutico, anche se un po’ bene all’anima lo fa; vuole fermare gli istanti, catturarli come in una foto e renderli indelebili. Vuole dire a chi legge, a chi non sa se buttarsi, a chi ha paura di restare da solo, che non succederà mai niente di peggio che non venga da noi stessi, perché il nostro peggior male ce lo facciamo noi. Per mesi sono fuggita, ho cercato di evitare tutto quello che mi veniva inevitabilmente addosso, ho schivato i problemi credendo che rifugiarmi nell’estate, nelle serate un po’ troppo frenetiche, nelle braccia di chi non era disposto a tenermi sul serio, a vedermi, fosse l’opzione migliore. Da mesi io cercavo solo un po’ di pace e ora capisco che il mio posto è quello in cui io stessa desidero stare, quello in cui il cuore si calma, i pensieri svaniscono e questo accade solo davanti a uno spettacolo o nei corridoi di un museo.
Partire spesso è fuggire e io l’ho fatto per tre mesi, oggi scrivo un diario di una partenza che non è fuga ma arrivo, che non è più frenetici decolli, ma armoniosi atterraggi. Oggi scrivo di Van Gogh, di Mauri e Sturno, dello GNAM (Galleria Nazionale Arte Moderna) ma soprattutto scrivo di una me ritrovata, di una me finalmente riabbracciata.

E a questo ha contribuito anche un po’ Thomas Bernhard che antipatico com’era ha avuto l’idea di scrivere i due testi – Il riformatore del mondo e MINETTI. Ritratto di un artista da vecchio – rappresentati nello spettacolo che con immensa fortuna sono andata a vedere, Interno Bernhard, un lavoro di due ore, diviso in due atti da cinquanta minuti ciascuno, entrambi con protagonisti ormai anziani, carichi di esperienze e un po’ distrutti dalla vita.
Il primo atto, Il riformatore del mondo, porta in scena un intellettuale ormai anziano (Roberto Sturno) amareggiato dall’esistenza che, su una sedia, attende coloro che dovranno portargli la sua laurea ad honorem. Non accetta la compagnia di nessuno se non quella di una donna più giovane di lui (Stefania Micheli) che con immensa pazienza sopporta i suoi sbalzi d’umore, asseconda le sue false malattie e i suoi inesistenti dolori. L’entrata in scena della donna è mozzafiato: con un gioco di luce e buio prima compare lui, poi buio e poi, come se di fronte all’uomo ci fosse uno specchio, di nuovo luce ed ecco lei. La sorpresa è mista all’inquietudine di veder comparire così all’improvviso qualcuno, ma soprattutto di veder comparire una donna che per metà spettacolo non farà altro che ridere, camminare rumorosamente ed essere l’antagonista e insieme la complice dell’uomo. Il tempo è scandito dalla musica: ogni volta che l’ora cambia parte una ‘musichetta’ e un proiettore illumina dei numeri segnati con il gesso sulle porte che fanno parte di pannelli di legno con sopra stampate le gigantografie di F. Nietzsche, A. Artaud e L. Wittgenstein, e ai lati del palco che via via vengono illuminati. Tutto accade in funzione di ciò che dovrà succedere alle 11.00 a.m. Ci si sveglia alle cinque perché alle undici arriveranno gli ospiti, si fa colazione alle sei perché alle undici arriveranno gli ospiti e così via. Ma esattamente chi sono questi ospiti? Sono il rettore dell’Università, la preside e il comandante della polizia che porteranno la laurea all’uomo. Quest’ultimo ha scritto un trattato nel quale ha dichiarato che l’unica soluzione per eliminare il male dal mondo sia eliminare l’essere umano e dunque è sicuro che nessuno lo abbia letto. Come può uno scritto del genere meritarsi un riconoscimento tanto importante? Eppure la laurea gli viene consegnata e poco prima che lo spettacolo finisca, l’uomo cammina sul palco, si dirige verso il proscenio, avvicinandosi alla platea, mentre dietro di lui tutto diventa buio, e comincia a recitare le parole che Thomas Bernhard disse in occasione del conferimento del Premio di Stato austriaco per la letteratura nel 1968. La voce è carica di rammarico, di frustrazione così come è stata durante tutto lo spettacolo e il pubblico è portato quasi a provare pena per lui, un anziano di cui ormai non si cura più nessuno.
Conclude e dietro di lui tutto si accende, la scena è mutata: non ci sono più le porte con le gigantografie, non ci sono più le sedie ma delle poltroncine e un altissimo armadio con delle bottiglie sistemate sugli scaffali. Dietro il protagonista ci sono degli uomini mascherati da conigli che stando immobili inquietano e disturbano. La sensazione è la stessa di quando si guarda Donnie Darko: sei inquietato ma al tempo stesso terribilmente curioso e affascinato.

Il secondo atto, MINETTI – Ritratto di un artista da vecchio è quello che più mi è piaciuto e che più mi ha emozionata: ha il gusto di un addio che forse sarà quello di Glauco Mauri che, alla bellezza di 92 anni, recita come se fosse un bambino, parla come se gli avessero appena regalato le corde vocali e incarna quello che potrebbe essere chiamato attore con la A maiuscola. Questa volta la scena è la hall di un hotel in cui un attore affermato ormai anziano, deve incontrare il direttore di un teatro. Le poltroncine, sistemate alla fine del primo atto, ora fanno parte della scena del secondo, parallelamente all’armadio con le bottiglie ora c’è un banchetto dietro cui sta Roberto Sturno nei panni di receptionist. L’anziano attore con sé porta una valigia nella quale sono conservati una maschera e ritagli di giornale. È il giorno di Santo Stefano, c’è una festa in corso, l’albergo è pieno di uomini e donne ubriachi, la cui presenza sulla scena è evocata con il suono di risate e resa concreta dall’interruzione di alcuni ospiti che spesso, con indosso sempre le maschere da coniglio, entrano in scena per interrompere il flusso di coscienza dell’anziano e inquietare lo spettatore. Tutto lo spettacolo, infatti, gioca sulle parole del personaggio protagonista che più volte dichiara che «l’attore deve terrorizzare il suo pubblico», deve solo «esibire la sua presenza inquietante». Inquietudine è la parola perfetta per questo spettacolo che non ti fa respirare, che ti fa camminare il cervello a mille pensando ai molteplici modi in cui può finire. Il direttore del teatro non arriverà mai e l’anziano signore lo realizzerà solo alla fine quando, dopo le 11.00, capisce che per lui non c’è più tempo. Sconsolato prende la sua maschera e la indossa, piano piano la musica si alza, sopra di lui inizia a nevicare, dietro, invece, la scena cade completamente, cadono le tende della hall, le sedie e i mobili vengono portati via, rimane solo un retroscena pieno di abiti da festa e attaccapanni, simbolo di un Santo Stefano festeggiato anni prima, e lì, appena dietro l’anziano accasciato sulla sedia sotto la neve, compare la scritta HOTEL un po’ storta e un po’ rovinata, proprio come in quegli hotel abbandonati ormai da tempo. Gli uomini con le maschere da conigli iniziano a muoversi a rallentatore avvicinandosi sempre più al pubblico che si ritrova pian piano con il cuore in gola.

Seppur apparentemente diversi i due atti hanno diversi punti di contatto: la presenza angosciante delle maschere dei conigli, che nel primo atto anticipano quello che sarà il perdurante sentimento del secondo, anticipano quella paura, quello spavento che l’attore deve incutere. Tutto si svolge sempre in funzione delle 11 a.m. e in entrambi gli atti è proprio a quell’ora che accade qualcosa di determinante: nel primo arrivano gli ospiti, nel secondo l’attore si rende conto che il direttore del teatro non arriverà mai e piano piano la struttura dello spettacolo comincia a cadere portando lo spettatore, rinchiuso nel flusso della pièce, verso il finale. Il protagonista del primo è cinico, misantropo e nonostante questo non viene mai lasciato solo, attraendo sempre la stima degli altri, il secondo è invece un po’ troppo socievole e, seppure sia stato amato nel passato di cui racconta, morirà solo rivolgendo il suo ultimo pensiero al suo unico e grande amore: il teatro.
MINETTI è la parte di spettacolo con cui si potrebbe pensare Mauri voglia dare il suo addio, lui che ha recitato per settantuno anni, e più di quarant’anni al fianco del suo amico Sturno, lui che forse, nel profondo del suo cuore, spera di morire a teatro e noi che, nel profondo del nostro, lo speriamo con lui.

E ancora stordita, confusa ed euforica spero anche che la grandezza di Roma non tramonti mai, lei che con la sua immensa bellezza di notte avvolge chi esce dal teatro facendolo sentire minuscolo, un niente in confronto alla sua grandezza, lei che con i suoi palazzi, con le sue luci e i suoi monumenti riesce a emozionarmi a qualsiasi ora. Io, a distanza di giorni, mi vedo ancora lì, lungo il Trastevere a mangiare una ciambella poco prima di entrare a teatro e vorrei che la vita fosse così: una passeggiata in una delle città più belle con in mano uno dei cibi più buoni.
Vorrei che la vita fosse una giornata allo GNAM fra quelle opere che fanno avanti e indietro dai musei di tutto il mondo, fra quelle opere fisse, appese al chiodo e quelle che invece cambiano ogni mese. Vorrei potermi svegliare un giorno e avere la possibilità di decidere quale museo visitare, in quale teatro andare, vorrei abitare lì e sentire la stessa leggerezza che sentono coloro i quali, abituati a vedere Roma ogni giorno, non si emozionano più come le prime volte. Vorrei potermici abituare anche io, poter dire «io di qui ci passo ogni giorno», «io ormai a tutto questo non ci faccio più caso».
A volte vorrei smetterla di emozionarmi ma al contempo so che questo è ciò che mi dà forza, ciò che mi rende viva e io voglio esserlo per sempre.
Grazie Roma.

MOSTRA: VAN GOGH
percorso espositivo con 50 capolavori di Van Gogh dal Kröller-Müller Museum
a cura di Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti
prodotta da Arthemisia
realizzata in collaborazione con il Kröller Müller Museum di Otterlo
con il patrocinio della Regione Lazio, del Comune di Roma – Assessorato alla Cultura e dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi
catalogo edito da Skira
VISTA A Palazzo Bonaparte
Spazio Generali Valore Cultura
Piazza Venezia 5, Roma
il 27 gennaio 2023

INTERNO BERNHARD
Il riformatore del mondo
Minetti – Ritratto di un artista da vecchio
di Thomas Bernhard
con Glauco Mauri, Roberto Sturno
e con Federico Brugnone, Stefania Micheli, Zoe Zolferino, Giuliano Bruzzese
regia Andrea Baracco
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
musiche Giacomo Vezzani, Vanja Sturno
luci Umile Vainieri
produzione Compagnia Mauri Sturno
VISTO AL TEATRO ARGENTINA (ROMA)
il 28 gennaio 2023