NAVIGANDO COME SPAZIOTEMPONAUTI #3

Diario delle prove di “QUARANTENA“, QA-QuasiAnonimaProduzioni

a cura di Elena ZETA

 

GIORNO 17

giovedì 17 maggio 2018

KALIAYEV: (…) Ho passato due mesi a osservare i venditori ambulanti, più di un mese a esercitarmi nella mia stanzetta.
I miei colleghi non hanno mai avuto sospetti. “Un furbone”, dicevano. “Venderebbe anche i cavalli dello zar”.
E cercavano a loro volta di imitarmi.
DORA: Naturalmente, tu ridevi.
KALIAYEV: Sai bene che non posso farne a meno. Il travestimento, la vita nuova… tutto mi divertiva.

                                                                                                                                                                                 Albert Camus, I giusti

 

«Non c’è la prova che voi siate chi dite di essere».
Ancora una volta, nelle parole di Auretta, realtà e finzione si amalgamano.

È difficile parlare di realtà in teatro. O meglio, bisogna parlarne conoscendone i presupposti: la complicità. Il teatro è reale per complicità tra i due agenti che lo compongono, teatranti e spettatori. Solo in questo modo si può parlare di reale, di un reale diverso da quello di tutti i giorni, di un reale che è diverso tutti i giorni, a seconda della composizione e dell’inclinazione degli agenti.

Ancora una volta, ricreiamo la finzione della finzione.

È difficile anche parlare di realtà di un personaggio, o del suo attore.

Quanta realtà c’è in Marcello di Caravaggio? E quanto Cervantes alberga in Michele?

La realtà è che, in fondo, non esistono personaggi che non si hanno già dentro.

Alcuni di loro ti permettono di essere te stesso più del solito, altri ti permettono invece di tirare fuori lati di te che solitamente restano in ombra, o che si sono sviluppati meno di altri a causa dei fatti della vita. Nasciamo come esseri completi, quando nasciamo la nostra energia potenziale è al massimo: solo col passare del tempo le nostre inclinazioni, le situazioni in cui ci troviamo, gli obiettivi che ci poniamo, le persone con cui abbiamo a che fare e mille altri fattori fanno in modo che queste energie si incanalino più in un senso che in un altro, ma non vuol dire che l’altro – gli altri − non l’abbiamo dentro di noi.

Siamo esseri prismatici.

Che è una bellissima parola – ancora una volta, un invito a dirla ad alta voce −, oltre che un bellissimo concetto che richiama la luce, che richiama l’idea di un tutto formato da tanti unici.

Ancora una volta ci crediamo benissimo a questa reale finzione. Fino in fondo.

Tanto che ripassiamo tutto il montato (circa 4/5 del testo).

Ieri abbiamo montato l’inizio sulle musiche di Filippo, che ha costruito le musiche sul montaggio della recitazione. Ripassiamo tutto e aggiustiamo ancora. Poi mandiamo il girato al musicista perché anche lui faccia lo stesso, ancora una volta.

Ancora una volta, come la magia di fare una torta: da un lato i liquidi, dall’altro i solidi, impasti tutto e le molecole si sistemano agganciandosi alle loro compagne più affini, creando un composto di una densità terza, che nessuno dei due aveva prima da solo.

 

GIORNO 19

sabato 19 maggio 2018

Avete presente quando una cosa è così se la vivi e cosà – o addirittura cosò − se la cerchi di spiegare?

Avete presente quegli stereotipi da high school americana che ci sono entrati nel cervello? Si, come se il nostro mondo fosse organizzato in quel modo, fosse uguale, senza accorgerci che non lo conosciamo (forse non conosciamo a fondo nemmeno il nostro, e allora è più comodo introiettare una narrazione completa, omogenea, coerente, che non ha bisogno di sforzi di comprensione).

Insomma, avete presente quando vorreste trovare un modo per spiegare una cosa complicata da spiegare senza risultare ridicoli? (Perché, mai dimenticare: gli opposti confinano, a un certo punto arrivati)

Ecco, oggi mi sono sentita così.

Finite le prove di “cattiva” ora − mamma quanto sono stancanti le prove serali! −, mi intrattengo per le strade con alcuni amici a sorseggiare una birra fresca. E a un certo punto mi chiedono. E io rispondo: «Oggi abbiamo montato una scena con i movimenti della scherma, il ritmo del tango e la recitazione in versi».

In quel momento ci ho visualizzati: vestiti di nero, occhi pesantemente truccati, un basco, un djembè, le espadrillas; davanti all’aula teatro; la mandria dei compagni di scuola passa tra gli armadietti; e noi, scrutando l’area con aria un po’ annoiata, parliamo tra di noi in versi e storciamo il naso al passare dei “normali”.

Eppure non è così.

O, meglio: non che non ci sia la possibilità di risultare – sempre usando il paragone dello stereotipo americano – come quegli autoproclamati poeti che fanno i raduni nei bar recitando odi al barattolo di burro di noccioline al centro dell’occhio di bue con glissati vocali e flauto di pan di sottofondo, instradandosi in certi progetti.

Ma ogni costruzione implica delle scelte, un’idea forte a monte che sappia selezionare di ogni cosa gli elementi più utili e più affini, per creare.
E ogni creazione comporta delle prove, dei fallimenti, degli aggiustamenti prima di centimetri, poi di millimetri, fino ad arrivare al micron.
Perché la mente è vasta, ma se Natura ci ha donato anche un corpo vorrà dire che a qualcosa serve anche lui, che la mente sola non può soddisfare tutti i nostri bisogni di esseri viventi.
Ti devi mettere in gioco in toto. Il che richiede uno sforzo di mente e corpo non irrilevante.

E quando monti scene così difficili, nella simpatia della passione, è con normalità, quasi fosse parte dello spettacolo, che arrivano i tre minuti di delirio (dis)organizzato. La mente molla i freni, apre le dighe, e tutto fluisce senza filtro nelle risate, nelle cose più strane e impensabili. Nella parodia della parodia dei suddetti partecipanti al corso di teatro della high school.

Eccome glielo spieghi, alla gente?
Con lo spettacolo.

Eccome lo capisce la gente?
Vivendo teatro.

 

GIORNO 20

domenica 20 maggio 2018

Oggi si finisce. Oggi montiamo l’ultima scena. Oggi capiamo dove finiamo, per capire dove dobbiamo cominciare.

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.
Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

Adesso l’orologio non ci pensa nemmeno a sparire.

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

Nessuno chiede più che ore sono.

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

Il tempo si sospende solo durante il lavoro.

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

Usciti dalla quarantena, ti si piazza davanti prepotente.

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

Ti ritrascina alla realtà dei fatti.

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

Domani comincia il conto alla rovescia.

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

In questo piccolo mondo all’incontrario.

Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.

Speculare.