UN CANTO DI CONFESSIONE “ALLA FURCA”

INTERVISTA A ORAZIO CONDORELLI PER IL  CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021
a cura di Elena Russo

Il 5 luglio, in occasione della replica di Alla Furca al Cortile Teatro Festival, abbiamo avuto l’opportunità di parlare  direttamente con Orazio Condorelli, autore e regista dello spettacolo.

Com’è nata la collaborazione con Salvatore Tringali?
Un paio di anni fa avevo realizzato per il cartellone del Teatro di Noto uno spettacolo intitolato La Famiglia M prodotto dall’Associazione Santa Briganti di Vittoria. È stata una replica molto fortunata e in quell’occasione sono stato avvicinato da Salvatore che mi ha proposto di collaborare per la realizzazione di un lavoro. Così ho iniziato a pensare a qualcosa che avevo già in mente ma che aveva bisogno di un attore con una certa vocalità perché si potesse realizzare.

Com’è nata l’idea di Alla furca?
L’idea partiva da un testo di Luigi Malerba che si intitola Il Pataffio, un testo brillante, magico in qualche modo perché scritto in un linguaggio molto affascinante: c’è un misto di italiano, latino e romanaccio ed è stato il punto di riferimento anche di Mario Monicelli per la scrittura de L’Armata Brancaleone. Naturalmente non ho fatto una trascrizione del testo di Malerba, mi interessava interrogarmi sulle atmosfere medievali da cui traspare qualcosa che è molto vicino alla violenza di cui siamo circondati. Ho iniziato a scrivere un testo mio e a partire da quelle suggestioni abbiamo iniziato le prove. Mi giovava pensarlo come un concerto e quindi avevo bisogno di un musicista che desse corpo e forza a quelle atmosfere a partire dai suoni di ferraglia di cui è pervaso tutto il testo. Ho chiesto a Flavio Riva, che è un musicista di razza, molto bravo, di aiutarmi nelle musiche per creare l’atmosfera e soprattutto la relazione fra il personaggio di questo reuccio detronizzato che confessa le proprie malefatte e un personaggio interpretato dalla chitarra.

Come avete lavorato sulla messa in scena?
Abbiamo iniziato cercando di riprodurre il testo così com’era, raccontando una storia facendo indossare a Salvatore Tringali i panni di un signorotto medievale. In realtà, poi ci siamo resi conto che così era una sorta di ‘illustrazione del testo’, anche grazie all’incontro con Ermanna Montanari e Marco Martinelli del Teatro delle Albe. Siamo riusciti a creare delle connessioni, dei cortocircuiti fra la storia medievale da una parte e dall’altra l’impianto visivo che ha a che fare con un maxi processo. Il microfono ci serve anche per raccontare una sorta di canto di confessione di questo personaggio per cui le parole non sono mai di tipo naturalistico ma hanno un sapore legato ad una melodia: è un canto violento.

Il protagonista del monologo è ispirato a un personaggio reale?
In realtà noi avevamo presente Buscetta perché ero rimasto colpito dal fatto che inizialmente la Rai aveva filmato il suo volto, ma successivamente i magistrati hanno consentito di riprendere solo alcune parti del corpo: la nuca, le mani, le braccia. Questo mi ha ispirato per le luci: ho chiesto a Roberto Bonaventura di fare un disegno luci che utilizzasse delle lame che prendessero solo alcune parti del corpo di Salvatore, così come aveva fatto la Rai.
Noi non parliamo mai di mafia in realtà, ma la stessa efferatezza che possiamo ritrovare nelle deposizioni dei pentiti è presente nel personaggio.

 

Dimenticate le neomelodiche confessioni di pentiti a suon di mandolino e tastiera. Alla furca di Orazio Condorelli, a cui abbiamo assistito lunedì 5 luglio nel Cortile Calapaj-D’alcontres, è un ‘monologo-concerto’ che spiazza lo spettatore con l’incredibile energia che scaturisce dall’incontro-scontro tra la voce di Salvatore Tringali e la chitarra elettrica di Flavio Riva.
Un signorotto in completo beige (Salvatore Tringali) ci aspetta seduto su una sedia, perfettamente a suo agio. Ci osserva prendere posto attraverso un paio di Ray-Ban arancioni che schermano i nostri sguardi curiosi. Poi, con la calma e la sicurezza che lo contraddistingue, sistema l’asta del microfono, e apre la performance della sua ultima confessione squarciando il silenzio con un incredibile assolo: «Basta! Basta! Basta!». Allontana fin da subito ogni possibile empatia o compassione nei suoi confronti, insulta questo popolo che «non paga tasse né gabelle» lasciandolo, di fatto, alla fame, e ci racconta la sua ascesa alla conquista del potere, da stalliere figlio di stalliere a importante tessera di un sistema politico-imprenditoriale che si regge su scambi di favori e torbidi compromessi. Una vita assimilabile a quella di tanti personaggi tristemente noti alla cronaca, da Buscetta a Riina al cosiddetto ‘Stalliere di Arcore’.
Affacciato alla finestra accanto a noi Flavio Riva, la cui chitarra diventa parte integrante della drammaturgia: fa da contrappunto al canto del ‘reuccio detronizzato’, lo riprende, lo ferisce, trasformando il processo in un violento concerto rock.
Poco importano, in fondo, i particolari degli orrori compiuti da questo signorotto che non prova neanche a fingere un pentimento, ma anzi ci incalza con la sua crudeltà, confessa con una lunga e potente risata provocatoria persino di aver ucciso la moglie. È il duetto drammaturgico-sonoro dei due personaggi a parlarci, le luci (di Roberto Zorn Bonaventura) che squarciano il buio senza dissolverlo a lasciarci intuire quanto ci resterà sempre ignoto; è l’atmosfera che riempie il cortile a catturarci, a gettarci nella mischia di una lotta dove l’imputato non retrocede di un passo, anche davanti all’inevitabile fine delle sue fortune.

Elena Zeta

 

ALLA FURCA
testo e regia Orazio Condorelli
con Salvatore Tringali
musiche Flavio Riva
luci Roberto Bonaventura
produzione Fondazione Teatro Tina Di Lorenzo
visto al CORTILE TEATRO FESTIVAL
diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancio

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena