IL MARE È RESPIRO

INTERVISTA A GASPARE BALSAMO PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021
a cura di Elena Russo

Omu a mari – Il cuntu delle Sirene, diretto e interpretato da Gaspare Balsamo è lo spettacolo che apre l’ultima settimana della prima parte del Cortile Teatro Festival con due repliche nei giorni 2 e 3 agosto nel Cortile Calapaj-D’Alcontres. Lo spettacolo fa parte, insieme con Epica fera, del dittico Horcynus, progetto che nasce e si sviluppa a partire dalla riscrittura di alcune parti del romanzo di Stefano D’Arrigo, Horcynus Orca. Abbiamo avuto l’occasione di intervistare il cuntista, regista e attore Gaspare Balsamo che ci ha regalato un tuffo nella sua arte.

Quando si è avvicinato all’arte del cunto?
Mi sono avvicinato all’arte del cunto quando mi trovavo a Roma intorno al 2002-2003 e avevo terminato l’Accademia: saltuariamente lavoravo ma stavo attraversando una fase in cui iniziavo a perdere interesse per il teatro perché ho avvertito una sorta di allontanamento dalla mia matrice culturale, ad esempio quando mi chiedevano di recitare nel ruolo del clichè del siciliano, quindi ero molto demotivato. Però in quel periodo cominciavano ad apparire, in giro per l’Italia, tantissimi teatranti che facevano teatro in siciliano, un teatro con una lingua, un’identità ben forte, carnale, riconoscibile e quindi mi sono messo nuovamente in gioco, sono tornato in Sicilia, incontrai il Maestro Cuticchio e poi da lì non l’ho più abbandonato.
Quando si entra in una dimensione come quella della narrazione epica ci si confronta sia con quel tipo di teatro, con quel tipo di linguaggio ma anche con l’utilizzo del siciliano che è una lingua altamente espressiva per cui sono partito nuovamente a impossessarmi del siciliano come mezzo fortemente comunicativo. Oggi dopo più di quindici anni lavoro molto sul siciliano vero e proprio, un dialetto che in scrittura tende ad essere standardizzato per favorire la lettura di altri, mentre in scena accoglie molto le oralità e le parlate plurali della Sicilia. Io sono trapanese e quindi utilizzo la mia lingua ma conosco il palermitano, vivo a Catania quindi riconosco anche la parlata catanese, Messina la frequento tanto, è veramente un crogiolo della parlate siciliane che poi standardizzate fanno la lingua siciliana.

Per lei oggi cosa significa essere cuntista?
Significa tante cose, soprattutto riappropriarsi di una matrice culturale, sia umana che artistica, e credo che proprio il lavoro sul cunto mi abbia dato la possibilità di sviluppare una parte autoriale.  C’è anche un fattore legato alla testimonianza che a sua volta ha a che fare con la memoria, una memoria che va trasmessa.
Non è un caso che lavoro molto con la formazione perché credo che questa arte, questo linguaggio, vada trasmesso a prescindere, è fondamentale secondo me.

Chi sono stati i suoi maestri del cunto?
Sicuramente quando si parla di cunto il Maestro primo è Mimmo Cuticchio, potremmo dire sia l’ultimo cuntista di tradizione. Essendo figlio d’arte, venendo dalla tradizione dell’Opera dei pupi, essendo stato allievo dell’ultimo cuntista epico cavalleresco, Peppino Celano, rappresenta il passaggio dalla tradizione epico cavalleresca al cunto che passa dalla strada, dai vicoli, alla grande scena. Tuttora noi cuntisti di nuova generazione non possiamo non avere un legame con Cuticchio. Il cunto è un mezzo per fare teatro, è quello che permette di scoprire mondi come la poesia siciliana e i tantissimi drammaturghi siciliani, o ad esempio Stefano D’Arrigo scrittore del romanzo Horcynus Orca. Il romanzo è ricco di oralità, l’autore fa tantissimi rimandi al mondo dell’Opera dei pupi, al mondo delle comunità particolari come le comunità dei pescatori dello Stretto. I maestri sono presenti ma sono anche remoti.

Da cosa è nato lo spettacolo Omu a mari – Il cuntu delle Sirene?
Omu a mari è parte di un dittico, preceduto da un altro spettacolo ispirato alle pagine dell’Horcynus Orca.
Cinque anni fa quando mi commissionarono un lavoro radiofonico a Berlino abbiamo lavorato su questo testo. Ho scoperto D’Arrigo, nel senso che l’ho ‘masticato’ e l’ho ‘digerito’ e me ne sono follemente innamorato. Ho fatto dei seminari e dei laboratori a riguardo, perché il romanzo è una miniera inesauribile; è nata in me l’esigenza reale di estrarne alcune pagine che si adattano benissimo a una riscrittura.
Omu a mari racconta di un personaggio che si chiama Don Mimì Nastasi che io definisco un raccamatore cioè uno che aggiusta le reti da pesca, le calamitare, le sciabiche. Da bambino, a causa della poliomielite ha avuto la paralisi infantile per cui è rimasto privo delle gambe, diciamo così; il padre per consolarlo gli dice di non preoccuparsi perché le gambe non servono e lo incita a pensare alle sirene, le sirene non hanno gambe eppure attirano persone da tutto il mondo, attirano i naviganti e i pescatori, per cui lui si innamora di queste figure e diventa un esperto, un cuntista di sirene epiche. Ai suoi cunti assistono sia gli anziani ma anche i giovani ragazzi che crescono e si formano ascoltando queste storie. Gli uomini di mare nel proprio regno incontrano le sirene vere e si formano al sesso. Nello spettacolo, oltre alla parte di Don Mimì Nastasi che racconta le storie delle sirene mitiche, c’è una parte dove questi giovani abbonati ai cunti vanno a ingegnarsi di fimmini, a sverginarsi con delle sirene tutte diverse, ognuna con una determinata caratteristica. C’è la sirena forestiera d’alto bordo, è lussuosa infatti la incontrano su uno yacht; la sirena matrigna, mediterranea che ha alle spalle una storia drammatica, loro la incontrano per caso perché il suo caicco si è arenato. Questa sirena attira uno dei tre ragazzi e lo introduce a un futtisterio di due minuti come dice D’Arrigo. Poi lo spettacolo si chiude con le sirene per antonomasia che sono le famose femminote, delle figure mitiche, prototipi di sirene che D’Arrigo descrive in maniera mirabile nel romanzo prendendo spunto dalla realtà: le femminote non sono altro che una riscrittura fantastica e mitica delle bagnarote, le donne di Bagnara che fino agli anni ‘70 , ‘80 incontravano i ferry boat e praticavano il contrabbando di sale e di tabacco. «Sono streghe di mente champagnina, di corpo tarantolato nell’eros, maghe adescatrici, mille e una notte di sirene» dice D’Arrigo.

C’è una differenza fondamentale tra una sirena oceanica e una sirena locale che io ho chiamato ‘sirena costacosta casacasa‘ cioè la nostra sirena naviga a vista perché vive nel Mediterraneo, un mare di relazioni, di esplorazioni calde, rispetto alla sirena oceanica che vive un mare sperduto in esplorazione fredda. Non è un caso che lo Stretto sia un luogo di passaggio e di frontiera allo stesso tempo, e le sirene passano da una costa all’altra, quindi da casa a casa, per questo sono sirene costacosta casacasa, cioè sirene di un mare relazionale di esplorazione calda, sono di cuore, fanno sangue.

Ha recitato anche in alcuni film. Com’è stato lavorare come attore di cinema?
Io non ho tantissima esperienza nel cinema ma ho assaporato molto la recitazione cinematografica nell’ultimo film, che uscirà il 2 settembre a Venezia, e si intitola Cuntami. È un film documentario di Giovanna Taviani, una sorta di road movie  in giro per la Sicilia dove lei incontra alcuni di noi: ci sono io, Cuticchio, Pirrotta, Calcagno. La recitazione a teatro ti pone in relazione col pubblico, tutto dipende dalla tua intensità in quel momento, ma credo che il cinema non sia da meno, nel senso che anche quel tipo di recitazione richiede la stessa concentrazione e la stessa intensità che vivi a teatro. Credo che alla fin fine sia la stessa cosa perché quando reciti trovi dentro il tuo demone e lo butti fuori sia davanti a una macchina da presa sia davanti a un pubblico.

È interessante che nei suoi lavori ci sono sempre delle cose che ritornano, una di queste è il mare. Qual è il suo rapporto con il mare?
Il mio rapporto col mare è imprescindibile. È vero, torna sempre il mare perché sono nato in Sicilia, Trapani è una città di mare come Messina, a un metro sopra il livello del mare. Questa mattina mi son fatto un bagno vicino Ganzirri e mi spostavo continuamente perché andavo alla ricerca di quadri che racconto in Omu a mare. Li ho rivisti tutti: ho visto due ragazzini, Turi e Melo, uscire con una barchetta e chi sa cosa avrebbero incontrato, ho visto un gruppo di ragazzi che facevano il bagno tutti insieme e stavano giocando, evocavano perfettamente una scena dello spettacolo quando alcuni dei ragazzi giocano a fare i naviganti e le sirene.
Il mare è sempre continuamente presente e per me continua ad essere respiro e acqua vitale.

 

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena