LA FIGURA OLTRE LA NEBBIA

#MINIMAMENTEBLU: RIFLESSIONI SULLE PROVE A CURA DELL’OSSERVATORIO CRITICO
di Andrea Ansaldo

Ho assistito a una sessione di prove di Minima mente blu, l’ultimissima produzione di QA, e mi sono chiesto diverse volte come avrei parlato di questa esperienza. Ho pensato che avrei potuto citare tanti film e provare a destreggiarmi tra i miei dubbi giocando con dei parallelismi, oppure avrei potuto approfondire la conoscenza di artisti come Kandinskij e Schönberg, fondamentali per la genesi di questo spettacolo. Invece preferisco parlare di una sensazione che è sempre bello provare, di quelle che ti fa stare scomodo sulla sedia e contemporaneamente t’impedisce di alzarti: il mistero. Non parlo del mistero che si genera da un racconto giallo, dalla domanda “chi è l’assassino?”; ma di un altro tipo di mistero, quello che crea domande a cui nemmeno il più grande dei detective può dare una risposta. Il mistero di cui parlo non è definibile dai dizionari, ma è più facile raccontarlo per immagini. Il mistero è intravedere una sagoma oltre la nebbia, notare qualcosa agitarsi sotto la superficie dell’acqua torbida, percorrere un sentiero mai battuto prima. Non a caso, queste sono tutte immagini che potrebbero essere tratte da un racconto di Lovecraft.
L’autore americano è il creatore di una nuova forma di mistero, capace di evocare forme inimmaginabili che fluttuano oltre la coltre di nubi, città impossibili immerse nel crepuscolo e altre follie. Questo è il mistero che ci piace, quello non indagabile, ma solo esperibile. Dopotutto – volendo continuare con dei parallelismi che lasciano il tempo che trovano – “chi ha ucciso Laura Palmer?” è la domanda meno interessante di Twin Peaks. Allo stesso modo non è così importante sapere da dove viene il monolito nero di 2001 o com’è nata la Zona di Stalker. Anzi, per quanto riguarda questi due film (che per la loro portata fatico a definire soltanto tali), non solo le domande fondamentali sono altre, ma le risposte che potrebbero scaturirne fanno anche paura. Kubrick ci chiede se la natura e il progresso umano siano così profondamente legati alla violenza e alla prevaricazione, Tarkovskij se la fede in qualcosa o in qualcuno sia una forza così potente da immobilizzarci con la promessa di una ricompensa, chissà quando, chissà dove. Eppure, scrivendo queste parole, mi rendo conto di quanto sia labile il confine che separa il mistero dalla “supercazzola”. Prendo in prestito questa parola per diversi motivi, primo fra tutti perché Amici miei è uno dei miei film preferiti, secondariamente perché creare una supercazzola è molto semplice, se non lo si fa alla maniera di Ugo Tognazzi.
Per tracciare meglio la linea di confine stavolta a venirci in aiuto non c’è un film, no, bensì un videogioco, anzi una serie di videogiochi, proveniente dal lontano Oriente e partorita dalla mente del director Hidetaka Miyazaki. Ovviamente, non è quel Miyazaki, con cui condivide solo il cognome. Hidetaka Miyazaki è il presidente di FromSoftware, una casa di sviluppo nipponica salita agli onori della ribalta nel 2011 per un’opera talmente influente da creare un genere, Dark Souls. Cercherò di essere breve per spiegare cos’è questo videogioco, perché è così importante e perché serve a questo discorso.
Dark Souls, così come i suoi due seguiti e i successivi lavori come BloodBorne ed Elden Ring, mette il giocatore nei panni di un personaggio personalizzabile in aspetto e caratteristiche, il cui compito è quello di trovare e uccidere nemici sempre più potenti al fine di raggiungere l’obbiettivo finale, che può essere salvare il mondo, spezzare un’antica maledizione o diventare re. Detta così, queste opere risultano di una semplicità quasi imbarazzante. Eppure, laddove manca un intreccio degno di nota, si nasconde una storia ambigua e terrificante. A fare da padrone nelle opere di Miyazaki è il mondo e la storia che racconta, fatta di simbologie oscure, complotti millenari, divinità rancorose e scoperte agghiaccianti. In questi mondi in rovina, dominati da follia e violenza, nessuno parla chiaro o spiega nulla, sta al giocatore ricomporre il puzzle per comprendere come si sia arrivati al punto di non ritorno. Anche perché, che motivo c’è di affidare delle informazioni allo ‘spiegone’ di un personaggio, quando uno stemma araldico o una statua messa al punto giusto possono svelare un indizio cruciale. Perché essere rumorosi, quando si può sussurrare all’orecchio del giocatore? Ecco, alla luce di queste informazioni (che non rendono giustizia alla bellezza di queste opere) possiamo dire che i giochi di FromSoftware hanno portato un nuovo modo di raccontare nel mondo dei videogiochi, al punto che oggi ci si riferisce ai lavori che hanno ispirato con il nome di soulslike, letteralmente “come i Souls”. Il genere si compone anche di caratteristiche di gameplay peculiari, non è la sede adatta a parlarne. Invece è più interessante trattare la diffusione del genere, il quale ancora oggi non riesce a evolvere la formula da cui si è originato e a emulare e sviluppare le narrazioni proposte. I soulslike sono stati riproposti in ogni salsa in questi 11 anni: dark fantasy, sci-fi, steampunk e altre ancora. Quasi tutti gli esponenti di questo genere non sono mai riusciti a riproporre una narrazione affascinante e misteriosa come quella di Dark Souls e sequel annessi, per mancanze più o meno gravi, che siano creative, produttive o di altra natura, che hanno dato come risultato delle opere confuse dove la conoscenza non è la ricompensa più alta, bensì un accessorio da aggiungere alla propria collezione. Ed è anche grazie a questi videogiochi che ho capito ciò che distingue il mistero dalla supercazzola: il coraggio e la capacità di nascondere informazioni in piena vista, di dipingere mondi ambigui e dai tratti sfumati, senza fare i tenebrosi per il gusto di farlo, ma perché ciò che si racconta lo rende necessario. Minima mente blu è un lavoro misterioso, e lo dico nonostante la mia poca confidenza con lo spettacolo, perché c’è troppa cura perché sia una supercazzola. Ad oggi, sono molto vulnerabile per quanto concerne questo spettacolo. Sento di avere ancora troppi pochi elementi, sento la necessità di avere un’opinione strutturata che vada oltre la suggestione del singolo momento, sento la necessità di conoscere. A questo devo la mia vulnerabilità, per l’incapacità di soddisfare questi requisiti. Ma di certo non sarà l’ultima prova cui assisterò e, piano piano, riuscirò a scorgere la sagoma nascosta nella nebbia.

 

MINIMA MENTE BLU
Accordi sintetici per una nudità d’essenza
II studio su V. Kandinskij e A. Schönberg
I capitolo della Trilogia sull’Arte
con Giulia Messina
regia e drammaturgia Auretta Sterrantino
musiche e progetto audio Vincenzo Quadarella
disegno luci Stefano Barbagallo
assistente alla regia Elena Zeta
ufficio stampa e comunicazione Marta Cutugno
produzione QA-QuasiAnonimaProduzioni / Nutrimenti Terrestri

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena