IL TEATRO È LA PAROLA DETTA

Vincenza Di Vita

 

Una piovosa e grigia domenica si chiude alle spalle dello spettatore, che decide di varcare i tendaggi rossastri del Teatro Savio, una delle numerose roccaforti diocesane della curia di Messina, ospitanti (con richiesta di lauto affitto) laiche azioni di politica culturale, in questo caso il terzo appuntamento della IV edizione di Atto Unico. Scene di Vita, Vite di Scena. Davanti allo sguardo degli astanti, assisi nelle poltrone come in un salotto, nella dimensione accogliente di una casa-teatro si assiste a un’autentica dichiarazione d’amore nei confronti del Teatro. Così, lo scorso 22 gennaio, un tavolo esagonale, un libro, un bicchiere e un cappello accolgono il raffinato artista Antonio Calenda e il pubblico, per una presentazione generosissima in cui una «buona sera» avvia una vera e propria Conversazione in Sicilia di un meridionale, «ma non siciliano», come lo scrittore che dà il titolo a uno dei più indecifrabili romanzi del Novecento italiano. Calenda invece con semplicità e grazia snocciola la sua “cavalcata” nel tempo, raccontando cosa sia da intendersi con Tutto il mondo è palcoscenico in un Omaggio al Teatro che sembra essere un dono per il pubblico, trasmesso dallo stesso lavoro di Calenda – classe ’39 –, da più di mezzo secolo animatore di decisive scene teatrali con le sue regie. È questa un’autobiografia narrata anche attraverso le immagini fotografiche del maestro della luce nel teatro italiano: insieme con Il Teatro di Antonio Calenda nelle fotografie di Tommaso Le Pera (Manfredi, 2017) raffinate note, donate da interventi musicali, coronano l’inizio e la fine dello spettacolo a opera di Filippo La Marca, giovane compositore messinese, dal «prodigioso istinto musicale».

Giorgio Albertazzi, Piera Degli Esposti, Roberto Herlitzka, Glauco Mauri, Sergio Tofano, e altri illustri nomi della scena teatrale sono solo alcuni degli artisti tra coloro che hanno lavorato con Calenda. Tuttavia è con affetto e simpatia che il regista si sofferma più volte sui fratelli Maggio, in particolare su Giustina Maggio, in arte “Pupella”, con la quale  a partire dal 1979 comincia a collaborare; La madre di Bertolt Brecht consacra la loro unione artistica. «Oggi la cultura non è protetta in Italia, è in mano ai protetti» dichiara Calenda raccontando le ragioni che lo spingono a realizzare uno spettacolo tratto da un incunabolo medievale e dedicato ad Aldo Moro ovvero La rappresentazione della Passione, riproposto dal regista a partire dal 1978, con in scena le già citate Degli Esposti e Maggio, fino al più recente Passio Hominis del 2015, con Lina Sastri.

Fin dalla narrazione dei primissimi scorci di vita teatrale, Calenda dichiara il suo amore per la Sicilia, terra a cui è profondamente legato, in particolare ricorda le sette tragedie messe in scena a Siracusa, decisivo momento di creazione negli oltre cinquant’anni e più di centocinquanta titoli di carriera. I suoi pensieri sul teatro possono considerarsi vere e proprie asserzioni di saggezza artistica, tra tutte vale qui la pena presentare la più rappresentativa: «Il teatro consiste nel simulare qualcosa che non c’è, perché la realtà sia più chiara, perché il teatro vive della parola detta». Ma al teatro si accede anche per convenzione, come quella che – ricorda Calenda – distingue la città di Messina, ricordata da tutti per la straziante vicenda legata al devastante terremoto che la rende tristemente vicina ai recenti fatti che da mesi interessano le catastrofi naturali, nel Centro Italia. Pretesto politico questo per dichiarare come in effetti la grandezza della Sicilia stia anche nella sua consapevolezza artistica, sebbene «laboratorio del mondo devastato dall’uomo» ma «il teatro è consapevolezza contro la devastazione».

 

Foti d Stefania Mazzara