ULISSE, SPIRITO INQUIETO

di ANDREA ANSALDO

Il penultimo appuntamento della rassegna Atto Unico. Scene di Vita, Vite di Scena ha avuto luogo ancora una volta a S. Maria Alemanna, alle 18:00 del 24 febbraio 2019. La compagnia QA-QuasiAnonimaProduzioni propone in questa sede qualcosa di inedito per questa rassegna: Ulisse. L’arte della fuga. L’opera vive attraverso due figure in scena, come di consueto rispetto a quanto visto negli spettacoli precedenti, ma si svolge diversamente. Sergio Basile dà voce e corpo al leggendario re itacese che vive attraverso le parole del testo poetico di Auretta SterrantinoFilippo La Marca è curatore ed esecutore del repertorio musicale di Bach e Dallapiccola. Due voci, quella di Basile e quella del pianoforte suonato da La Marca, che si cercano e si trovano tra le onde del mare evocato da Ulisse. Il personaggio mitico ci viene proposto in una chiave intimista, attraverso un fiume di parole che sanno di confessione. Confessione della sua inquietudine, dei suoi bisogni e delle sue angosce. Dinamismo, curiosità, desiderio, necessità sono ciò che l’uomo ci racconta.

La curiosità determina il movimento, ma è mossa dal desiderio di conoscenza, di verità, che diventa il solo bisogno a sostenere il vecchio re. Confessandosi con lo spettatore, Ulisse vuole parlarci dei mari che ha solcato, dei volti che ha incontrato e dei sapori che ha gustato. Non può scindere se stesso dal suo irrefrenabile desiderio, per questo la sua cara e devota Itaca gli sta stretta. Non v’è rumore più dolce per lui dell’onda che si scontra con la prua della nave e non v’è vista più indimenticabile di quella delle acque infinite.

Ma, una volta a casa, l’unico mare in cui Ulisse può perdersi è quello della mediocrità, della noia, e incappati in queste acque non v’è più voglia di esplorarle. Per questo la sua vita non può che appassire quando, sulla terra ferma, viaggia con la mente, come se la memoria dei suoi viaggi sia l’unica cosa a renderlo ancora vivo.

Egli non ha memoria di Penelope, dei suoi occhi o del suo corpo, poiché lei è la casa e la casa è un confine. In compenso, il mare di Ulisse non ha colore, viaggia con lui assecondandolo e ostacolandolo, regalando senso a ogni tragitto. Lacerato da nostalgia e vecchiaia, il re di Itaca lotta contro sé stesso nel tentativo di limitarsi, di dimenticare e di vivere come un uomo comune. Ma Ulisse non è e non può essere come gli altri, poiché egli non conosce la mediocrità. E ancora una volta i ricordi lo assalgono, ricordi di terre, uomini e suggestioni lontane, più vere della realtà che vive. Esperienze che lo hanno plasmato, condizionato al punto di non poter più smettere di pensarci. Esperienze non riciclate e non filtrate dalle maglie di una rete digitale. Ulisse non vuole solo sussurrarci all’orecchio la sua condizione, vuole invitarci al dinamismo, poiché la conoscenza e la verità non raggiungono i mediocri. Per questo il mare stesso è troppo angusto per contenere il suo più celebre navigante. Allo stesso tempo però il mare è il luogo dove egli si realizza, si fa anziché disfarsi.

«Saranno soli un’altra volta i miei occhi e il mare», sogna il re di Itaca:  nessun uomo può limitarsi al punto di costringersi nella menzogna. Così Ulisse ci rivela la sua menzogna più grande: non è tornato a Itaca per restare, il suo ritorno è un inganno, così come la sua casa.

Egli quindi abbraccia la verità che ha sempre agognato, non quella universale a cui nessun uomo può aspirare, bensì la propria. La verità su se stessi e sulla propria natura, la verità a cui non si può controbattere, tale è la sua forza. Ulisse salpa di nuovo, leggero come un uomo che torna da un lungo viaggio, come il vento che gonfia le sue vele. Ulisse parte per tornare alla sua vera casa: il mare.