UN INNO ALLA DELICATEZZA

L’OSSERVATORIO CRITICO DI QA PER IL CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021 – MESSINA
a cura di William Caruso

«Raramente la fantasia è una fuga dalla realtà. È piuttosto un modo per comprenderla».
Lloyd Alexander

 A volte la fantasia diventa un rifugio per i bambini, soprattutto quando si trovano a dover comprendere le situazioni degli adulti, che sono più grandi di loro. Ogni bellissima cosa (Every Brilliant Thing il titolo originale) parte proprio da questo: un bambino si rapporta con la depressione della madre e l’assenza del padre scrivendo una lista delle cose più belle della vita.
Lo spettacolo, in forma di monologo, tradotto e diretto da Monica Nappo, è interpretato dall’attore Carlo De Ruggieri. Al cortile Calapaj-D’Alcontres si è proiettati in un gioco interattivo: non appena prendiamo posto, l’interprete, illuminato da un piazzato sulla scena, distribuisce dei bigliettini a tutti i presenti. Le istruzioni sono precise: quando lui chiamerà il numero scritto sul biglietto, ogni persona dovrà leggere ad alta voce la frase scritta sul proprio pezzetto di carta. Siamo parte attiva del gioco, elemento necessario per lo scorrere della narrazione. Siamo il coro della storia, il coro delle cose più belle per cui vivere.
L’uomo in scena comincia a raccontare la sua vita partendo dall’infanzia. Avete mai osservato gli occhi di un bambino? Si guardano sempre attorno, impegnati senza sosta a scoprire il mondo che li circonda. I bambini hanno bisogno di apprendere per crescere, e per questo guardano alla realtà come se fosse sempre la prima volta. Il loro sguardo libero li guida oltre la materialità, verso punti di vista fantasiosi, spesso incompresi dagli adulti. La fantasia, per il bambino, è un mezzo di conoscenza del reale.
In questo viaggio nel passato del protagonista viviamo il suo primo incontro con la morte, quella del suo cane Narcolessi. L’attore, con un giubbotto in mano a dare corpo al suo adorato cane in fin di vita, coinvolge in maniera diretta alcune persone del pubblico per incarnare i personaggi della sua storia: un uomo del pubblico diventa il veterinario, un altro il padre, un’altra ancora una maestra di scuola con un calzino parlante. In un dialogo guidato dalle istruzioni del protagonista, il pubblico diventa burattino nelle mani dell’attore in scena, rendendo l’esperienza della narrazione non più individuale ma collettiva.
Tutta la narrazione è puntellata da brani musicali, appartenenti al repertorio jazz anni ‘50-‘70 e trattati come dei veri oggetti di scena: essi sono, infatti, usati dal protagonista come prolungamento sonoro dei momenti più importanti della sua vita. Nella mancanza della figura della madre e del padre, l’immaginazione colma i vuoti relazionali: il figlio trova rifugio solamente nella fantasia, elaborando una lista delle cose belle per cui vivere. La lista scorre rapida. I numeri tengono lo spettatore incollato alla storia, in una tensione costante: «11 – Il letto!», «1006 – Le sorprese!».
Assieme alla lista scorrono rapidi anche gli avvenimenti importanti della vita dell’uomo: le ricadute della madre; i suoi vani tentativi, da adolescente, di entrare in comunicazione con lei; la sua vita universitaria e il suo fidanzamento con Silvia, il matrimonio con lei. Lo scorrere del tempo sembra mostrare un miglioramento nella sua vita, ma questo precario equilibrio in realtà è apparente, dura poco: il male della madre sembra far sprofondare anche lui. Passano diversi anni. Il matrimonio è finito da tempo e la madre si suicida soffocandosi con i gas di scarico della macchina nel garage di casa. Riaprendo una scatola dei ricordi, e ritrovando la lista e un messaggio di Silvia sulla copertina del disco del loro primo incontro, qualcosa in lui si accende: è ancora in tempo per sistemare le cose, per avere una possibilità col padre. Decide di incontrarlo, consegnandogli la lista. La lettura delle cose più belle per cui vivere risveglia il padre dal sonno emotivo che lo ha accompagnato per tutta una vita, inaspettatamente le sue parole stavolta sono sincere, sono per un figlio che ha sempre amato e a cui non ha mai avuto il coraggio di legarsi davvero. «Ti voglio bene, figlio», gli confida con emozione. Finalmente il narratore della nostra storia si sente utile per qualcuno a cui tiene, per la prima volta riesce a creare un legame, un dialogo fuori dall’immaginazione che lo aveva consolato per una vita intera.
Abbiamo bisogno della delicatezza che lo spettacolo ci lascia, perché il respiro di oggi è pesante, affannato. Solo tornando a guardare con occhi di bambino (gli occhi che De Ruggieri ha saputo tenere in tutto lo spettacolo) e supportati dall’immaginazione, riusciremo a godere della realtà, riusciremo a stare in dialogo con un mondo che rinasce sempre, in ogni bellissima cosa. L’interpretazione dell’attore è asciutta, spogliata della carica drammatica. Un tema come quello della depressione, che ha già una sua densità e un suo peso su chi osserva, non si può che affrontare in questo modo, in sottrazione. Ogni bellissima cosa è un inno alla delicatezza e all’immaginazione, che riesce a toccare direttamente le corde della sensibilità umana.

«La delicatezza è il sapere dove fermarsi. Che siano parole, fatti, persone».
Fabrizio Caramagna

 

OGNI BELLISSIMA COSA
di Duncan Macmillan e Jonny Donahoe
con Carlo De Ruggieri
traduzione e regia Monica Nappo
produzione Nutrimenti Terrestri
visto al CORTILE TEATRO FESTIVAL
diretto da Roberto Zorn Bonaventura
Castello di Sancio

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena