L’IMPORTANTE È METTERSI IN GIOCO

INTERVISTA A MICHELE SINISI E AI PARTECIPANTI AL PROGETTO SHOWREEL PER IL  CORTILE TEATRO FESTIVAL 2021
a cura di Giulia C. e Francisca M.

In occasione delle giornate dedicate a SHOWREELprogetto di laboratorio di Michele Sinisi tenutosi a Messina dal 9 al 16 luglio, prodotto e ospitato dal Cortile Teatro Festival e Castello di Sancio, abbiamo intervistato l’ideatore, il regista e attore Michele Sinisi, i partecipanti (Monia Alfieri, Giuseppe Contarini, Lucilla Mininno, Francesca Riva, Maria Squillaci, Giada Vadalà, Francesca Verga) e Donato Paternoster, in qualità di collaboratore.

 

Michele Sinisi…

Noi non ci vediamo da un anno. Cos’è cambiato in quest’anno?
MS
: Si è presa più consapevolezza di quello che è successo e del nuovo presente.

Com’è nata la tua idea di Showreel?
MS: Già da febbraio mi era venuta l’idea di giocare con gli interstizi della rappresentazione e di mostrare più evidentemente quello che sempre alimentano le forme della scena. Per me questo è il primo esperimento laboratoriale.

Come hai vissuto quest’esperienza laboratoriale?
MS: Mi son divertito, anche se è difficile tenere il timone. Ero curioso su come si formasse il processo di un lavoro. Bisogna capire dove sia il testo, cosa sia un testo oggi e quale sia il confine tra realtà e finzione. Non è semplice rifondare i paradigmi.

Il teatro avrebbe bisogno di essere riformato…
MS: Sì, continuamente, ora come non mai. Personalmente non ho mai avuto paura o vergogna di fare cose nuove.

Di questa prima esperienza cosa ti porti?
MS: La disponibilità del mettersi in gioco è sempre un cruccio umano. Divertirsi non è una forma inferiore di relazionarsi con gli altri. È bello vivere una nuova esperienza.

Cosa significa per te, dopo quest’esperienza, Showreel?
MS: Conosco già le falle di un tentativo, cosa potrebbe riuscire e cosa potrebbe riuscire di meno. Per me è importante prendersi cura degli altri, con pazienza, rispetto i tempi e l’identità di ciascuno, anche se ogni tanto anch’io perdo la pazienza. Ho esperito dalla loro disponibilità. Spero che loro possano imparare e rubarmi il mestiere, facendone una cosa loro.

 

I partecipanti…

Cosa significa per te il termine Showreel?
MA
Io non ho uno Showreel perché mi terrorizza tutto ciò che mi mette in mostra in maniera diretta. La parola è stata riabilitata nella misura in cui è stata vista come processo di un lavoro più grande. La cosa che mi ha permesso di stare dentro è togliere il giudizio. Ho pensato che immaginare un occhio che segue il processo non nella sua necessaria compiutezza ma come sforzo potesse essere l’attitudine del teatro e che diventasse comunicativo.
FV: Se prima lo Showreel era per me un mostro, inteso come quello che so fare, adesso significa mostrare quello che sono, quello che c’è nel presente, concretamente.
GC: Uno spettacolo reale, strettamente connesso a un fatto vissuto.
GV: Questo per me è uno Showreel: un pezzo di qualcosa che si è fatto. La fatica che c’è nella preparazione di un selftape, la scelta dei costumi e del trucco, la scelta della scenografia e l’attesa del momento giusto per poter lavorare.
DP: Per me è quello che attraversiamo durante il nostro percorso da attori. Tutto quello che c’è in mezzo è importante, non solo per i mezzi di comunicazione, per i modi di rappresentazione e di distribuzione di un progetto, ma anche per quello che ci circonda. Bisogna fare attenzione a non fare diventare Showreel la narrazione di un progetto. Non significa metterci la vita personale ma farne un pilastro importante per poter costruire tutto il resto.

Come hai vissuto questo percorso?
FR: Io ho cercato di essere in totale apertura e provare a immergermi nella proposta fino in fondo. Sicuramente a me ha dato molti spunti. Principalmente mi ha insegnato che non bisogna partire sempre da un’idea preconfezionata ma da un lampo che può arrivare da noi o dell’esterno. Credo che l’attore sia un falegname, perché, per me, c’è un percorso per cui tu fallisci, ti smussi e ti costruisci. In queste occasioni sfrutto i punti di vista per raggiungere almeno un pezzo di legno.
LM: In realtà io non vado in scena da gennaio 2020 e come attrice non ho più lavorato. Ricomincerò a settembre al Cortile e poi partirò in tournée per un altro spettacolo. Io umanamente l’ho vissuto come una rinascita. Mi sono sentita molto serena – come dice Michele – con gli elementi. Mi sono molto divertita. Trovo sia un lavoro molto istruttivo, basico e materico che tutti dovrebbero sperimentare.

Cosa ti porti da questo laboratorio?
DP: La necessità che abbiamo di doverci staccare dalle vecchie abitudini e dalle consuetudini che ci hanno accompagnato in tutti questi anni. Mi porto la conferma che abbiamo più di prima bisogno di liberarci di tutto ciò che abbiamo assorbito. Cercare di capire che forse è arrivato il momento di apportare un cambiamento. C’è sempre più necessità di scegliere. Bisogna avere il coraggio di dire – non faccio più questo mestiere –. Io credo che il teatro, rispetto alla musica e a tante altre Arti, sia raggiungibile a tutti perché non c’è uno strumento, uno spartito, ma ci sono delle storie da raccontare. Questa è tutta la mia tempesta.
MA: Il cercare di cogliere sempre un sentire comune, sempre troppo raro e incoraggiante pur nella diversità degli approcci. Mi porto anche l’aver ritrovato lo stesso divertimento e lo stesso terrore, che a volte vanno di pari passo, di quando avevo vent’anni.
MS: Durante i primi giorni si è parlato del fatto dell’aprire la parentesi e chiuderla, ma in realtà quest’anno non ci siamo più preoccupati di andare a chiudere questa parentesi perché non sappiamo in realtà cosa sarà, cosa non sarà; l’abbiamo aperta, stiamo vivendo all’interno di essa. Non abbiamo avuto più il pensiero di una parentesi che va chiusa.

Ph. Giuseppe Contarini – Fotoinscena