#APPROFONDIMENTIUNICI: CAINO

HOMO NECANS

Domenica 10 febbraio, ore 18.00 – Chiesa di S.M. Alemanna
ATTO UNICO. Scene di Vita, Vite di Scena – Introspettiva sul Tradimento

interviste a cura di Vincenza Di Vita

 

INTERVISTA AD AURETTA STERRANTINO, regista e drammaturgo

Il debutto dello spettacolo è avvenuto nel giugno 2016. La critica ha accolto in maniera favorevole lo spettacolo. Il tema è sempre attuale ma come è maturato in rapporto alla città e al pubblico ovvero qual è il messaggio che tale riallestimento intende provocare nello spettatore oggi?
L’idea del riallestimento nasce in relazione alla scelta di lavorare quest’anno sul tema del tradimento e iniziare lo studio sul secondo capitolo della mia trilogia sui Traditori o portatori di colpa. La speranza ovviamente è che si possa percepire una maggiore maturità, sebbene il cast sia diverso. La sfida più grande è ripensare lo spettacolo per uno spazio completamente diverso, ma trovo sia davvero affascinante e questa operazione cambia totalmente gli equilibri della scena rispetto a come erano stati pensati. Non siamo profeti, non abbiamo messaggi da dare. Con il nostro lavoro cerchiamo di mettere in crisi il nostro stesso pensiero e miriamo a sollevare domande, dubbi, dissidi e, perché no, anche dissensi. Così con Abele e Caino, archetipo universale, troppo incancrenito in un dualismo irrisolvibile e senza interesse. Il nostro tentativo è di umanizzarlo e dunque annullare le distinzioni nette tra bene e male, giusto e sbagliato per scardinare l’idea di destino, di colpa, di divino. Come è stato lavorare su ispirazione di artisti viventi mediante le loro opere e di altri presenti perché a noi contemporanei? La mia relazione con i testi degli autori viventi si fonda sui testi stessi, sull’opera. Ciascuna opera di rilievo è tale se parla da sé. Diverso chiaramente il rapporto con testi di autori scomparsi, laddove paradossalmente intesso una relazione molto più profonda con l’autore prima che con l’opera. Vivere la parola e il pensiero di grandi artisti e intellettuali è un’opportunità di crescita e arricchimento alla quale non posso e non voglio rinunciare. C’è stato un confronto con Mariangela Gualtieri? No, non con lei direttamente. Magari! Il confronto è stato con il suo Caino e con alcuni scritti sul suo lavoro e la sua poetica (potrebbe accadere presto, ndr).

Cosa rappresenta il disegno impresso sulla locandina?
La locandina è una rielaborazione di un dettaglio dell’opera di Vasilij Kandinskij, Verso l’alto (Empor, 1929, olio su cartone, cm 70 x 49. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim). Per me due metà di un intero che tendono con grande sforzo a sollevarsi ma non vi riescono in egual modo e non vi riescono senza sostegno. Così per me Caino e Abele.

Qual è stata la parte più faticosa da affrontare con il nuovo cast?
Riprendere un lavoro già fatto con un cast nuovo significa spogliarti di ciò che sai, significa fare tabula rasa, significa scendere da un punto più in là per portarti alla linea dello start. Questa è stata per me la sfida più grande e spero di essere riuscita a offrire agli attori tutti gli strumenti di cui avevano bisogno. Abbiamo cercato tanto insieme, per trovare equilibrio. Equilibrio è la parola chiave per questo spettacolo, un equilibro tra forze che concorrono e si sovrappongono e si scontrano contemporaneamente, agendo in scena un chiaro sbilanciamento che muta sempre il suo ordine di pesi. Come in quel gioco per bimbi nei parchi: due seggiolini su una tavola e ai due estremi due bimbi. La spinta dei loro piedi solleva uno e abbassa l’altro.

 

INTERVISTA A VINCENZO QUADARELLA, autore delle musiche originali

Come creare una composizione per un testo già di per sé estremamente musicale?
Tutti i testi di Auretta Sterrantino contengono in sé della musica. L’abilità, o la fortuna se vogliamo, è quella di riuscire a capire qual è la tessitura immaginata dall’autrice e provare a imitarla. In genere quel che ne esce è sufficientemente coerente con il testo e espressivo musicalmente.

Quali strumenti musicali sono stati privilegiati? Ci sono anche interventi sonori di altro genere?
Io adoro gli strumenti che non esistono. Cerco di amalgamare suoni che insieme formano un’armonia ma che da soli possono persino essere sgradevoli. Mi diverte e credo che il risultato sia gradevole. Mi piace creare atmosfere, non necessariamente melodiche, a tratti persino dissonanti; e mi piace lavorare con il tempo cercando di far risultare il meno “quadrate” possibili le soluzioni musicali.

Il tuo contributo è cambiato con il nuovo allestimento? In che modo?
Il mio contributo è rimasto identico dal punto di vista espressivo ed emozionale. Abbiamo apportato solo qualche piccola modifica tecnica, ininfluente ai fini artistici dell’opera.

 

INTERVISTA A MICHELE CARVELLO, interprete di Abele

Cosa rappresenta il tuo personaggio?
Abele è un soldato di Dio. È l’uomo sicuro che sa qual è il suo posto e il suo compito. Abele agisce. E per questo viene ricompensato da Dio. Se Caino rappresenta il pensiero senza fede, Abele è la fede senza pensiero. Abele è il fratello “migliore”.

C’è ambiguità o vi è una dimensione prevalente di complementarietà con l’altro in scena?
Caino e Abele sono le due facce complementari della stessa medaglia. Ma ognuno di loro avverte l’ombra o il riflesso dell’altro. C’è qualcosa di Caino in Abele e in Caino c’è qualcosa di Abele. Sono stretti dal legame della fratellanza che li fa sentire inevitabilmente simili e divisi (forse) da un volere divino.

Qual è la battuta che preferisci? Perché?
«Non riesco a guardarti negli occhi. Non riesco. Non riesco a stare con la mia faccia nella tua faccia» perché è la verità.
E la verità, a teatro, illumina e sconvolge… anche nella vita.

 

INTERVISTA A GIACOMO LISONI, interprete di Caino

Cosa rappresenta il tuo personaggio?
Rappresenta l’incomunicabilità. L’ineffabilità della nostra dimensione più profonda, quella che non appare alla luce. Sente tutto, sente troppo. Non lo accetta, si aggrappa a tutto ciò che trova pur di non sprofondare. In questa dimensione archetipica che è la scena questo “tutto” è limitato: il lavoro, dio e il fratello.

C’è ambiguità o vi è una dimensione prevalente di complementarietà con l’altro in scena?
L’ambiguità pervade lo spettacolo. Le mani di Caino contribuiscono alla vita, ma sporcandosi di terra e riempendosi di calli diventano orrende. Dio genera le creature e dice “non uccidere” e poi accetta sacrifici di sangue. Il fratello è baciato dal sole, benedetto da Dio, ma è anche insensibile, ipocrita e arrogante. Molti contrasti e molta ambiguità. Il loro contrasto è la causa della loro stessa esistenza. Sono ambiguamente complementari.

Qual è la battuta che preferisci? Perché?
Ogni cosa che dico ha grande valore per me. Se verrete a vederci credo lo capirete da soli. Dico solo come inizia: «Siamo uguali io e te». La preferisco perché qui più che in ogni altra battuta è evidente lo stridio tra sentimento, pensiero e realtà. L’odio per Abele nel cuore, l’impotenza di cambiare le cose nella mente e nella realtà dei fatti non capire di essere due facce della stessa medaglia. Uguali ma mai insieme.

 

INTERVISTA A ELENA ZETA, assistente alla regia

Il tuo lavoro con Auretta Sterrantino ti vede coinvolta dopo una esperienza di approfondimento di altre poetiche. Che genere di rilevanti elementi rintracci nella direzione registica?
Col tempo mi sono convinta che non esiste una cosa uguale a un’altra, e che ogni cosa è bella perché è ciò che è. Non potrò mai aderire completamente a qualcosa che non sia io. Non per cattiveria, ma perché non è me: non potrò mai essere fino in fondo qualcosa di esterno a me. O non sarei più io. Sembra “Filosofia degli Scioglilingua (42 cfu)”, ma è molto più vicino a noi di quanto pensiamo: se capissimo che quello che vediamo è solo un’immagine dell’altro, immagino che saremmo più sereni e tortureremmo meno gli altri.

Qual è la cosa che più ti diverte del tuo ruolo e quale invece ti crea più difficoltà?
Mettermi nei panni degli altri.

Come è cambiata la tua idea sui due personaggi nel corso delle prove?
Non è cambiata, si è approfondita, si è stratificata, si è resa conto che parole, persone, gesti hanno così tante motivazioni, dentro di sé, da finire per non averne nessuna.

 

Se dovessi scegliere staresti dalla parte di Caino o da quella di Abele? Perché?
Penso che starei dalla parte di Caino, perché vuole solo essere quello che è, anche se non gli piace del tutto. Certo, forse non c’è bisogno del “o bianco o nero”, forse qualcosa si può aggiustare, basterebbe lavorarci, non è così impossibile. E poi non puoi dare la colpa all’altro, comunque.
Quindi, forse, penso che starei dalla parte di Abele, perché vuole essere quello che desidera essere, anche se non gli piace del tutto. Certo, forse non c’è bisogno del “o bianco o nero”, forse qualcosa si può aggiustare, basterebbe lavorarci, non è così impossibile. E poi, non puoi dare la colpa all’altro, comunque.
E quindi penso.